Il referendum in Nuova Caledonia non riguarda solo la Nuova Caledonia
Domenica si vota per la terza volta in pochi anni per l'indipendenza dalla Francia, che teme conseguenze sulla propria politica interna
Domenica si terrà il terzo referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia, il territorio francese d’oltremare che si trova in Oceania e in cui da circa trent’anni è in corso un conflitto politico legato alla possibilità di rendersi indipendente dalla Francia, di cui fa parte dal 1853. Il referendum sarà il terzo sui tre previsti da un accordo firmato nel 1998 dopo molte violenze tra i separatisti e la fazione favorevole a restare parte della Francia, che ha vinto i primi due.
È un voto contesissimo: al centro ci sono forti divisioni etniche che si riflettono in altrettanto forti disuguaglianze economiche, ma anche la volontà della Francia di mantenere il controllo su un territorio strategico nell’area del Pacifico. Anche se il sostegno ai separatisti è cresciuto fra il primo e il secondo referendum, l’esito potrebbe non essere scontato e si teme un ritorno di scontri violenti tra le due fazioni.
Rispetto ai due referendum precedenti – che si sono tenuti nel 2018 e nel 2020 e in cui la fazione favorevole a restare parte della Francia ha vinto rispettivamente col 56,7 e col 53,3 per cento dei voti – c’è una novità importante, che potrebbe rendere più probabile una vittoria del sì, della scelta cioè di trasformare la Nuova Caledonia in uno stato indipendente: per la prima volta nella sua storia dallo scorso luglio il paese è governato da un attivista di origine kanaki, Louis Mapou. I kanaki sono il gruppo etnico più numeroso del territorio, e storicamente sostengono l’indipendenza dalla Francia.
La Nuova Caledonia è un arcipelago che fa parte della Melanesia, una delle regioni dell’Oceania, e si trova circa 1.500 chilometri a est dell’Australia. È un territorio minuscolo – è più piccolo della Sardegna e ha 270mila abitanti, poco più di quelli di Verona – ma è da sempre al centro di forti tensioni e rivalità tra paesi stranieri, oltre che tra fazioni politiche e gruppi etnici interni al territorio.
Fu infatti conquistata dalla Francia nel 1853, dopo una lunga contesa con il Regno Unito, e al suo interno si formarono fin da subito alcuni movimenti autonomisti, legati principalmente al gruppo dei kanaki, gli indigeni nativi dell’isola che sono il 39 per cento della popolazione totale e la parte più consistente del fronte indipendentista.
L’altro grande gruppo di abitanti è costituito dai caldoche, le persone di discendenza europea, che sono circa il 27 per cento della popolazione. I restanti abitanti sono minoranze indonesiane, polinesiane, wallisiane (le persone di Wallis e Futuna, un altro territorio francese d’oltremare) e discendenti di uomini e donne deportati dalle autorità francesi nei campi di lavoro della Nuova Caledonia nella seconda metà dell’Ottocento.
In Nuova Caledonia il fronte indipendentista è guidato dal 1984 dal Front de Libération National Kanak Socialist (FLNKS), una coalizione di partiti che ha sempre protestato contro il regime coloniale francese. Negli anni Ottanta gli scontri con i lealisti francesi furono molto violenti e provocarono decine di morti, spingendo la Francia a organizzare un primo referendum per l’indipendenza, nel 1987. Il referendum, però, fu boicottato dagli stessi indipendentisti, secondo cui non c’erano condizioni di voto trasparenti e democratiche per ritenerlo legittimo.
Nel 1988 la Francia firmò allora gli accordi di Matignon, che tra le altre cose prevedevano l’organizzazione di un referendum sull’indipendenza entro 10 anni. Il referendum fu però rimandato e si arrivò agli accordi di Numea (dal nome della principale città dell’arcipelago), firmati il 5 maggio del 1998 dal governo francese e da esponenti di partiti indipendentisti e separatisti: prevedevano una maggiore autonomia della Nuova Caledonia in ambiti come politica estera, economia e giustizia e, soprattutto, l’organizzazione di fino a tre referendum per l’indipendenza, dal 2018 in poi.
