Negli Stati Uniti non c’è il padel, ma il pickleball
È uno sport con le racchette più facile e statico, che negli ultimi anni «ha conquistato sia DiCaprio sia i nonni»
di Gabriele Gargantini
Da ormai un paio di anni negli Stati Uniti sta crescendo la popolarità di un sport di racchetta che, così come il padel, è presentato come meno impegnativo e più ricreativo del tennis. Ma i cui campi, a differenza di quelli del padel, si possono fare in pochissimo tempo e all’occorrenza improvvisare in una palestra o in un campo da tennis. Si chiama pickleball: un nome piuttosto ostico da pronunciare, dal buffo significato (“palla sottaceto”) e dalla stramba origine.
Secondo l’Economist è «lo sport statunitense che sta crescendo più in fretta», anche perché gli americani per ora hanno largamente ignorato il padel, praticato ormai da moltissime persone in Italia. Giocano a pickleball soprattutto persone più anziane, ma si sta aprendo anche ai giovani, costa poco ma piace anche alla gente ricca e famosa, ha avuto successo grazie alla pandemia ma c’era già da prima, anche in Italia.
Il pickleball si gioca su campi grandi un terzo di quelli da tennis, in doppio ma anche uno-contro-uno. In genere si arriva fino al punteggio di 11, ma c’è chi arriva al 15 o al 21, e per vincere bisogna essere in vantaggio di due punti. È previsto il cambio palla, così come era fino a qualche anno fa nella pallavolo, ed è possibile strutturare le partite in più set. Nei primi scambi dopo ogni battuta si può colpire la palla solo dopo averla fatta rimbalzare nel proprio campo, dopodiché la si può prendere al volo, a patto però che i piedi di chi colpisce non siano nella cosiddetta kitchen, la cucina, cioè la parte di campo più vicina alla rete.
Il pickleball si gioca con una racchetta che ricorda un po’ un tagliere e con un palla leggera e bucherellata, che quindi non raggiunge mai grandi velocità: più che potenza, ci vogliono tecnica, posizione e tempismo. I servizi vanno fatti in diagonale e la rete è a un’altezza di 36 pollici, un po’ più di 90 centimetri. Un po’ come chi gioca a ping pong spesso non rispetta tutte le vere regole del tennistavolo, anche nel pickleball succede che a seconda dei casi cambiano le regole.
Negli Stati Uniti, dove il padel non ha avuto nemmeno lontanamente una diffusione paragonabile a quella italiana, il racconto della nuova popolarità del pickleball lo descrive come un incrocio tra tennis, ping pong e badminton. In effetti, le persone che lo idearono partirono dal semplice fatto che avevano una rete da badminton ma non trovavano le racchette e nemmeno il volano.
Era l’estate del 1965 e dalle parti di Seattle due padri e vicini di casa (uno dei quali era Joel Pritchard, che sarebbe poi diventato deputato Repubblicano al Congresso degli Stati Uniti) avevano appunto pensato al badminton per passare un po’ di tempo con i loro figli. Come rete, usarono una rete da badminton, come racchette usarono alcune racchette di legno, forse da ping pong, e come pallina ne presero una da wiffleball, uno sport simile al baseball, giocato però con palline più leggere: di plastica e bucherellate.
Nel corso di un paio di weekend i due, a cui nel frattempo si era aggiunto un terzo amico, perfezionarono le regole. Partirono da quelle del badminton, ma strada facendo cambiarono varie cose: dopo essersi accorti che la pallina rimbalzava in modo soddisfacente, decisero per esempio di abbassare la rete così da rendere possibili i rimbalzi.
Non è dato sapere se e quanto figli e altri famigliari di quei tre gradirono il gioco, a dir la verità nemmeno se e quanto ci giocarono, ma i resoconti sulla genesi del pickleball concordano sul fatto che i tre inventori pensarono a un gioco semplice da capire e facile da giocare, per tutta la famiglia.
Sul perché decisero di chiamarlo proprio pickleball c’è un certo disaccordo. Una versione dice che lo scelse la moglie di Pritchard in omaggio a Pickles, il cane di famiglia. Ma stando alle ricostruzioni fatte da USA Pickleball, un’associazione americana che promuove lo sport, Pickles arrivò in famiglia solo nel 1968 fu quindi il cane a essere chiamato come lo sport, non il contrario. È più probabile che il buffo nome fu scelto in riferimento alle cosiddette “pickle boat”, con cui nel canottaggio universitario si faceva riferimento agli equipaggi composti da canottieri che non erano stati scelti dalle altre squadre, in altre parole dagli scartati. Un po’ come quello sport fatto con “scarti” di altri sport.
Nel 1967 Pritchard costruì il primo campo permanente di pickleball, negli anni Settanta – mentre in Messico nasceva il padel – ne parlarono un paio di riviste, compresa una di tennis, che lo presentò come “il nuovo sport di racchette”. Fu istituita un’apposita federazione, fu stilato un regolamento ufficiale, e arrivarono i primi tornei. Negli anni Novanta, il pickleball arrivò in tutti gli stati statunitensi, e da lì – non è ben chiaro come – anche all’estero, restando però sempre uno sport di estrema nicchia.
