La Coppa Davis delle magliette rosse
Nel 1976 l'Italia vinse per la prima volta il torneo per le nazionali del tennis, battendo a Santiago il Cile sotto dittatura
di Pietro Cabrio
Il 19 dicembre del 1976, a Santiago del Cile, l’Italia vinse la sua prima Coppa Davis, la competizione a squadre del tennis internazionale che si disputa fin dal 1900. La vittoria, ottenuta proprio contro il Cile da Nicola Pietrangeli (capitano-non giocatore), Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Antonio Zugarelli fu il massimo successo della miglior epoca del tennis maschile nazionale e rimane ancora oggi storica, non solo per l’aspetto sportivo.
All’epoca il Cile era governato da tre anni dalla più famigerata dittatura sudamericana del Novecento, che l’11 settembre del 1973 aveva deposto il presidente democraticamente eletto Salvador Allende, suicidatosi nel palazzo presidenziale sotto i bombardamenti dell’aviazione militare.
Il generale Augusto Pinochet, salito al potere con il sostegno dei servizi segreti americani, avrebbe governato il paese per diciassette anni. Il suo regime si distinse fin da subito per la violenta oppressione degli oppositori politici, veri o presunti. Dopo il golpe lo Stadio Nazionale di Santiago divenne un enorme campo di concentramento dove vennero torturate e interrogate oltre 40mila persone, molte delle quali da lì non furono più trovate.
In Italia, nel 1976, ci si trovava nel mezzo dei cosiddetti anni di piombo e del terrorismo politico. L’anno precedente il Partito Comunista aveva ottenuto un risultato eccezionale alle elezioni amministrative e in tanti speravano, o temevano, il “sorpasso” sulla Democrazia Cristiana. Questo non avvenne, ma alle elezioni anticipate di giugno il Partito Comunista di Enrico Berlinguer raggiunse il suo massimo storico ottenendo oltre 12 milioni di voti.
Tra una elezione e l’altra, il tennis italiano stava vivendo una delle sue migliori stagioni di sempre. Il ventiseienne Adriano Panatta aveva vinto gli Internazionali di Roma a maggio e il Roland Garros di Parigi a giugno, ovvero i due più importanti tornei sulla terra rossa. Ad agosto, insieme al compagno di doppio Bertolucci, a Barazzutti e Zugarelli, riuscì a battere la Gran Bretagna a Wimbledon nella finale europea della Coppa Davis, un risultato che permise loro di proseguire alle semifinali intercontinentali.
La Coppa Davis si disputava tra delegazioni di cinque giocatori dello stesso paese, che si sfidavano nell’arco di tre giorni per ciascun turno, incrociandosi in diverse combinazioni tra singolari e doppi. Fino ad allora l’Italia l’aveva soltanto sfiorata, per due volte consecutive tra il 1960 e il 1961. Prima a Sydney e poi a Melbourne, era sempre stata battuta nettamente dall’Australia. Nel settembre del 1976 si giocò però al Foro Italico di Roma e l’Italia riuscì a battere John Newcombe, Tony Roche e John Alexander qualificandosi alla terza finale della sua storia.
Dall’altra parte del tabellone l’Unione Sovietica, su ordine del segretario generale del Partito Comunista Leonid Brezhnev, si era rifiutata di ospitare il Cile per protesta contro il regime di Pinochet. Il Cile passò quindi automaticamente in finale, e in Italia – paese che aveva ospitato numerosi esuli cileni e dove la questione era molto sentita — iniziarono lunghe e accese discussioni. Sulla Rai, il 27 novembre, andò in onda in prima serata un dibattito di un’ora e un quarto interamente dedicato alla partecipazione, e il Partito Comunista portò la questione in parlamento. Domenico Modugno scrisse una ballata in favore del boicottaggio e la cantò a un comizio organizzato dalla comunità cilena in Italia. Ugo Tognazzi disse invece in un’intervista: «Noi in Cile esporteremo automobili, sicuramente cinema, e importiamo rame. Ora, perché proprio Panatta non lo vogliamo esportare, e Bertolucci, Barazzutti e Pietrangeli?».
Le discussioni andarono avanti così da settembre a dicembre, ma i tennisti avevano sempre mantenuto le idee chiare sul da farsi: volevano andare a Santiago e vincere la Coppa Davis. Il governo presieduto da Giulio Andreotti non si sbilanciò, e nemmeno il CONI. Fu il Partito comunista cileno, dalla clandestinità, a chiedere a quello italiano di mandare la squadra a Santiago per non permettere al regime di Pinochet di fregiarsi di quella coppa, anche se vinta a tavolino.
La finale iniziò il 17 dicembre, proprio accanto al famigerato Stadio Nazionale. Iniziò con Jaime Fillol contro Corrado Barazzutti, e con la vittoria di quest’ultimo. Panatta portò poi il risultato sul 2-0 battendo Patricio Cornejo. Il secondo giorno, un sabato, toccò ancora a Panatta, nel doppio con Bertolucci. Il primo, dichiaratamente di sinistra ma nonostante questo accusato di essere un milionario a cui non importava della situazione in Cile, propose al compagno di indossare nei primi set del loro incontro due magliette rosse, come il colore dei fazzoletti che le donne cilene usavano per denunciare la scomparsa di padri, mariti e figli per mano del regime.
La stampa e la televisione italiana seguirono poco o nulla quella finale, per questioni legate ai dibattiti dei mesi precedenti. Fu anche per quello che in pochi si accorsero delle magliette rosse usate in campo nella vittoria decisiva. Panatta in seguito disse: «Se nessuno capì fu grave, se qualcuno capì e fece finta di niente, fu più grave ancora». Ci vollero quasi trent’anni perché quella storia venisse ripresa, principalmente grazie al docufilm La maglietta rossa del regista Mimmo Calopresti, amico di Panatta.
Il 19 dicembre, nella quarta partita dell’ultimo giorno della finale, Panatta vinse ancora contro Fillol, e Zugarelli perse contro Belus Prajoux. Furono però risultati ininfluenti, perché l’Italia vinse la coppa con un risultato complessivo di 4-1. Al ritorno a Roma non ci furono tante celebrazioni, e anzi, all’aeroporto di Fiumicino i tennisti dovettero evitare i contestatori che li attendevano all’esterno. Da allora l’Italia ha giocato altre quattro finali di Coppa Davis: l’anno successivo e poi nel 1979, nel 1980 e nel 1998, perdendole sempre.
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