A Hong Kong hanno stravinto i candidati vicini al regime cinese
Come ampiamente previsto, dopo mesi di repressione e grazie a una legge che escludeva le opposizioni
Alle elezioni per il Consiglio legislativo di Hong Kong, il parlamento locale, praticamente tutti i seggi disponibili sono stati vinti da candidati vicini al regime cinese. Non è un risultato sorprendente: la vittoria di candidati fedeli al regime cinese era ampiamente prevista, dopo che nell’ultimo anno e mezzo l’opposizione era stata duramente repressa, con moltissime persone arrestate o costrette a fuggire dalla città, ed era stata imposta una nuova legge elettorale che consentiva esclusivamente ai “patrioti”, cioè alle persone fedeli al Partito comunista cinese, di candidarsi.
Le elezioni, considerate non rappresentative sia dagli osservatori esterni sia dalla comunità internazionale, sono state boicottate dall’opposizione democratica e anche dalla popolazione nel suo complesso: l’affluenza è stata del 30,2 per cento, il dato più basso di sempre e circa la metà della percentuale registrata alle elezioni per il Consiglio legislativo tenute nel 2016.
Dei 90 seggi di cui è composto il Consiglio legislativo, soltanto 20 sono stati eletti a scrutinio universale: gli altri sono stati nominati da enti la cui composizione è di fatto determinata dal Partito comunista cinese. Tutti e 20 i seggi sono andati a candidati vicini al regime. Nel complesso, è stato eletto un solo candidato considerato non perfettamente pro establishment: Tik Chi-yuen, un ex attivista per la democrazia che di recente aveva fondato un partito centrista. È stato nominato da un’assemblea di imprenditori e di rappresentanti degli interessi economici della città.
Come ha scritto Reuters, il risultato delle elezioni era così scontato che alcuni dei candidati favorevoli al regime, durante le operazioni di conteggio, già festeggiavano gridando: «Vittoria garantita!».
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Dopo un anno e mezzo di repressione che ha di fatto eliminato ogni attività dell’opposizione a Hong Kong a seguito dell’introduzione di una nuova legge sulla sicurezza, quest’anno il Partito comunista cinese aveva anche introdotto una legge elettorale per l’elezione del Consiglio legislativo in cui limitava il numero dei seggi eletti a scrutinio universale e imponeva un sistema di vaglio dei candidati.
Lunedì, dopo il voto, il regime cinese ha reso pubblico un “white paper”, cioè un documento programmatico per sviluppare quella che viene definita una «democrazia con caratteristiche di Hong Kong». Ovviamente, non è proposta nessuna riforma in senso davvero democratico: nel documento, come ha scritto il South China Morning Post, si legge anzi che la repressione dei movimenti e degli attivisti per la democrazia ha «ristabilito l’ordine», e che il «governo dei patrioti sarà ulteriormente rafforzato».