Le elezioni in Libia stanno per saltare
O quanto meno per essere rimandate, a causa dei dissidi tra i candidati, tutti controversi: sarebbero previste il 24 dicembre
Le prime elezioni democratiche della Libia, previste per il 24 dicembre, rischiano di essere rimandate o perfino annullate a causa dei dissidi giudiziari tra i vari candidati e tra le fazioni e le forze politiche che li rappresentano. La data delle elezioni era stata fissata mesi fa nell’ambito di ampie contrattazioni patrocinate a livello internazionale. A meno di due settimane dal voto, però, la commissione elettorale non ha ancora approvato la lista definitiva dei candidati, ufficialmente perché non è in grado di «dirimere tutte le questioni giudiziarie per assicurarsi che la sua decisione sia in linea con le sentenze dei tribunali».
Alle elezioni i libici dovrebbero eleggere un nuovo presidente e rinnovare il parlamento. Sotto molti punti di vista, i lavori di preparazione sarebbero a buon punto: si sono registrati quasi tre milioni di elettori e sono già state distribuite le tessere elettorali. Secondo vari analisti, il sostegno popolare per il voto è piuttosto alto. Ma il problema sono i candidati: se ne sono presentati quasi 100, e i più importanti tra questi hanno tutti tratti problematici, controversi o preoccupanti.
C’è Abdul Hamid Dbeibah, il primo ministro ad interim, che quando fu nominato con l’approvazione della comunità internazionale promise che non avrebbe partecipato alle elezioni per la presidenza. Poi ha cambiato idea, e ha fatto ricorso in tribunale per certificare che la sua promessa era morale, e non aveva forza legale. La commissione elettorale ha accettato la sua candidatura, ma vari suoi rivali hanno fatto ricorso.
Poi c’è il maresciallo Khalifa Haftar, che fino a qualche mese fa era a capo dell’esercito che aveva assediato la capitale Tripoli nel tentativo di conquistare tutto il paese. Dopo la sconfitta militare, ora sta tentando la carriera politica, ma come è comprensibile c’è molta opposizione e diffidenza nei suoi confronti. Anche nel suo caso la commissione ha accettato la candidatura, ma sono stati fatti numerosi ricorsi contro di lui.
Infine c’è forse il candidato più controverso di tutti: Saif Gheddafi, figlio del dittatore deposto Muammar Gheddafi, che nel 2015 era stato giudicato colpevole di crimini di guerra e condannato a morte. Saif Gheddafi aveva poi ricevuto un’amnistia, ma anche la sua candidatura rimane molto controversa. Inizialmente la commissione elettorale l’aveva rifiutata, mia lui aveva fatto ricorso in tribunale, aveva vinto ed era riuscito a farsi ammettere tra i candidati. Ma ancora una volta ci sono ulteriori ricorsi da esaminare.
Le questioni giudiziarie non sono ovviamente le uniche che rallentano il voto: ciascuno dei candidati più forti è a capo di ampie fazioni, a cui spesso risponde anche una o più milizie armate. Richard Norland, ex ambasciatore americano in Libia, ha detto al Guardian che nel paese stanno avendo la meglio «quelli che preferiscono il potere delle pallottole al potere delle urne». In Libia sono ancora presenti migliaia di soldati turchi, o miliziani siriani filo-turchi reclutati nel nord della Siria, che erano andati a combattere a fianco del governo di Tripoli. Sono presenti anche i mercenari del gruppo russo Wagner, che invece erano stati mandati dalla Russia per combattere a fianco di Haftar.
In questa situazione confusa, anche la comunità internazionale risulta a corto di mezzi: Jan Kubis, l’inviato speciale dell’ONU per la Libia, si è dimesso a fine novembre dopo meno di un anno in carica, senza dare particolari spiegazioni. António Guterres, il segretario generale dell’ONU, ha quindi nominato l’americana Stephanie Williams, un’ex inviata speciale che l’anno scorso aveva partecipato ai negoziati di pace, come sua consigliera speciale. Guterres avrebbe voluto nominarla come inviata a pieno titolo e rimetterla al suo posto, dove era stata molto apprezzata, ma la Russia ha messo il veto.