Il presidente della Corea del Sud vuole a tutti i costi fare la pace con il Nord
E porre fine formalmente alla guerra di Corea, dopo quasi 70 anni dal termine degli scontri: per ora con scarsi risultati
Lunedì Moon Jae-in, il presidente della Corea del Sud, ha detto che «in linea di principio» ci sarebbe un accordo per porre fine alla guerra di Corea, che fu combattuta tra il 1950 e il 1953 e che si concluse con la divisione di Corea del Nord e Corea del Sud. Questo non significa che un accordo ci sia: al contrario, è ancora piuttosto lontano. Ma da tempo la diplomazia della Corea del Sud sta cercando di trovare il modo per riprendere il dialogo con i nordcoreani, e secondo vari giornali e analisti starebbe cercando di convincere l’amministrazione americana di Joe Biden a dichiarare unilateralmente la fine della guerra di Corea.
Benché i combattimenti della guerra di Corea siano finiti di fatto nel luglio del 1953, la guerra è ufficialmente ancora in corso. Tra la Corea del Nord e quella del Sud, sostenute rispettivamente dalla Cina e dagli Stati Uniti, fu raggiunto un armistizio, che decretò la fine dei combattimenti, ma non è mai stato firmato un trattato di pace.
La rappacificazione tra le due Coree – o quanto meno l’inizio di nuovi negoziati – è da anni uno degli obiettivi del presidente sudcoreano Moon, che di recente ha moltiplicato gli sforzi per ottenere qualche risultato concreto in tempo per la fine del suo mandato, che sarà a marzo. Moon ha dedicato alla pacificazione della Corea anche il suo discorso all’Assemblea generale dell’ONU di settembre, e di recente ha concentrato i suoi sforzi per cercare di convincere gli Stati Uniti a emettere congiuntamente una dichiarazione che decreti la fine della guerra.
Questa dichiarazione non sarebbe un trattato formale, che ha bisogno di una controparte, ma un gesto di buona volontà che potrebbe portare a nuovi negoziati. La notizia di una possibile dichiarazione di pace unilaterale ha però preoccupato molti commentatori americani, che temono che aprirsi diplomaticamente e politicamente alla dittatura nordcoreana di Kim Jong-un senza ottenere una contropartita potrebbe essere una mossa pericolosa.
Domenica, quando Moon ha parlato della possibilità di un accordo di pace «in linea di principio», stava partecipando a una conferenza stampa in Australia, e non ha fornito molti dettagli su come potrebbero andare le cose. Si è limitato a dire che tutte le parti dell’antico conflitto (le due Coree, più Cina e Stati Uniti) sono concordi, ma che non sono ancora cominciati negoziati formali perché la Corea del Nord impone come precondizione la fine dell’«ostilità americana». Il governo nordcoreano vorrebbe cioè che gli Stati Uniti, che mantengono 28.500 soldati in Corea del Sud, fossero i primi a fare un gesto di distensione.
In generale, molti analisti sono scettici sulla possibilità che Moon possa avere successo. Per esempio, già nel 2018 si era parlato della possibilità che le due Coree avrebbero firmato un trattato di pace, ma alla fine non se n’era fatto niente.
Le cose si stanno comunque muovendo. Secondo vari giornali, la dichiarazione di pace congiunta di Stati Uniti e Corea del Sud potrebbe essere resa pubblica già nelle prossime settimane.
Cosa successe nella guerra di Corea, rapidamente
Dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1945 la Corea, che era stata occupata dal Giappone, fu divisa in due zone d’influenza lungo il 38esimo parallelo, più o meno dove ancora oggi si trova la cosiddetta “zona demilitarizzata” (DMZ) che divide i due paesi: il nord rimase sotto l’influenza sovietica, il sud sotto quella americana. La divisione avrebbe dovuto essere temporanea, ma in breve tempo finì per consolidarsi. In Corea del Nord prese il potere Kim Il-sung, il nonno dell’attuale dittatore Kim Jong-un, che nel 1950, con il sostegno dell’Unione Sovietica e della Cina, invase la Corea del Sud.
Le truppe nordcoreane arrivarono a conquistare la capitale sudcoreana Seul e buona parte della penisola. A quel punto, le Nazioni Unite crearono un contingente internazionale per difendere il governo sudcoreano. Il contingente, formato da 18 paesi, era in realtà guidato dagli Stati Uniti, che ne costituivano gran parte delle forze.
Dopo qualche mese di stallo, le forze a guida americana riuscirono a respingere i nordcoreani e proseguirono la loro avanzata oltre il 38esimo parallelo, fino a conquistare la capitale nordcoreana Pyongyang e a spingere le forze nordcoreane fino all’estremo confine nord, in prossimità del territorio cinese. A quel punto intervenne nella guerra direttamente l’esercito cinese, con l’aiuto dell’aviazione sovietica, e furono le forze a guida americana a essere ricacciate ancora una volta a sud del 38esimo parallelo.
Seguì un lungo periodo di stallo e di scontri poco conclusivi, che fiaccò entrambe le parti. I negoziati per un armistizio cominciarono già nel 1951, ma la firma arrivò soltanto nel luglio del 1953: parteciparono Corea del Nord, Cina e Stati Uniti. L’accordo prevedeva la creazione di una zona demilitarizzata lungo il confine e la divisione della penisola coreana in due paesi: il Nord sotto la dinastia dei Kim e il Sud sotto la protezione americana. Si stima che nel corso della guerra tra le forze sudcoreane e dell’ONU morirono circa 150 mila militari, mentre tra quelle nordcoreane e cinesi più di 500 mila. Morirono inoltre più di due milioni di civili coreani.
Un trattato di pace?
Firmare un trattato di pace per una guerra conclusa ormai quasi settant’anni fa sarebbe ovviamente un gesto simbolico. La situazione nella penisola coreana è immutata da decenni, e difficilmente un nuovo accordo potrebbe cambiare in maniera consistente la situazione. Al tempo stesso, potrebbe comunque avere un peso importante nei rapporti tra le due Coree, che negli ultimi anni si sono degradati ulteriormente, anche a causa della politica equivoca dell’ex amministrazione statunitense di Donald Trump.
Gli ostacoli principali a una rappacificazione formale riguardano soprattutto i rapporti ostili tra Corea del Nord e Stati Uniti. La prima esige l’eliminazione delle sanzioni americane contro la sua economia e vede come una minaccia la presenza di decine di migliaia di soldati americani in Corea del Sud. Gli Stati Uniti invece hanno come obiettivo la completa denuclearizzazione della penisola coreana, cioè la rinuncia da parte della Corea del Nord al suo programma nucleare.
Delle quattro parti in conflitto, la Cina invece è piuttosto favorevole alla firma di un trattato. Ancora la settimana scorsa Yang Jiechi, un membro del Politburo che si occupa di politica estera e dei rapporti con la Corea del Nord, ha detto che il suo paese potrebbe sostenere nuovi negoziati.