Il guardiano delle dighe
Martin Vairoli è il runner delle dighe: fa lo stesso lavoro di suo nonno, e per quindici giorni al mese sta su una diga sopra i duemila metri d'altitudine
di Claudio Caprara
Questa tappa è stata suggerita da ENEL Green Power.
Martin Vairoli ha 28 anni e da un anno fa il guardiano di dighe. Lo abbiamo incontrato alla diga di Morasco in val d’Ossola, nel nord del Piemonte, non lontano da quella di Vannino dove svolge la sua attività professionale.
La struttura che abbiamo visto è ad “arco gravità“, diversa da quelle a “gravità massiccia“, cioè tipo di grandi dighe più diffuso in Italia, fatte come un muro molto pesante costruito per fermare le acque.
La diga fu inaugurata nel 1939 per produrre energia elettrica. Il lago che si creò sommerse il centro abitato di Morasco (una località di origine walser), un po’ come successe a Curon. Nel gennaio del 1939 venivano girate queste immagini sulla costruzione della diga, che si possono rintracciare nell’archivio dell’Istituto Luce:
«Guardiano si nasce, non si diventa»
Probabilmente ci sono lavori che hanno a che fare con qualcosa di ancestrale. Cento anni fa il nonno di Vairoli faceva lo stesso mestiere, e forse non è un caso che oggi lui trascorra due settimane al mese a oltre duemila metri di altitudine, con un collega con cui divide il lavoro e l’obbligo di solitudine.
«Per me lavorare in una diga ha a che fare con la mitologia. È una condizione estrema, certo. Stare quassù potrebbe anche causare dei problemi legati al carattere delle persone: essere soli per 24 ore al giorno per 7 giorni consecutivi, in mezzo alla natura, senza nessun altro essere umano se non il tuo collega, è fantastico se si è in pace con sé stessi, ma se uno ha dei problemi la situazione può solo peggiorarli».
Alla mitologia della diga ha contribuito anche il racconto eroico delle costruzioni. Uno dei primi cortometraggi di Ermanno Olmi, realizzato per la Edison – la società che costruì la diga Sabbione che fa parte del bacino idrografico della Val Formazza (una delle valli che formano il comprensorio della Val d’Ossola) – ne è un esempio.
Il “carbone bianco”
“Carbone bianco” è una definizione di Francesco Saverio Nitti, ministro dell’Agricoltura, industria e commercio dal 1911 al 1914. Per lui il “carbone bianco”, vale a dire l’acqua, avrebbe emancipato l’Italia da «uno stato secolare d’inferiorità economica».
In Italia ci sono 530 dighe (l’elenco è aggiornato a novembre 2021) di cui lo Stato è responsabile. Il ministero competente è quello delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, il MIT.
La “Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche” ha il compito di svolgere tutte le attività di vigilanza sulle grandi dighe e “le opere complementari per tutelare l’incolumità pubblica”.
Sfruttando i bacini dei fiumi, le dighe fermano il corso dell’acqua, formano i laghi artificiali e permettono di attingere in forma continua e regolare al flusso dell’acqua, per mantenere in movimento le turbine idrauliche delle centrali elettriche, che permettono di convertire l’energia dell’acqua in energia elettrica.
L’acqua che arriva dalla diga è inviata alle turbine, in ognuna della quali c’è un organo fisso, il distributore, che dirige e regola il flusso verso una girante, cioè quella che sembra una grande ventola, che gira grazie all’energia cinetica dell’acqua. L’albero della girante è collegato poi a un alternatore che trasforma l’energia meccanica in energia elettrica.
L’acqua in uscita dalla turbina viene reimmessa nel suo alveo originario, torna cioè nel fiume. L’energia elettrica prodotta deve essere in genere portata a grande distanza, e quindi deve passare attraverso un trasformatore che ne alza la tensione, in modo da poterla inviare attraverso le linee dell’alta tensione.
L’energia idroelettrica è una delle fonti rinnovabili di produzione dell’energia più efficienti: produce circa il 43% dell’energia da fonti rinnovabili in Italia, che è pari a poco più del 15% del fabbisogno energetico nazionale.
«Il guardiano nasce insieme alle dighe: non c’è diga senza guardiano»
«Attraverso degli strumenti di misurazione – spiega Martin Vairoli – il nostro compito più rilevante è monitorare sia il livello del lago che la tenuta del paramento», cioè la parte di diga esposta all’acqua.
Il sistema normativo che regola la gestione delle dighe è particolarmente stratificato e complesso, oltre a essere soggetto a continue precisazioni e aggiornamenti. La legge prevede che «i Concessionari delle dighe sono tenuti a trasmettere in tempo reale i dati di monitoraggio dell’invaso e delle manovre effettuate sugli organi di scarico, con finalità di prevenzione e riduzione del rischio idraulico nel caso di eventi di piena».
Lo stesso lavoro del nonno
«Mio nonno faceva già questo lavoro cento anni fa. Facciamo lo stesso lavoro, a distanza di cento anni, ma probabilmente sono attività non paragonabili. Le dighe sono degli obiettivi sensibili, oggi più di ieri, abbiamo a disposizione nuovi strumenti, ma la presenza umana ha la stessa importanza di un tempo.»
La vita del guardiano prevede l’alternanza di una settimana di residenza continua in diga, e un’altra tra casa e il servizio alla centrale.
«Quella in diga è una settimana particolare. I giorni sono tutti uguali, non c’è sabato e domenica. La mattina è dedicata alle misurazioni e ai controlli: temperatura dell’acqua, sbalzi di livello, movimenti della diga, rileviamo le condizioni dei terreni circostanti. In certe dighe ci sono a disposizione strumenti molto avanzati e moderni, in altre dobbiamo un po’ arrangiarci con strumenti tradizionali».
