Come si avvia un progetto di sostegno a distanza
L'obiettivo è migliorare la vita di bambine, bambini e delle loro comunità: aiuta molto creare un legame con chi dona
L’adozione a distanza è una forma di solidarietà, un sostegno duraturo nel tempo, che non cambia solo la vita di un bambino o di una bambina, ma quella dell’intera comunità in cui vive, permettendone lo sviluppo indipendente. Il termine però ha anche implicazioni affettive, per via del tipo di legame speciale che spesso si crea tra chi dona e chi riceve l’aiuto. Chi si occupa di creare il collegamento tra queste due persone sono associazioni come ActionAid, che lavora dal 1989 in Italia e in altri 45 paesi del mondo, ed è una delle più grandi a livello internazionale nella promozione e nella gestione di forme di sostegno a distanza.
Oggi ci sono più di 118mila persone che donano grazie ad ActionAid e circa 105mila bambini che vengono sostenuti da quelle donazioni tra Africa, Asia e America Latina. Per avviare un progetto di sostegno a distanza in una comunità, solitamente ActionAid – che ha una sede in ogni paese in cui opera – stipula accordi con associazioni locali già attive sul territorio, che conoscono bene i luoghi e i loro problemi e fanno da tramite con le comunità che beneficiano dei progetti. Organizzano infatti incontri con le famiglie, con i rappresentanti delle istituzioni locali e con i capi religiosi, spiegando loro come funzionerà il progetto e con quali obiettivi.
Almeno 9 mesi prima di iniziare ufficialmente la collaborazione però ActionAid comincia a cooperare con queste associazioni, che hanno un ruolo delicato e devono dimostrarsi affidabili. Inizialmente quindi vengono coinvolte in progetti più piccoli e brevi: per conoscerle e vedere come lavorano, ma anche per formarle e fare in modo che possano continuare a sostenere le comunità una volta terminata la collaborazione con ActionAid.
Una volta iniziato il progetto, ActionAid lavora molto per mettere in comunicazione i donatori e i bambini delle comunità. I donatori hanno aggiornamenti regolari sulla vita dei bambini e sui miglioramenti delle comunità in cui vivono. Con l’adozione a distanza, il sostenitore non aiuta solo un singolo bambino o bambina. I fondi raccolti infatti finanziano progetti a lungo o medio termine in grado di cambiare la vita di tutta la comunità, come ad esempio la costruzione o il miglioramento di cliniche territoriali, scuole, impianti idrici; la realizzazione di progetti formativi per migliorare la qualità del lavoro dei contadini e la formazione degli insegnanti; la creazione di programmi per sensibilizzare sui diritti delle bambine e donne all’interno delle scuole o tra le donne delle comunità. Complessivamente i progetti di ActionAid aiutano circa 5 milioni di persone.
Nei primi incontri con le associazioni, alle famiglie della comunità viene spiegato che i loro figli possono essere coinvolti nel programma di sostegno a distanza, se loro sono d’accordo, e che questo prevede incontri per raccogliere anche una documentazione da spedire. In base al paese e alla comunità di riferimento vengono organizzati momenti di ritrovo per la raccolta di foto, lettere e disegni da inviare ai donatori. Di solito le scuole collaborano a metterli in piedi, anche se nell’ultimo anno e mezzo è stato più difficile a causa della pandemia.
In generale poi i sostenitori possono restare informati sui progetti di ActionAid nel mondo attraverso comunicazioni cartacee e digitali che seguono gli aggiornamenti e i progressi delle attività. L’associazione ha insomma un rapporto continuo con i suoi sostenitori: sono elementi molto importanti per chi dona, come dicono numerose testimonianze.
Chiara Parrino ha 22 anni, è di Messina e dice che la sua infanzia è stata scandita dai racconti e dalle fotografie che sua madre riceveva, e poi le riferiva e mostrava, su una bambina adottata a distanza in Tanzania. La madre iniziò a donare con ActionAid nel 2000, quando Chiara aveva qualche anno: molte persone – spiegano quelli di ActionAid – sviluppano la voglia di aiutare altri bambini dopo aver avuto dei figli.
Chiara e la bambina in Tanzania, Bahati Pius Tindwa, erano dunque più o meno coetanee, tanto che la madre gliene parlava sempre come di un’altra «sorella» che abitava lontano. Negli anni Chiara e sua madre hanno conservato ogni ricordo in forma di lettera, disegno o fotografia, e ancora oggi li tirano fuori di tanto in tanto per sfogliarli e riguardarli, come si fa con i vecchi album di famiglia. Il sostegno si è concluso quando Bahati Pius è cresciuta ed è diventata maggiorenne.
Chiara ricorda che sua madre conobbe ActionAid attraverso un annuncio e una fotografia su un giornale: una forma di comunicazione dell’iniziativa, simile in parte a questo articolo sul Post, con mutati approcci e mezzi in funzione dei tempi. Allo stesso modo oggi l’invio di materiale via posta tradizionale è stato sostituito per lo più da quello per email, e ne è aumentata la periodicità: prima in alcuni paesi non si riusciva a raccogliere foto, lettere e disegni più di una volta ogni due anni, ora si arriva a due volte all’anno, naturalmente a seconda della situazione nei singoli paesi.
«Mia madre sentiva una grande responsabilità nei confronti di quella bambina», spiega Chiara, «e il fattore che più la spingeva a sostenerla era poter vedere periodicamente i cambiamenti nelle fotografie, sapere che stava studiando o ad esempio che era stato costruito un pozzo nel suo villaggio. Più di tutto, però, le importava garantirle di poter vivere nella sua comunità, di non stravolgere la sua quotidianità, ma migliorarla, con il nostro piccolo contributo».
Una delle cose che Chiara cita più spesso come sorprendenti è il fatto che quel legame affettivo fosse cresciuto grazie alle sole fotografie, dato che sua madre e la bambina, che oggi è una donna, non si sono mai incontrate. Le fotografie mostravano la crescita di Bahati Pius nel corso degli anni: ogni singolo particolare, spiega Chiara, diventava un simbolo di quanto il loro contributo potesse incidere sulla sua vita. Le guardavano e riguardavano attentamente, in attesa di riceverne altre. Il rapporto costante e le testimonianze, per quanto non assidui, la rendevano in un certo senso parte della loro famiglia.
Di recente Chiara ha deciso di basare la sua tesi universitaria sul ruolo della fotografia nello sviluppo di un rapporto tra due persone così distanti, utilizzando come esempio proprio ActionAid. Lei stessa, appena le sarà possibile, inizierà a sostenere un bambino o una bambina con l’adozione a distanza: «È un’eredità che mi porto dietro e che voglio continuare a tramandare».
Alcuni sostenitori decidono anche di partire per conoscere i bambini che sostengono, ed è sempre ActionAid a fare da tramite anche in questi casi. È accaduto a Giulio Ceci, che ha incontrato ad Haiti la piccola Marinette, e a Maria Guarino, che è partita da Napoli per andare con i suoi due figli nel distretto di Bombali, nel nord della Sierra Leone, dove vive la bambina di quattro anni che sostiene.