L’enorme cantiere che cambierà Livorno
La darsena Europa servirà a evitare che il porto e la città diventino marginali nel sistema internazionale di trasporto delle merci
di Isaia Invernizzi, foto e video di Valentina Lovato
Alle sei di venerdì sera le luci potenti delle gru illuminano l’ultima nave cargo entrata nel porto di Livorno. Hapag-Lloyd, si legge sullo scafo. Oltre la darsena c’è soltanto il mare, piuttosto calmo nonostante le prime folate di Libeccio. Lo sbarco è iniziato da pochi minuti, i piazzali sono già quasi pieni di container gialli, verdi, blu, bianchi. Sembra che non ci sia troppa fretta, ma non è così: ogni minuto è essenziale per rispettare i tempi in questo piccolo nodo del complesso sistema di trasporti che sposta merci da una parte all’altra del mondo.
Tra qualche anno a Livorno le operazioni saranno più veloci e sicure rispetto a oggi, perché un pezzo del mare su cui si affaccia il porto lascerà spazio a una nuova enorme piattaforma di cemento, la darsena chiamata Europa.
“Spazio” è una parola importante per chi lavora nel porto di Livorno. Non ce n’è quasi più e tutti lo cercano: gli spedizionieri, gli armatori, i terminalisti, i lavoratori portuali e il comune. Per trovarlo, anzi per crearlo nel mare, nei prossimi mesi verrà allestito il cantiere della nuova darsena, uno dei più estesi e costosi in Italia. Da tempo se ne discute a Livorno, da più di dieci anni, e qui molti addetti ai lavori sostengono che se ne parli troppo poco nel resto del paese.
L’opera è così grande e importante che sicuramente cambierà la città, forse l’economia dell’intera provincia, e avrà effetti sul sistema portuale del mar Tirreno, se non di quello italiano. «Se tutto andrà come penso, tra dieci anni Livorno sarà una delle città portuali più importanti del Mediterraneo», dice Luciano Guerrieri, presidente dell’autorità portuale del Mar Tirreno settentrionale che governa i porti di Livorno, Piombino, Portoferraio e Capraia, nominato dal governo commissario per la realizzazione della darsena Europa.
Ma molto dipenderà da come il porto e la città di Livorno arriveranno alla conclusione dei lavori e in un certo senso da come riusciranno a sopravvivere a un cantiere grande, costoso e complicato: rimanere competitivi per tanti anni in un mercato incerto, condizionato dall’epidemia da coronavirus, è assai difficile per tutti.
Il porto di Livorno è tra i primi in Italia per tonnellate di merci transitate ogni anno. Ogni giorno da qui passa di tutto, dalle Ferrari alle scarpe. È competitivo soprattutto nel traffico chiamato Ro-Ro, da roll-on/roll-off, che interessa veicoli su ruote caricati sulle navi senza essere alzati e spostati dalle gru come i container. Ogni giorno dall’ingresso doganale del porto passano centinaia di camion.
La sbarra della dogana si alza e si abbassa in continuazione per far scorrere la lunga fila di tir che attendono di percorrere gli ultimi metri prima di scaricare la merce. Un camionista si aggira dalle parti degli uffici doganali. Con una mano si gratta la testa, con l’altra regge un pacco di documenti. Il funzionario della dogana sa già come rispondere ai suoi dubbi: senza aprire lo sportello picchietta il dito sul vetro per indicare un cartello con le istruzioni in rumeno, bulgaro, russo, sloveno, croato, polacco e albanese, le lingue della maggior parte degli autisti che passano di qui.
Il porto non si è specializzato in un solo tipo di traffico – gli spedizionieri lo chiamano ancora “l’emporio”, come era definito già all’epoca del Granducato di Toscana – ed è uno dei motivi per cui a Livorno l’espansione del trasporto delle merci via container è stata meno significativa che altrove. Ma la ragione più concreta del limitato traffico di container è la profondità delle sue acque, 12 metri, meno dei pescaggi di tante imbarcazioni cargo.
La stessa struttura del porto, per come sono state costruite e adattate nel corso del tempo le piattaforme e i canali di accesso, rende difficile il passaggio di navi sempre più grandi.
In queste condizioni è difficile rincorrere il cosiddetto gigantismo navale, un problema per moltissimi altri porti nel mondo: negli ultimi anni le navi sono passate da 8000 TEU (twenty-foot equivalent unit, l’unità corrispondente alla capacità un container di 6,1 x 2,4 x 2,6 metri e considerata lo standard nel trasporto marittimo) fino a un massimo di 24mila TEU della Ever Ace, la nave portacontainer più grande del mondo, lunga circa 400 metri, larga 61,5, con un pescaggio di 14,5 metri.
