Lo scienziato di fama mondiale al centro di una disputa fra Cina e Stati Uniti
Il chimico Charles Lieber è stato condannato da un tribunale americano per aver nascosto i suoi legami con la Cina
Martedì il chimico statunitense Charles Lieber, uno scienziato di fama mondiale specializzato in nanotecnologie, è stato giudicato colpevole dal tribunale di Boston di avere nascosto i suoi legami lavorativi con lo stato cinese. La pena verrà decisa nelle prossime settimane, ma Lieber rischia di finire in carcere per diversi anni. Il caso di Lieber è seguito da tempo dalla comunità scientifica statunitense, secondo cui potrebbe avere delle ricadute sulle libertà garantite tradizionalmente alla ricerca accademica.
Lieber ha 62 anni, è in aspettativa dal dipartimento di Chimica dell’università di Harvard, di cui è stato il capo, e da anni per le sue ricerche viene considerato fra i principali contendenti al Nobel per la Chimica.
I suoi guai sono iniziati nel 2018, quando alcuni agenti del dipartimento della Giustizia lo avevano interrogato sui suoi legami con l’università di Wuhan, in Cina, e sulla sua partecipazione a un discusso programma del governo cinese per finanziare accademici stranieri, il Thousand Talents Program (TTP), avviato nel 2008 e tuttora attivo.
Mantenere legami con un’università cinese e partecipare al TPP non è illegale di per sé, negli Stati Uniti. Nel 2018 però l’amministrazione di Donald Trump lanciò un’operazione, la China Initiative, per controllare in maniera più stringente questi rapporti: di fatto, costrinse decine di scienziati di alto profilo a dichiarare esplicitamente i propri rapporti con la Cina. Ancora oggi il governo americano sostiene che la China Initiative sia un’operazione di trasparenza e sicurezza nazionale, che serve a evitare che informazioni e competenze potenzialmente strategiche finiscano nelle mani della Cina.
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Nel 2018 Lieber è stato interrogato due volte da agenti del Dipartimento della Giustizia, e di nuovo nel 2020 dall’FBI, l’agenzia di intelligence interna degli Stati Uniti. In tutte e tre le occasioni ha cercato di sminuire i suoi legami con l’università di Wuhan e negato di avere partecipato al programma TPP.
Le autorità statunitensi hanno però scoperto, come mostrato nel corso del processo, che per diversi anni Lieber era stato sotto contratto con l’università di Wuhan. Nel 2012 aveva firmato un contratto di tre anni che gli garantiva uno stipendio mensile fino a 50mila dollari, cioè circa 44mila euro, oltre a un bonus da 158mila dollari e un finanziamento da 1,5 milioni di dollari per aprire un laboratorio a Wuhan. I procuratori dell’accusa hanno anche fatto notare che Lieber riceveva parte del suo stipendio in una valigetta piena di contanti, e che sia nel 2013 sia nel 2014 nella sua dichiarazione dei redditi non compaiono né il suo salario dall’università di Wuhan né l’indicazione di un conto aperto in una banca cinese.
Dopo essere stato scoperto, Lieber ha ammesso che le prove contro di lui erano piuttosto «schiaccianti» e che nel 2018 aveva mentito agli agenti del Dipartimento di Giustizia perché temeva di essere arrestato, e più in generale di finire nei guai.
La linea difensiva dei suoi avvocati è che, a parte l’estemporanea evasione fiscale, Lieber non abbia fatto nulla di male, e che nei suoi confronti lo stato si sia comportato in maniera inutilmente aggressiva. «Non ci sono vittime, nessuno ci ha perso dei soldi, nessuno si è arricchito, ma per una conversazione di qualche secondo il più grande nanoscienziato al mondo è accusato di vari crimini», ha detto Marc Mukasey, l’avvocato di Lieber, nella sua arringa finale.
Science fa notare che Lieber non è mai stato accusato per furto di proprietà intellettuale, cioè il tipo di reato che la China Initiative dovrebbe servire a contrastare. Formalmente è stato incriminato per avere nascosto i suoi legami con l’università di Wuhan e per avere mentito agli agenti che indagavano sul suo conto: accuse che in altri contesti, secondo i sostenitori di Lieber, sarebbero quasi passate inosservate.
«In assenza di prove di violazioni più gravi, Lieber è diventato oggetto di una fuorviante campagna del governo che ha criminalizzato le sue azioni», hanno scritto a marzo 40 suoi colleghi in una lettera inviata al Dipartimento di Giustizia per chiedere che lo stato facesse cadere le accuse nei suoi confronti. «Charlie ha passato la sua vita cercando di aiutare il mondo, e un gruppo di persone che non capisce come funziona la scienza ha cancellato tutto», ha detto al New York Times Brian Timko, un ex allievo di Lieber che oggi lavora per la Tufts University di Boston.
Secondo diversi accademici il punto è proprio questo: l’atteggiamento eccessivamente aggressivo dell’amministrazione statunitense nei confronti degli scienziati che collaborano con la Cina rischia di mettere in pericolo lo scambio di idee, contatti e stimoli che è alla base della ricerca accademica. I legami fra la comunità scientifica statunitense e quella cinese, fra l’altro, sono molto solidi: secondo un’analisi del 2018, nel 2019 il 9 per cento degli studi scientifici prodotti da istituti cinesi e il 9 per cento di quelli statunitensi avevano come co-autori, rispettivamente, scienziati statunitensi e cinesi.
Nel 2020 Kei Koizumi, un ex collaboratore del National Science and Technology Council durante l’amministrazione di Barack Obama, ha detto a Nature che oggi diversi scienziati statunitensi ritengono che collaborare con i colleghi cinesi non valga il rischio di finire sotto indagine da parte dalle autorità statunitensi. «Nessuno vuole scocciature del genere mentre fa ricerca», ha spiegato Koizumi.
Esiste poi il timore che l’aggressività dell’amministrazione statunitense abbia una componente etnica: secondo una recente analisi della MIT Technology Review sui circa 77 casi giudiziari nati dalla China Initiative, quasi il 90 per cento delle persone incriminate ha origini cinesi (il governo statunitense ha smentito che dietro alla China Initiative ci siano motivazioni di questo tipo).
La Cina sta cercando di sfruttare a proprio vantaggio il processo contro Lieber, sostenendo che abbia motivazioni esclusivamente politiche. Di recente il China Daily, un quotidiano in lingua inglese controllato dallo stato cinese, ha fatto notare come la comunità scientifica sia perlopiù contraria a iniziative come la China Initiative.
Da parte sua, Lieber non ha diffuso dichiarazioni durante il processo. Nel suo interrogatorio del 2020 con l’FBI aveva cercato di motivare le sue azioni spiegando che anni prima era «più giovane e più stupido», e che sperava che aumentando le proprie collaborazioni accademiche avrebbe avuto più possibilità di vincere un premio Nobel.