Il risarcimento a un naufrago della Costa Concordia può creare un precedente
A un passeggero che era a bordo della nave è stato riconosciuto il danno da stress post traumatico, e riceverà 92.700 euro
Il Tribunale di Genova ha deciso, con una sentenza che potrebbe rappresentare un precedente giuridico, che la Costa Crociere dovrà risarcire con 92.700 euro Ernesto Carusotti, un passeggero che la notte del 13 gennaio 2012 era a bordo della Costa Concordia, naufragata di fronte all’isola del Giglio. La prima sezione civile del tribunale genovese ha riconosciuto sia il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale subiti dal passeggero. Il primo è quello che si riferisce ai beni che hanno un valore economico, il secondo è invece relativo ai diritti delle persone, come quello alla salute. In questo caso al passeggero è stato riconosciuto il danno da stress post traumatico subito a causa dell’incidente.
Il naufragio della Costa Concordia avvenne a 500 metri dal porto dell’isola del Giglio, quando la nave urtò uno scoglio provocando uno squarcio di 70 metri nello scafo. La nave si inclinò sul lato di dritta (a destra) fino ad appoggiarsi sul fondale ma restando comunque per gran parte emersa. A bordo, tra passeggeri ed equipaggio, c’erano 4.229 persone: la maggior parte si salvò grazie alle scialuppe, mentre altre furono recuperate da motovedette ed elicotteri. Nel naufragio morirono 32 persone. Il comandante della nave, Francesco Schettino, fu condannato in via definitiva a 16 anni per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio e abbandono di nave.
Al termine del processo la Costa Crociere risarcì circa l’85% delle persone presenti a bordo. Dei 3.206 passeggeri, 2.623 accettarono la transazione per un importo totale di 66,5 milioni di euro, somma che comprendeva il risarcimento riconosciuto ai familiari delle persone morte durante il naufragio (24,5 milioni di euro in totale). La somma versata dalla compagnia di navigazione fu quindi di circa 16mila euro a testa, mentre per le famiglie dei passeggeri morti il risarcimento fu di circa un milione di euro. Accettarono anche 964 membri dell’equipaggio su un totale di 1.023 persone: a loro andarono complessivamente circa 17,5 milioni di euro, comprensivi dei quasi sette milioni andati alle famiglie dei cinque lavoratori della Costa Concordia che erano morti. I risarcimenti furono giudicati da molti non adeguati, e infatti una parte dei passeggeri la rifiutò.
Ma la sentenza emessa dal giudice Paolo Gibelli del tribunale di Genova riguarda un aspetto diverso, quello del disturbo da stress post traumatico, e cioè quello che riguarda le conseguenze psicologiche di un evento catastrofico a cui si prende parte. La sentenza potrebbe dunque creare un precedente per nuove cause che potranno essere intentate dai naufraghi della Costa Concordia, analoghe a quella presentata da Carusotti, che era rappresentato dall’associazione dei consumatori del Codacons. Con due condizioni: può chiedere il risarcimento solo chi aveva rifiutato il primo, e nel caso dovrà farlo entro un mese. Poi subentrerà infatti la prescrizione, e non si potranno più presentare denunce.
A Carusotti, che nel primo processo aveva rifiutato il risarcimento, è stato riconosciuto dal tribunale il disturbo da stress post traumatico dovuto non solo al naufragio stesso, ma anche a ciò che avvenne durante le operazioni di salvataggio. Anche per questo la responsabilità è, secondo il giudice, da attribuire alla Costa Crociere. È scritto nella sentenza:
«La responsabilità che interessa in questa sede è quella per le lesioni lamentate dall’attore, ovvero il disturbo post traumatico da stress (quale lesione della salute) e il danno da esperienza stressante (connesso alle particolari circostanze in cui la vittima visse il naufragio). Nel caso attuale eventuali colpe in fase di salvataggio dal naufragio non eliminano la responsabilità di chi risponda del naufragio stesso. Carusotti avrebbe potuto evitare il trauma scendendo regolarmente a mare con la prima scialuppa, l’esperienza stressante sarebbe stata di certo almeno molto minore. Ma tutto ciò che accadde in concreto a Carusotti dipese anche dal naufragio, che è fatto di reato di cui Costa risponde. Non vi è bisogno di altro».
In sostanza il giudice ha stabilito che «anche in presenza del naufragio, lo stesso avrebbe potuto essere meglio gestito, senza danno per l’attore». Il Dge, e cioè il generatore diesel di emergenza, avrebbe dovuto riattivarsi subito dopo l’incidente garantendo energia ai servizi essenziali, cosa che invece non avvenne. Alle erogazioni di emergenza, secondo il giudice, non avrebbero dovute essere agganciate utenze superflue e anzi controindicate come i 15 ascensori della nave, mentre l’erogazione di corrente avrebbe dovuto azionare la pompa di sentina (la pompa che rimuove l’acqua dalla parte inferiore dello scafo) che avrebbe rallentato così l’inclinazione della nave.
La sentenza poi stabilisce che, anche in assenza di corrente, «un personale preparato all’emergenza avrebbe evitato il panico; che la corrente erogata avrebbe dovuto alimentare i verricelli elettrici di recupero delle scialuppe; che tale recupero avrebbe consentito di emendare la manovra erronea di ammaraggio della scialuppa del Carusotti, permettendogli una discesa che evitasse il terrifico attraversamento della nave nella direzione del pericolo».
Ernesto Carusotti e la moglie Paola si salvarono salendo a bordo della scialuppa numero 12, rimasta bloccata. Raccontarono così il loro salvataggio nel corso del processo: «Per fare scendere la scialuppa abbiamo dovuto spingerla noi passeggeri, saremmo stati in 150. Non c’era nessuno di quelli che avrebbero dovuto calarla e quelli dell’equipaggio che erano con noi non sapevano cosa fare. Siamo riusciti a farla scendere quando l’acqua era ormai a due metri da noi».