Nel 2017 a Livorno era stato autorizzato l’accesso alle portacontainer fino a un massimo di 9000 TEU. Dalla fine di marzo sono iniziate le sperimentazioni per l’ingresso di navi dal pescaggio superiore agli 11,5 metri come la CMA CGM Alexandra. Nella nuova darsena potranno essere accolte navi con un carico massimo di 18mila TEU.
L’attuale struttura ha condizionato fortemente lo sviluppo del porto, che nel 2020 ha movimentato 716mila TEU, il 9,3 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Nel 2021 le cose stanno andando meglio: da gennaio a settembre c’è stata una crescita del 12,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. I numeri, come lo spazio, sono importanti: con la darsena Europa l’obiettivo è raddoppiare i movimenti arrivando a 1,6 milioni di TEU scaricate e caricate in un solo anno.
Dalla cima di una gru alta quasi quaranta metri si vede bene l’area su cui sarà costruita la nuova darsena, anche se è difficile immaginarla nel mare senza guardare le simulazioni realizzate dall’autorità portuale.
Verranno costruite due nuove dighe, una da 4,6 chilometri che servirà come protezione esterna al porto, e una interna lunga 2,3 chilometri per delimitare le nuove vasche di colmata da 90 ettari che si aggiungeranno a quelle esistenti da 70 ettari. Le vasche di colmata servono a contenere la sabbia dragata dal fondale che va abbassato per far passare le navi: in totale verranno dragati 15,7 milioni di metri cubi di sabbia, melma e rocce, e il fondale passerà da 12 metri a un massimo di 20.
La nuova piattaforma avrà una superficie di 60 ettari, come 85 campi da calcio, con una banchina da 1.400 metri.
Al porto si avrà accesso non più dalla sola imboccatura a Sud. Ne verrà creata anche una a Nord, un nuovo canale, per risolvere l’annoso problema della rotta costretta a curvare di 90 gradi, con notevoli difficoltà per le navi in manovra. La prima fase dei lavori prevede la costruzione del nuovo terminal per i container, la seconda fase il terminal dedicato alle navi che trasportano passeggeri e in parte dedicato al traffico Ro-Ro.
In totale sono previsti investimenti per oltre 800 milioni di euro, una cifra che conferma l’eccezionalità dell’opera. Di questi, 200 milioni sono stati stanziati dal governo, 250 dalla Regione Toscana, 60 dall’autorità portuale e altri 50 dal Fondo di Sviluppo e Coesione. Altri 300 milioni dovranno essere garantiti dai privati per realizzare i terminal.
Al primo bando da 393 milioni di euro si è presentato un gruppo di imprese – Società Italiana Dragaggi spa, Sales spa e Fincosit – controllate da Fincantieri, azienda pubblica partecipata da Cassa Depositi e Prestiti. Tutte e tre hanno già lavorato al porto di Livorno nell’ultimo decennio.
Secondo le previsioni, il cantiere inizierà nel 2022 e durerà 1700 giorni, almeno fino al 2026. Prima dell’inizio dei lavori serviranno il progetto definitivo, la bonifica delle bombe risalenti alla Seconda guerra mondiale e la Valutazione di impatto ambientale (VIA).
«La prima cosa da fare bene è il progetto definitivo. Servirà un po’ di tempo, ma è necessario anche per la VIA, che sarà rigorosa», dice Guerrieri. «Nel primo semestre del 2022, meglio ancora se nel primo quadrimestre, vorremmo pubblicare anche la gara per il terminal vero e proprio, per cui chiederemo il contributo dei privati». Qualche interesse c’è già stato, per fortuna: senza gli investimenti dei terminalisti e delle altre aziende che si occupano di caricare e scaricare le navi, infatti, la darsena sarebbe solo una grande e inutile piattaforma di cemento nel mare.
In merito ai tempi, Guerrieri si definisce «realisticamente ottimista» nonostante in Italia sia frequente imbattersi in problemi e ricorsi quando si cerca di realizzare le cosiddette grandi opere. A Livorno un piccolo intoppo c’è già stato.
Nell’autunno del 2020, in uno dei cesti di cozze usati come sensori dell’inquinamento dell’acqua del porto, erano stati trovati alti livelli di benzopirene, una sostanza cancerogena prodotta dalla combustione di molti prodotti, dalle sigarette ai rifiuti indifferenziati, oltre che di combustibili come il cherosene. Erano stati interpellati l’Istituto superiore di sanità, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e il Consiglio nazionale delle ricerche.
Mesi di attesa, qualche preoccupazione, e infine le nuove analisi svolte in primavera non hanno evidenziato livelli anomali. Per di più, grazie a una verifica sui vecchi campioni, si è scoperto anche che i risultati delle analisi precedenti erano nella norma: gli esiti risultavano sbagliati probabilmente per via di un errore materiale o di una contaminazione del laboratorio.
