Il secondo Natale di fila senza turisti stranieri a Betlemme
Per la città che ospita la Basilica della Natività, la variante omicron causerà più danni che altrove
Di solito nelle città del Medio Oriente la stagione turistica raggiunge il suo picco fra la primavera e l’estate. In Cisgiordania c’è una notevole eccezione: la città di Betlemme, nel cui territorio si racconta sia nato Gesù Cristo e dove è stata costruita la celebre Basilica della Natività (secondo la tradizione sopra la grotta in cui sarebbe nato Gesù). Ogni anno Betlemme viene visitata da decine di migliaia di pellegrini cristiani, che la frequentano soprattutto nelle settimane precedenti al Natale.
Tutto però è cambiato con la pandemia da coronavirus: e quest’anno, per il secondo di fila, Betlemme sarà inaccessibile ai turisti stranieri, cosa che creerà un danno economico difficile da calcolare.
Fadi Zougabi, che ha 39 anni e vive a Betlemme, ha raccontato ad Haaretz che il suo ultimo giorno di lavoro è stato il 5 marzo 2020: «Da allora la mia famiglia vive dei risparmi che avevamo accumulato».
Betlemme è l’unica vera città turistica della Cisgiordania. Nel 2019 aveva attirato circa 1,5 milioni di visitatori, perlopiù pellegrini cristiani, e il 30 novembre aveva avuto il più alto numero di turisti mai registrato, circa 12mila. Dato che la Cisgiordania non dispone di un aeroporto, quasi tutti i turisti atterrano all’aeroporto di Tel Aviv, in Israele, che dista circa un’ora di pullman. Di conseguenza il turismo locale dipende interamente dalle restrizioni sugli ingressi in Israele decise dal governo israeliano.
All’inizio della pandemia il governo guidato da Benjamin Netanyahu aveva vietato l’accesso in Israele (e quindi in Cisgiordania) per i turisti stranieri, mantenendo in vigore il divieto fino alla scadenza del suo mandato. Il suo successore Naftali Bennett si sta comportando con la stessa prudenza: l’arrivo di turisti stranieri era stato autorizzato all’inizio di novembre, ma già alla fine dello stesso mese era stato di nuovo vietato per timore della variante omicron, appena sequenziata in Sudafrica. Pochi giorni fa si è saputo che il divieto rimarrà in vigore almeno fino al 29 dicembre.
Il Times of Israel racconta che in vista della stagione natalizia diverse guide turistiche e proprietari di hotel «avevano sperato di riprendere a lavorare, dato che migliaia di stranieri avevano prenotato soggiorni negli alberghi della città». Poi è arrivata la scoperta della variante omicron.
«Prima della pandemia la città era così piena di turisti che trovare una stanza libera era difficile», ha raccontato ad Haaretz Zougabi, la guida turistica: «erano pieni anche i ristoranti e i negozi di souvenir. I turisti non si limitavano a passare la notte in città, ma aiutavano tutta l’economia locale». Il flusso di turisti, che stava molto aumentando negli anni prima della pandemia, non aveva portato soltanto vantaggi: alcuni si lamentavano per esempio dei prezzi dei terreni e delle case, molto più alti rispetto al resto della Palestina. Ma in generale i benefici sembravano superare gli svantaggi.
Oggi i rari turisti che si vedono nel centro storico della città provengono soprattutto dalle altre città palestinesi: sono meno interessati di quelli stranieri a souvenir e pasti nei locali tipici, e non pernottano negli hotel.
In questi giorni la maggior parte dei negozi di souvenir e dei ristoranti che circondano Manger Square, cioè la piazza dove si affaccia la chiesa, rimane chiusa fino a tarda mattinata. Uno dei pochi negozianti che hanno aperto ha raccontato ad Haaretz che c’è poco da fare oltre a spolverare la merce in esposizione.
Gli hotel, se possibile, lavorano ancora di meno. Il Bethlehem Hotel, uno dei più grossi della città, ha occupate cinque o sei stanze sulle 220 disponibili. Il noto ostello aperto qualche anno fa dallo street artist Banksy non accetta nemmeno prenotazioni. «È due anni che non riusciamo a fare affari: è come morire lentamente», ha detto ad Associated Press Aladdin Subuh, che gestisce un negozio poco lontano.
Il Times of Israel ha notato che l’Autorità Palestinese, l’organo di governo autonomo dei palestinesi che amministra i territori palestinesi in Cisgiordania, ha approvato alcune esenzioni fiscali per gli hotel per evitare che falliscano. Ma il bilancio dell’Autorità Palestinese è a dir poco esiguo, e i suoi leader non hanno potuto elargire sussidi paragonabili a quelli emessi in Occidente o in Israele, dove comunque da mesi proseguono estese proteste dei lavoratori del settore.
«Israele è uno stato, noi abbiamo solo la nostra Autorità», ha detto al Times of Israel Elias al Arja, il proprietario del Bethlehem Hotel: «Non può appoggiarci come uno stato. Quello che poteva dare, ci ha dato. Ma non è abbastanza».