L’ambizioso piano della California sull’aborto
I leader locali, Democratici, vogliono garantire il diritto all'aborto anche alle donne che vivono in stati dove negli ultimi anni sono state introdotte importanti restrizioni
La discussione in corso alla Corte Suprema statunitense sulla legittimità delle norme che in Mississippi regolano l’interruzione di gravidanza potrebbe ribaltare la storica sentenza che dal 1973 garantisce l’accesso all’aborto a livello federale negli Stati Uniti, con conseguenze per milioni di persone. Sebbene sia impossibile prevederlo con precisione, secondo alcune stime se questo accadesse il numero degli aborti legali nel paese potrebbe diminuire del 14 per cento (circa 100 mila aborti legali in meno ogni anno).
Secondo il Guttmacher Institute, che si occupa di politiche sull’aborto negli Stati Uniti, se la legge federale venisse indebolita o capovolta sarebbero 26 su 50 gli stati americani che vorrebbero introdurre divieti all’aborto, con conseguenze enormi: milioni di donne potrebbero essere costrette ad affrontare lunghi spostamenti e spese molto alte per andare negli stati dove l’aborto continuerà a essere garantito; altre sarebbero costrette a rinunciarvi, altre ancora a trovare metodi non sicuri per realizzare la procedura.
In previsione di questo scenario, la California si sta preparando a diventare una specie di “rifugio” per la salute riproduttiva delle donne di tutto il paese.
Mercoledì i leader Democratici locali, appoggiati dal governatore Democratico Gavin Newsom, hanno annunciato una proposta che li impegnerà tra le altre cose a garantire le procedure e a coprire i costi di viaggio e alloggio delle donne a basso reddito che vorranno andare in California per abortire. Toni G. Atkins, presidente del Senato californiano, ha detto: «Consideriamo quello che stiamo vivendo un momento incredibilmente critico nella storia dei diritti delle donne. Vogliamo che le persone sappiano che saremo parte della soluzione».
Il contesto
Negli Stati Uniti l’aborto è legale a livello federale, come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema conosciuta come “Roe v. Wade” del 1973, ma non c’è una legge unica che ne regoli le modalità in tutto il paese: ogni stato ha le proprie norme che stabiliscono quali siano i criteri e i limiti entro i quali poter interrompere una gravidanza.
Il fatto che l’aborto sia diventato legale grazie a una sentenza e non a una legge, unito alla presenza di movimenti antiabortisti molto forti, ha reso l’aborto un tema di discussione particolarmente acceso sia tra le forze politiche locali di molti stati, sia tra molti leader politici statali e il governo federale. Ha anche fatto sì che sulla questione gli stati potessero ampiamente legiferare, un processo che negli ultimi anni è andato spesso nella direzione di limitare il diritto all’aborto e capovolgere la sentenza “Roe v. Wade”.
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Lo scorso ottobre, il Guttmacher Institute, che si occupa di politiche sull’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti, ha calcolato che nel corso del 2021 sono state introdotte 106 restrizioni all’aborto in tutto il paese, e che 12 di queste avevano a che fare esplicitamente con un divieto.
L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è quello del Texas: la legge nota come “Senate Bill 8” proibisce le interruzioni volontarie di gravidanza una volta che il personale medico abbia riscontrato “attività cardiaca” nell’embrione, che di solito si verifica attorno alle sei settimane, un momento della gravidanza in cui molte donne non sanno ancora di essere incinte. La legge incoraggia inoltre chiunque a denunciare i medici che praticano l’aborto e tutte le persone che lo rendono possibile, anche chi aiuta la donna a pagare le spese mediche o semplicemente la accompagna in una clinica.
Oltre al caso del Texas, che è finito sulle pagine di tutti i giornali internazionali, ci sono altri cinque stati che nel 2021 hanno approvato un numero molto elevato di limitazioni contro l’aborto: l’Arkansas (20 restrizioni), l’Oklahoma (16), l’Indiana, il Montana e il South Dakota (9 ciascuno). Le decisioni prese quest’anno si vanno ad aggiungere alle centinaia già approvate negli anni scorsi.
Tra il 1973 e l’ottobre 2021 sono state promulgate oltre 1.300 restrizioni all’aborto negli stati americani, e dal 2011 sono state quasi 600: ci sono voluti quasi 40 anni per accumulare il 56 per cento delle restrizioni finora introdotte e solamente un decennio circa per accumularne il restante 44 per cento. Tali restrizioni hanno come obiettivo quello di rendere molto difficile abortire dal punto di vista logistico, oppure troppo costoso. Possono comprendere il divieto di finanziare l’aborto o di utilizzare la propria assicurazione, pubblica o privata, per coprire le cure per l’interruzione di gravidanza.