– Leggi anche: Un cesto di cozze ha bloccato l’ampliamento del porto di Livorno
Negli stessi mesi, nella vicina Pisa, sono emersi alcuni dubbi sulle possibili conseguenze ambientali legate alla darsena. In particolare, è emerso il timore che i cambiamenti del moto ondoso provochino una significativa erosione delle spiagge sulla costa pisana. Per contrastare questo fenomeno, che sarà accentuato a causa della presenza della piattaforma, verranno spostati 5 milioni di metri cubi di terra degli scavi del cantiere e messi sulle spiagge. «Saranno destinati a difesa della costa», assicura Guerrieri. «È materiale sicuro, monitorato da circa vent’anni».
Le rassicurazioni arrivate negli ultimi mesi non hanno convinto gli amministratori pisani. «Di quale tipologia di sabbia stiamo parlando? Quanta? In che misure potrà essere ripartita?», sono le domande dell’assessore all’ambiente del comune di Pisa, Filippo Bedini. «Mi chiedo come si possa fare affermazioni senza uno studio. Le opere di compensazione devono essere quelle giuste, non si può sbagliare».
Le preoccupazioni sono legittime e non ci possono essere deroghe alla tutela del mare, anche se a questo punto non ci sono alternative al progetto. Gli effetti di ritardi o, peggio, della mancata costruzione della darsena sarebbero rilevanti e drammatici per Livorno: il porto diventerebbe marginale nel sistema dei trasporti italiano, con conseguenze per l’occupazione di tutta la provincia. Verrebbero compromessi i tentativi di risolvere le storiche crisi industriali di Livorno e Piombino, con il rischio che si inneschino conseguenze rilevanti anche per altri settori legati alla logistica e a tutto il suo indotto.
Il porto è un luogo chiuso, dove le persone non possono entrare senza autorizzazione, e questo limite negli anni ha creato un certo distacco con la città. Ma le persone che abitano a Livorno sono consapevoli che se cresce il porto crescerà anche la città. È sempre stato così.
L’assessora al Porto, Barbara Bonciani, dice che uno degli obiettivi del suo mandato è far conoscere il porto ai livornesi dopo che negli ultimi decenni si è separato dalla città: «È importante che lo conoscano perché è il principale motore di sviluppo, che garantisce la tenuta sociale di Livorno. La darsena Europa porterà più occupazione: anche così la città cambierà».
Secondo Bonciani, per arrivare pronti al 2026 serviranno molti sforzi, economici e professionali: dovranno essere adeguate le reti ferroviarie, le strade e le autostrade, e lo stesso comune finanzierà cantieri per risolvere i problemi del traffico nella zona del porto: «Le forme urbane delle città portuali sono state da sempre influenzate dal ruolo del porto nel territorio. Sarà così anche per Livorno con la darsena Europa, ancor di più in seguito a fenomeni, come la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, che hanno aumentato la complessità della gestione del rapporto tra il porto e la città».
Ma oltre a comune e Regione, anche le aziende saranno chiamate a investire in strutture e personale per intercettare i nuovi traffici. Ci sarà bisogno di nuove competenze: le figure del portuale e del gruista saranno in parte sostituite da professioni come ingegneri e tecnici.
L’ufficio di Enio Lorenzini è piuttosto piccolo e ordinato. Dalla finestra si vede uno dei grandi piazzali della sua azienda che gestisce uno dei terminal più estesi del porto: dai mille metri quadrati del 1985 è passato a 100mila. Il suono acuto che segnala i mezzi in manovra è incessante e volutamente fastidioso. Dai riquadri sullo schermo del pc si possono controllare tutte le altre aree del terminal, così come da un’applicazione sullo smartphone che Lorenzini getta sul tavolo sorridendo: dice di guardarlo troppo.
Quando ha iniziato a fare questo lavoro, 63 anni fa, il porto era molto diverso, più piccolo, e spesso le merci venivano scaricate dai portuali sulle spalle, con la forza delle braccia. Lorenzini ha 75 anni ed è considerato un pezzo di storia del porto di Livorno. Grazie a un accordo con MSC è riuscito a far sopravvivere la sua azienda in un mercato dominato dai grandi gruppi internazionali, gestiti da fondi di investimento. Nonostante non sia più giovanissimo, continua a immaginare il futuro del porto e a investire con una certa determinazione.
Lorenzini sostiene che sarà essenziale arrivare preparati al giorno in cui sarà aperta la nuova darsena Europa perché non si può crescere all’improvviso da 800mila a 1,6 milioni di TEU. «Servono nuovi traffici per crescere di anno in anno, e per ottenerli abbiamo bisogno di spazi, tanti spazi», spiega. «Noi li abbiamo cercati e trovati anche fuori dal porto, non senza difficoltà. La darsena Europa porterà ricchezza, ma è fondamentale che sia costruita nel più breve tempo possibile e che nel frattempo il porto continui a lavorare e crescere. Stiamo parlando del futuro della città di Livorno, perché qui non c’è altro che il porto».
