La ricostruzione della procura di Roma sull’omicidio di Fabrizio Piscitelli
Il presunto assassino del capo ultras laziale noto come Diabolik è stato arrestato, e si pensa di avere individuato mandanti e movente
La procura di Roma pensa di avere individuato l’esecutore, i mandanti e il movente dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, il capo della tifoseria ultras della Lazio che venne ucciso il 7 agosto 2019 mentre era seduto su una panchina del parco degli acquedotti, nel quartiere Appio Claudio di Roma. L’assassino gli si avvicinò correndo, fingendosi un runner, e lo uccise con un colpo di pistola alla testa. L’omicidio fu la conseguenza, secondo la procura, della lotta per il controllo della piazza di spaccio di Roma, la più grande d’Italia e la più appetibile per le organizzazioni di narcotrafficanti.
A sparare a Piscitelli sarebbe stato, a quanto è emerso dalle indagini, Raul Esteban Calderon, detto Francisco, argentino di 52 anni con precedenti penali per rapine compiute in Lazio e Toscana. È accusato di omicidio con l’aggravante del metodo mafioso, ed è attualmente in stato di arresto. Arrivato in Italia negli anni Novanta, fu arrestato una prima volta nel 2003 mentre, sul litorale di Ostia, stava tentando di rubare una Fiat Panda. Secondo i procuratori è lui l’uomo inquadrato da una videocamera mentre fugge dal parco degli acquedotti dopo aver sparato.
Nel filmato è stata ripresa l’azione dell’assassino dal momento in cui arriva correndo e si avvicina a Piscitelli a quello in cui fugge dopo aver esploso il colpo di pistola. In un fermoimmagine del video pubblicato dal Corriere della Sera si nota che l’assassino ha il polpaccio destro avvolto da una benda: secondo la procura sarebbe stato un espediente per coprire il tatuaggio che Calderon ha proprio in quel punto. In una nota, la procura ha scritto: «Dall’analisi tecnica del filmato dell’omicidio eseguita prima dalla polizia scientifica e successivamente dal consulente tecnico incaricato dalla procura è emersa una chiara compatibilità tra il killer visibile nel filmato e il soggetto gravemente indiziato».
Oltre al riconoscimento dei tratti fisici, contro Calderon ci sono intercettazioni telefoniche e ambientali e la testimonianza della sua ex fidanzata ed ex complice nelle rapine, che sta collaborando con gli inquirenti. Per l’omicidio, secondo l’accusa, Calderon avrebbe ricevuto 100mila euro e l’accordo per un vitalizio di 4mila euro al mese. A ordinare di uccidere Piscitelli, secondo i magistrati, furono i Bennato, famiglia che comanda e gestisce le attività criminali delle zone romane di Casalotti e Primavalle. I boss del gruppo sono Leandro ed Enrico Bennato, nipoti di Walter Domizi, detto il Gattino, capofamiglia da anni in carcere per traffico internazionale di droga.
La decisione di uccidere Piscitelli avrebbe avuto, secondo la ricostruzione della procura, il benestare di altri gruppi criminali romani: era diventato troppo ingombrante e allo stesso tempo la sua posizione si era indebolita dopo la forzata uscita di scena del suo alleato di sempre, il noto criminale Massimo Carminati, e dopo una serie di investimenti sbagliati che lo avevano portato a indebitarsi notevolmente.
Secondo la gip di Roma Tamara De Amicis, che ha convalidato il fermo di Calderon, «il delitto di Fabrizio Piscitelli è maturato in un contesto criminale di gruppi contrapposti». La gip ha spiegato che il mondo criminale romano, anche alla luce delle indagini più recenti, è retto dalle medesime «antiche regole e metodi» adottati nei territori governati dalle mafie tradizionali come camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. «L’attivismo di Piscitelli», ha scritto la gip nella sua ordinanza, «e il suo essere una figura di leader di carisma superiore o comunque pari ai capi delle famiglie criminali egemoni da decenni, come i Casamonica», lo esponeva a «malumori, insofferenze e gelosie».
Durante le indagini che portarono poi all’operazione denominata Grande Raccordo Criminale conclusa dalla Guardia di finanza il 28 novembre 2019, quando Piscitelli era già morto, vennero effettuate molte intercettazioni telefoniche. Da queste è emerso, secondo la gip, che Piscitelli anche agli occhi dei suoi complici era diventato eccessivamente spudorato e imprudente, «nella aperta esibizione della sua leadership criminale, che schiacciava “competitor” di tutto rispetto».