Ognuna di queste restrizioni, o tutte insieme, hanno reso più difficile l’accesso all’interruzione di gravidanza e rappresentano la base di limitazioni e divieti sempre più gravosi. Attualmente, negli Stati Uniti, quasi 40 milioni di donne di età compresa tra i 13 e i 44 anni (il 58 per cento del totale) vivono in stati che si sono dimostrati ostili all’aborto.
Nel 2019, il Guttmacher Institute aveva anche raccomandato che di fronte ai tentativi di restringere il diritto all’aborto gli stati non ostili prendessero una serie di misure, come fornire coperture assicurative, garantire l’accesso alle informazioni, sostenere l’accesso delle adolescenti alla procedura, prevenire la violenza clinica, aumentare i servizi e i medici che praticano le interruzioni, o favorire la telemedicina.
La California, dove le cliniche che praticano aborti hanno già registrato un aumento di donne provenienti dal Texas, sembra aver ampiamente accolto il suggerimento.
La California
La California è uno stato tradizionalmente Democratico che negli anni ha introdotto diverse leggi per garantire alle donne un aborto libero e sicuro: ha deciso, ad esempio, che le studenti delle università pubbliche potranno avere l’accesso gratuito alla procedura farmacologica.
Nel 2014 la California aveva stabilito l’obbligo per le assicurazioni sanitarie private di includere nella copertura il rimborso per le pratiche abortive. E quando l’ex presidente Donald Trump aveva cercato di fare pressione per ribaltare questa disposizione, il governatore Democratico Gavin Newsom – che i Repubblicani hanno cercato di recente di rimuovere, ma senza riuscirci – aveva definito la manovra come un «atto politico meschino» aggiungendo che «l’assistenza sanitaria delle donne è una questione di salute pubblica».
Nel maggio del 2019, la California si era ufficialmente proclamata stato garante della «libertà riproduttiva», impegnandosi a difendere il diritto all’aborto.
Per dare continuità e concretezza all’impegno, lo scorso settembre era stato costituito il California Future of Abortion Council (CA FAB Council), organo composto da più 40 organizzazioni a favore della libertà di scelta, sostenuto da diversi politici e fondato, tra gli altri, proprio dal governatore Gavin Newsom. A dicembre, il CA FAB Council ha pubblicato una serie di raccomandazioni «per proteggere, rafforzare e espandere» i servizi legati all’aborto nello stato.
Le raccomandazioni sono 45 e sono suddivise in 7 aree principali. Prevedono una serie di azioni per migliorare la raccolta dei dati e le ricerche per poi individuare le priorità degli interventi. Chiedono di colmare la disinformazione e di garantire un’educazione «accurata, culturalmente rilevante e inclusiva sull’aborto e sull’accesso alle cure», di introdurre tutele legali per chi ha abortito, per chi fornisce aborti e per le organizzazioni di supporto all’aborto. Prevedono inoltre di ridurre le barriere amministrative e istituzionali nell’accesso all’interruzione di gravidanza, di aumentare i finanziamenti alle cliniche e di istituire la “California Reproductive Scholarship Corps”, per migliorare la formazione di «medici, infermieri professionisti, infermiere-ostetriche, assistenti medici e altre professioni sanitarie con background diversi».
Le raccomandazioni chiedono anche di aiutare le cliniche ad aumentare la loro forza lavoro con borse di studio a studenti di medicina che si impegnano a offrire servizi abortivi nelle zone meno urbanizzate dello stato, e con sostegni concreti per i loro prestiti studenteschi. E dicono che dovranno essere coperte le spese di viaggio, alloggio o assistenza all’infanzia alle donne che hanno un basso reddito e che andranno in California ad abortire.
Stabiliscono infine che le cliniche in cui si eseguono aborti ricevano rimborsi per l’erogazione dei servizi previsti dal Medicaid, il programma governativo di copertura sanitaria destinato alle persone più povere, anche per chi non è residente in California.
Gavin Newsom ha spiegato che i dettagli economici delle raccomandazioni saranno inclusi nella sua prossima proposta di bilancio, e che occuparsi economicamente di tutelare anche le donne che provengono da altri stati sarà possibile: per l’anno prossimo è previsto un avanzo di bilancio pari a circa 31 miliardi di dollari.
È difficile dire con precisione quante donne potrebbero scegliere di andare in California ad abortire se la legge federale venisse ribaltata.
Il Guttmacher Institute ha calcolato che nel 2017 in California furono eseguiti 132.680 aborti, ossia circa il 15 per cento di tutte le interruzioni di gravidanza del paese. Il numero includeva le persone provenienti da altri stati e anche le adolescenti, che nello stato non sono tenute ad avere il permesso dei loro genitori per abortire. Planned Parenthood, la nota organizzazione di cliniche non profit che fornisce servizi sanitari alle donne e che rappresenta circa la metà delle cliniche abortive della California, dice che già nel 2020 aveva assistito oltre 7 mila persone provenienti da altri stati.
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