Negli ultimi mesi del 2017 Lorenzini ha progettato e finanziato l’allargamento del canale di accesso del porto, un lavoro strategico per non perdere traffici e attrarne di nuovi.
Un altro cantiere indispensabile, i cui costi sono sostenuti dall’autorità portuale, è quello del cosiddetto microtunnel, un collegamento sotto il canale di accesso dove far passare i tubi che attualmente sono appoggiati accanto alla sponda e che finora hanno limitato la sezione navigabile del canale a 67 metri. Il tunnel, che collega due pozzi ed è scavato sotto il fondale, consentirà di rimuovere tutti i tubi, interrarli, e portare la sezione navigabile a 120 metri.
Quando si discute della darsena Toscana, imprenditori e lavoratori portuali – sono 1.935 tra Livorno e Piombino – sono d’accordo: va costruita al più presto. «Invece che lavorare in cima alle gru, al freddo e in posizione scomoda, potremo farlo in un ufficio grazie alla tecnologia e alle automazioni che ora non ci sono», spiega Francesco Paolettoni, che da quasi 14 anni sposta container nel porto di Livorno. Ha appena finito il turno di notte e quando pensa agli ultimi due anni rivede migliaia di container spostati mentre la maggior parte delle persone era bloccata in casa.
I lavoratori del porto non si sono mai fermati, dice. «La nuova darsena sarà una rivoluzione: speriamo che dia più lavoro possibile ai livornesi e porti ricchezza alla città».
Nel grande piazzale di fronte all’ingresso dei lavoratori il rumore di sottofondo è quello dei motori sempre accesi: a volte è un suono grave proveniente dalle navi ferme, altre più acuto, quando passano camion e auto. Venerdì scorso sul piazzale erano attesi centinaia di portuali per lo sciopero nazionale del settore proclamato da Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, che è stato sospeso giovedì dopo la firma di un protocollo di intesa tra i sindacati e il ministero.
I sindacati nazionali avevano esteso a tutti i porti italiani la protesta che il 18 e il 19 novembre aveva bloccato il porto di Livorno per 48 ore: i lavoratori chiedevano maggiore sicurezza sul lavoro, un ricorso minore al lavoro straordinario, il superamento del precariato, il riconoscimento del lavoro usurante e il blocco dell’autoproduzione, cioè la possibilità che gli armatori gestiscano alcuni servizi portuali con personale delle navi non ricorrendo ai lavoratori portuali.
Giuseppe Gucciardo ha 50 anni ed è il segretario generale della Filt Cgil di Livorno. Dopo aver lavorato per molto tempo come camionista ha ripreso a studiare: si è diplomato nel 2017 e giovedì scorso si è laureato in Economia all’università di Pisa con una tesi sul “ruolo delle governance portuali nella programmazione infrastrutturale”. È un sindacalista carismatico e influente all’interno del porto – la Filt Cgil ha circa 900 iscritti – e nei mesi scorsi insieme ai colleghi della Cisl e della Uil si è dato molto da fare per concentrare il dibattito sulle condizioni di lavoro piuttosto che sul Green Pass, come è avvenuto a Trieste.
«Dopo che ci siamo sacrificati durante i mesi della pandemia, dando continuità e sicurezza al trasporto essenziale delle merci, non c’è stato nessun tipo di attenzione alle condizioni dei lavoratori», dice Gucciardo. «L’industria armatoriale sta conseguendo utili spaventosi: ci sono società che nel 2021 avranno utili superiori del mille per cento rispetto al 2019, prima della pandemia. È un trasferimento di ricchezza impressionante senza che ai lavoratori arrivi nulla».
Gli scioperi e le proteste degli ultimi mesi hanno consolidato i rapporti tra i lavoratori del porto, che da anni non partecipavano così numerosi alle manifestazioni. I temi principali dello sciopero di novembre, soprattutto la sicurezza e l’eccessivo ricorso agli straordinari, riguardavano anche la darsena Europa che qui cambierà tutto, anche il lavoro. «Quando l’infrastruttura sarà pronta si dovranno ridisegnare tutte le attività e gli spazi», continua Gucciardo.
I sindacati hanno già iniziato a discutere con l’autorità di sistema portuale di come riorganizzare il lavoro nei prossimi anni e delle garanzie di sicurezza che dovranno essere date ai lavoratori. Gucciardo dice che i portuali saranno pronti, anzi lo sono già, e che Livorno non avrà niente da invidiare ai porti del Nord Europa: «Il nostro porto troverà uno spazio adeguato nel mercato globale».