Con l’operazione Grande Raccordo Criminale, quattro mesi dopo sua la morte, l’organizzazione criminale che faceva capo a Piscitelli venne smantellata. Il gruppo riforniva di hashish e cocaina le più importanti piazze di spaccio romane. A capo dell’organizzazione era rimasto il suo socio Fabrizio Fabietti. Con lui furono arrestate altre 50 persone, molti picchiatori, ultras ed ex pugili, soprattutto cittadini albanesi, incaricati di dare la “copertura militare” all’organizzazione. Nel corso dell’operazione furono arrestati esponenti di spicco anche di altre bande criminali.
La procura di Roma è arrivata a individuare i presunti mandanti dell’omicidio innanzitutto grazie a intercettazioni ambientali effettuate a casa di Enrico Bennato, 51 anni e una lunga serie di precedenti, arrestato nel giugno 2021 per avere dato fuoco al portone della sua ex fidanzata. In precedenza aveva sparato colpi di pistola contro la casa della donna.
A dare sostanza ai sospetti della procura è stata anche la testimonianza dell’ex fidanzata di Calderon, intercettata, poi interrogata e convinta a collaborare. È lei, secondo il suo racconto, la proprietaria della pistola utilizzata per uccidere Diabolik. La donna ha raccontato ai magistrati che per spronare Calderon a recuperare un po’ di soldi facendo una rapina gli aveva indicato un luogo in casa dove aveva nascosto una pistola 7.65 semiautomatica rubata durante una rapina in una gioielleria. Secondo la sua testimonianza riportata dal sito RomaToday, quando aveva saputo che la pistola usata nell’omicidio di Piscitelli era la stessa era andata a controllare e non c’era. Poi l’ex fidanzato, ha detto, le aveva confidato l’omicidio, il mandante («Leo», cioè Leandro Bennato), il movente e il compenso.
Dopo l’omicidio di Diabolik, iniziò a Roma una guerra tra bande. I membri del gruppo Piscitelli-Fabietti tentarono di vendicare il proprio capo. Il 14 novembre 2019 due persone in moto affiancarono la Fiat Panda su cui viaggiava Leandro Bennato, gli spararono, senza però riuscire ad ucciderlo. Provocarono una reazione immediata: secondo la procura per undici giorni Leandro Bennato e Calderon si appostarono sotto casa di Fabietti per ucciderlo senza però riuscire a intercettarlo. A salvarlo fu l’operazione Grande Raccordo Criminale: sia Fabietti sia Leandro Bennato furono arrestati. Prima di essere portato in carcere, secondo quanto risulta da un’altra intercettazione Leandro Bennato diede indicazioni precise al fratello Enrico per compiere altri omicidi.
Sulla spiaggia di Torvajanica il 20 settembre 2020 fu ucciso il cittadino albanese Shevaj Selavdi, detto Simone, che era stato individuato come uno dei due autori dell’attentato a Leandro Bennato. L’omicidio ricalcò le stesse modalità di quello di Piscitelli: l’assassino sparò in un luogo pubblico fingendosi un corridore. Per quell’omicidio la gip Francesca Cirinnà ha firmato un mandato d’arresto per lo stesso Calderon e per Enrico Bennato, già in carcere per le minacce e le violenze ai danni dell’ex fidanzata. Sono in carcere quindi sia quello che secondo la procura è l’esecutore materiale dell’omicidio di Piscitelli, Raul Calderon, sia i due presunti mandanti, Enrico e Leandro Bennato.
Ha scritto la gip nell’ordinanza di convalida dell’arresto dell’argentino: «I rischi profetizzati (dai suoi complici, ndr) di lì a poco si sarebbero materializzati nella spietata esecuzione che vedeva Diabolik freddato nel parco di via Lemonia, riverso su una panchina, che sarebbe diventata oggetto di pellegrinaggio di tifosi e fedelissimi. D’altra parte», ha continuato la gip, «il suo assassinio ha calamitato l’attenzione dei media nazionali e persino internazionali per molti mesi, vuoi per la notorietà della vittima, oltre i confini del tifo locale, vuoi per l’effetto prodotto da una esecuzione così eclatante nella Capitale, dove, pur con sporadici fatti di sangue, regnava la pax mafiosa che Piscitelli stesso si era convinto di poter garantire fino a quel 7 agosto».