Non c’è un momento preciso in cui il pickleball iniziò a uscire dalla sua nicchia, ma senza dubbio si è adattato alla pandemia meglio di molti altri sport perché richiede solo palline, racchette e una rete, e consente di fare una leggera attività fisica, con la possibilità di organizzare una partita improvvisata in un parcheggio o per strada. In maniera non molto diversa da come, in molti paesi asiatici, è comune praticare una versione semplificata del badminton per strada.
Il pickleball era in crescita già da diversi anni, ma l’anno della svolta è stato il 2020: secondo i dati raccolti dalla Sports & Fitness Industry Association, nel primo anno di pandemia negli Stati Uniti ci hanno giocato oltre quattro milioni di persone, il 21 per cento in più del 2019; circa un quinto di quelle che si stima abbiano giocato a tennis e circa un decimo di quelli che praticano il golf, e più dell’1 per cento degli statunitensi con più di 6 anni d’età. Secondo la Sports & Fitness Industry Association i più assidui giocatori di pickleball continuano ad avere più di 65 anni, ma stanno crescendo anche i praticanti tra gli 8 e i 34 anni, cosa che ha abbassato l’età media di tutti i partecipanti, ora di poco sotto ai 40 anni.
Negli Stati Uniti, la crescita nel numero di praticanti è stata accompagnata dai maggiori tentativi di sfruttare economicamente lo sport. Anzitutto, per quanto riguarda i campi: «ne stanno spuntando di nuovi nei parchi, nelle scuole, nei condomini, nelle ville di Hollywood e nei circoli sportivi» ha scritto Bloomberg, notando quanto l’offerta stia faticando a tenere il passo della domanda.
Sempre Bloomberg, parla poi di una generale «corsa all’oro» da parte di aziende di vario tipo. Chi organizza e sponsorizza tornei di alto livello, chi produce e vende palline e racchette da pickleball, chi ne mostra online o in televisione le partite. Di pickleball parlano diversi podcast, molti canali YouTube, alcuni libri e, da settembre, anche la rivista cartacea InPickleball, che sta uscendo con cadenza mensile.
Adam Franklin, presidente della Franklin Sports, un grande marchio di attrezzature sportive soprattutto legate al baseball, ha detto che l’azienda sta vendendo centinaia di migliaia di palline da pickleball ogni settimana. Stima che tra il 2021 e il 2022 la crescita sarà molto superiore rispetto al 21 per cento dell’anno passato. «Non vedo perché debba rallentare nel prossimo futuro» ha detto Franklin: «penso che questo sia solo l’inizio e non sarei sorpreso se nel 2030 i praticanti dovessero essere 20 o 30 milioni».
Oltre agli over 50, 60 o 70 che ci giocano perché permette di divertirsi senza stancarsi o sforzarsi troppo, e oltre ai ragazzi che lo scoprono in contesti scolastici, in cui è proposto per la sua semplicità e immediatezza, il pickleball sta conquistando anche altri contesti.
Uno è quello più agonistico, con partite parecchio più dinamiche e vivaci giocate nei tornei, sempre più numerosi e organizzati da più associazioni in competizione per diventare quella di riferimento. Per ora, sono pochi i giocatori che si guadagnano da vivere grazie a questo sport, ma per il 22enne Ben Johns, uno dei due più forti pickleballer al mondo, si parla di entrate annue pari a circa 250mila dollari.
Un altro contesto, anche questo molto utile alla crescita dello sport, è quello delle celebrità. Un recente articolo di Vanity Fair ha raccontato per esempio che il pickleball piace molto, tra gli altri, a Leonardo DiCaprio, a Reese Witherspoon, a George ed Amal Clooney.
Forse ancor più di altri sport, il pickleball – secondo Vanity Fair «lo sport che ha conquistato sia DiCaprio che i tuoi nonni» – riesce insomma a declinarsi in modo diverso a seconda delle necessità di chi ci gioca, in campi fatti apposta in esclusivi club californiani ma anche in contesti più modesti, dove è praticato su campi da tennis riadattati. Come ha detto ad Axios Stu Upson, amministratore delegato di USA Pickleball, «basta aver avuto una racchetta in mano una volta nella tua vita e in un’ora impari a giocarci». Costa molto meno del golf ed è molto più tranquillo del tennis.
Molte persone continuano comunque a percepire il pickleball come uno sport lento e da anziani. Una cosa che invece non succede col padel, che però necessita di campi un po’ più complicati e costosi da realizzare. Così come il padel, anche il pickleball dovrà inoltre capire se riuscirà a fare il salto da sport praticato a sport guardato.
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A questo proposito, e vista la crescita di questi ultimi anni, c’è già chi ipotizza che il pickleball possa un giorno diventare sport olimpico, magari grazie al fatto che le Olimpiadi del 2028 saranno a Los Angeles, quindi negli Stati Uniti, un paese in cui per ora sembra interessare e piacere molto più del padel.
In attesa di vedere se e come padel e pickleball se la caveranno nel mondo, e quale dei due potrà provare a entrare in competizione con il tennis (di cui entrambi sono derivazioni semplificate), da qualche anno il pickleball si è affacciato anche in Italia. La versione italiana di Wikipedia è una delle 13 per cui esiste una voce dedicata allo sport, e la Associazione Italiana Pickleball, fondata nel 2018, è una delle circa 40 federazioni nazionali di pickleball attualmente presenti al mondo.
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