Come detto, sia il referendum del 2018 che quello successivo, del 2020, furono vinti dai lealisti. Quello di domenica è quindi il terzo e ultimo referendum con cui gli abitanti della Nuova Caledonia saranno chiamati a decidere se il paese rimarrà francese o diventerà uno stato autonomo e sovrano. La domanda a cui gli abitanti dovranno rispondere è: «Vuoi che la Nuova Caledonia guadagni piena sovranità e diventi indipendente?».
Non ci sono previsioni chiare rispetto ai risultati. Quelli dei primi due referendum – e il fatto che il nuovo capo del governo sia un attivista indipendentista – hanno mostrato che il fronte indipendentista è cresciuto, non è ancora chiaro se riuscirà a raccogliere abbastanza consensi da ottenere la maggioranza dei voti.
A sostenere il Sì ci sono soprattutto i kanaki, che rappresentano circa il 70 per cento della popolazione che vive in condizioni di povertà. La povertà e il disagio sociale colpiscono soprattutto i più giovani, molti dei quali hanno problemi di droga e alcolismo. Secondo i sostenitori dell’indipendenza, insomma, la dipendenza francese ha creato più che altro disuguaglianze e ha arricchito soprattutto i non indigeni.
Chi si oppone all’indipendenza, dall’altro lato, lo fa proprio evidenziando il benessere economico e le possibilità lavorative e di studio portate dalla dominazione francese nella Nuova Caledonia, così come i disagi immediati che molti servizi pubblici subirebbero con il ritiro dei fondi francesi, e una serie di altre difficoltà logistiche. A catalizzare la posizione dei contrari all’indipendenza è soprattutto Les Voix du Non (“Le voci del no”), una coalizione di partiti contrari all’indipendenza.
Che al centro della campagna ci siano forti divisioni etniche e sociali si è visto anche dalle polemiche seguite alla diffusione, da parte di Les Voix du Non, di una campagna di propaganda a favore del No, fortemente criticata perché considerata razzista e discriminatoria verso le persone indigene e non bianche, e per questo denunciata al Consiglio di Stato francese, il più alto tribunale amministrativo del paese.
Il referendum, infine, è un problema per la Francia, che non vuole perdere il controllo sulla Nuova Caledonia: da alcuni anni il presidente uscente Emmanuel Macron cerca di posizionare il suo paese come una potenza militare nella regione dell’Indo-Pacifico, e lo fa anche grazie al controllo che ha su piccoli territori come la Nuova Caledonia. Il referendum per l’indipendenza, tra l’altro, si svolgerà a pochi mesi dalle prossime elezioni presidenziali francesi, che si terranno ad aprile del 2022.
Se al referendum vincesse il Sì, sarebbe una sconfitta anche per Macron: il candidato di estrema destra Éric Zemmour ha già accusato il governo di non essere in grado di mantenere il controllo sulla Nuova Caledonia e, più in generale, di non avere una posizione forte e salda nell’area del Pacifico, sempre più minacciata dalla Cina.
Secondo alcune analisi la Francia non avrebbe accolto la richiesta degli indipendentisti di posticipare la data del voto – che consideravano troppo vicina alle elezioni presidenziali francesi, e con una campagna referendaria troppo limitata dalla pandemia da coronavirus – proprio per scongiurare una possibile vittoria del Sì.
A seguito di alcuni accordi fatti lo scorso giugno, comunque, al referendum di domenica (qualsiasi sia l’esito del voto) seguirà un periodo di transizione di 18 mesi per discutere di come gestire e impostare le future relazioni tra Francia e Nuova Caledonia. Al termine di questo periodo verrà formulata una nuova proposta finale, che verrà votata a giugno del 2023 in un nuovo referendum. Nel frattempo, però, è probabile che, come nel periodo che precedette gli accordi di Numea, gli scontri tra le fazioni favorevoli e contrarie all’indipendenza possano aumentare.
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