I dati che vengono raccolti riguardano prima di tutto la stabilità della diga e le reazioni che le paratie hanno in condizioni di maltempo, che devono essere trasmesse alle autorità in tempo reale.
I dati del monitoraggio sono comunicati quotidianamente e riguardano il livello e il volume in metri cubi dell’invaso e le portate scaricate (in metri cubi al secondo).
Le procedure di misurazione “idrologico-idrauliche” da effettuare in caso di piena cambiano con una certa frequenza. Gli ultimi aggiornamenti sono del novembre del 2019.
La maggior parte delle dighe della Val d’Ossola sono state costruite su laghi preesistenti, il pericolo di infiltrazioni e di smottamenti è meno probabile, ma la situazione idrogeologica va obbligatoriamente tenuta sotto controllo.
Il ruolo del guardiano normalmente non ha a che fare con le funzioni di gestione delle acque degli invasi. Non è compito suo la gestione delle paratoie, cioè quelle saracinesche mediante le quali si regola il deflusso di un corso d’acqua. Il governo di queste manovre è di norma centralizzato e gestito a distanza.
Solo in casi di emergenza estrema, ad esempio di piena imprevista e alluvione a cui aggiungere anche un’impossibilità di comunicazione, è possibile che sia necessario l’intervento del guardia dighe. Anche in quel caso ci sono delle procedure e si tratta di persone che hanno una preparazione specifica della gestione di queste situazioni complicate.
La persona oltre il guardiano
«Finiti gli impegni di lavoro siamo liberi. Liberi, si fa per dire. Abbiamo tanto tempo da dedicare alle nostre passioni. Io ho la fortuna di avere passioni che si possono esprimere anche in un ambiente impervio, in alta montagna. Mi piace fotografare, correre, camminare, sciare. Anche rimanendo nei pressi della diga e tenendo sotto controllo la situazione, ho la possibilità di seguire queste passioni».
Martin è il runner delle dighe. Da piccolo correva dietro a un pallone, poi ha continuato a farlo anche fuori dal campo.
«Non sono il solo. Ci sono diversi colleghi che corrono. Ho cominciato a fare qualche gara e appena posso corro».
Darsi con costanza un metodo, un’organizzazione delle giornate, aiuta ad affrontare anche i momenti che potrebbero risultare più pesanti.
«Dedico più tempo possibile alla corsa – da una a tre ore al giorno – compatibilmente con gli impegni professionali. Certamente faccio un lavoro che mi permette di essere costante».
Come è andata con il Covid?
«Noi con questo lavoro siamo sempre un po’ in pandemia. È capitato di avere delle condizioni atmosferiche non semplici e siamo stati senza vedere una persona per settimane. Riuscire a programmarsi la giornata, non solo nei casi estremi, è gratificante e rafforza il carattere.»
Vairoli è stato assunto da un anno e, fin dall’inizio, è stato assegnato alla diga del Vannino, in Alta val Formazza.
«Le case dove abitano i guardiani hanno una novantina d’anni. Sono state progettate e costruite per due nuclei familiari. Una volta i guardiani si portavano in diga le famiglie, perché i turni non erano di una sola settimana, duravano anche dei mesi. Sembra impossibile pensare alla vita di due persone, in mezzo a metri di neve, per mesi. Oggi noi abbiamo molte comodità che loro neanche sognavano. Mio nonno per passare il tempo disegnava quello che vedeva. Mi ha lasciato i fogli con gli schizzi degli stambecchi che incontrava. Era il suo documentario scritto.»
Il caso “lavoro ereditario” di Vairoli non è così raro tra i guardia dighe, ci sono molti figli e nipoti di persone che hanno fatto questo lavoro per tutta la vita.
In tutto questo tempo che si passa da soli, c’è anche un tempo per avere paura?
«Paura non so. Certamente in questo tempo si pensa molto: si riflette sui propri limiti. Io sono diventato padre da pochi mesi e credo che vedere mio figlio una settimana sì e una no mi fa uno strano effetto. Sembra che il tempo che passo con lui sia come un’esperienza a parte, rispetto al tempo che passo da solo, in quota, in mezzo alla natura. È una strana sensazione».
Nel concreto la missione di cui si sente investito Martin Vairoli è di essere un rifermento per le persone che possono avere bisogno di aiuto: i guardia dighe sono a disposizione anche in caso di incidenti di turisti, o di piccole emergenze personali. Sono una specie di sportello aperto per i problemi che può avere la gente in montagna.
La funzione sociale del guardia diga
«Abbiamo corsi obbligatori di primo soccorso, per i lavori che devono essere effettuati in sicurezza, poi ci sono corsi di informatica, di lingue. «Più di una volta ci è capitato di dover soccorrere persone in difficoltà. In quei momenti ci si sente fondamentali anche per salvare delle vite: in montagna il clima cambia da un momento all’altro e i rischi ci sono».
Vairoli non sa se farà questo lavoro per tutta la vita, ma non lo esclude affatto.
Le tecnologie possono sostituire i guardia dighe?
«Le tecnologie possono essere di sostegno, ma certamente non possono sostituire il lavoro di una persona. O comunque, non me lo auguro. La maggior parte delle dighe non è accessibile in diversi periodi dell’anno, io non credo che la gestione delle acque possa essere fatta da una macchina in condizioni estreme, senza considerare che le comunicazioni, spesso, si interrompono».
Oltre al pensiero di Vairoli, ad oggi c’è un obbligo legislativo al presidio umano delle dighe, è dunque certo che per un periodo di tempo indefinito ogni diga continuerà ad avere il suo guardiano.
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