La Commissione Europea vuole darsi più poteri sulla politica estera
Proporrà uno strumento per decidere sanzioni in autonomia: i governi nazionali non ne sono esattamente entusiasti
Mercoledì la Commissione Europea, l’organo che detiene il potere esecutivo all’interno dell’Unione Europea, presenterà una serie di misure per garantirsi maggiore potere sulla politica estera, tradizionalmente gestita dai governi nazionali.
La proposta è contenuta in un documento chiamato “Nuovo strumento anticoercizione”, che se approvato garantirà alla Commissione il potere di imporre sanzioni commerciali a paesi e persone extracomunitarie che «interferiscono indebitamente nelle scelte strategiche dell’UE o degli Stati membri», spiega la Commissione. In estrema sintesi, la Commissione vuole garantirsi poteri più ampi rispetto a quelli di cui dispone oggi sulla politica estera comunitaria.
La proposta della Commissione ha buone possibilità di essere approvata dalle altre istituzioni europee per via di una specie di scappatoia legale: dato che nominalmente è una misura che riguarda gli scambi commerciali non avrà bisogno dell’unanimità per essere approvata dal Consiglio dell’Unione Europea – l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 stati membri – come invece è previsto per tutte le misure di politica estera.
La notizia è stata anticipata lunedì 6 dicembre dalla newsletter “Brussels Playbook” di Politico, che l’ha definita potenzialmente «il più grande aumento di potere dell’Unione Europea in politica estera degli ultimi decenni». Negli ultimi due giorni però diversi governi hanno fatto filtrare dubbi e resistenze che potrebbero ostacolare l’approvazione del nuovo strumento.
Negli ultimi anni la necessità, prevista dai trattati europei, che ogni decisione di politica estera preveda l’unanimità del Consiglio ha spesso rallentato o ostacolato prese di posizione nette dell’Unione Europea. Diversi commentatori ed esperti di cose europee ritengono che per guadagnare rapidità ed efficienza, e quindi peso nell’ambito della politica estera, l’Unione dovrebbe eliminare il principio dell’unanimità, per esempio sui voti alle sanzioni nei confronti dei paesi extracomunitari, oggi gestiti dal Consiglio.
Le istituzioni che tendono ad avere una visione più europea, come il Parlamento e la Commissione, chiedono da tempo che il Consiglio, cioè i governi nazionali, ceda un pezzo della propria sovranità nell’ambito della politica estera: e il “Nuovo strumento anticoercizione” va esattamente in questa direzione. «Dobbiamo proteggere i nostri interessi economici e rafforzare il nostro diritto legittimo di imporre contromisure, se necessario. Questo è il senso dell’iniziativa», ha detto il vicepresidente della Commissione e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis.
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Secondo il Financial Times, che ha letto in anticipo il documento, lo strumento prevede una dozzina di provvedimenti che la Commissione può prendere in autonomia nel caso ritenga che un paese estero si stia comportando in maniera scorretta nei confronti dell’Unione o di un singolo paese europeo. Includono dazi, divieti di importazione di alcune sostanze, la sospensione della cooperazione scientifica e dell’accesso al mercato unico dei capitali finanziari, oltre ad altre misure pensate per colpire individualmente le persone. Secondo la proposta della Commissione, le sanzioni entrerebbero in vigore non appena decise, e per sospenderle sarebbe necessario un voto a maggioranza all’interno del Consiglio.
«Ci aspettiamo una discussione intensa», ha detto un funzionario europeo a Reuters. Alcuni stati ritengono che agire nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (la WTO) dia maggiori garanzie e che la Commissione non abbia il quadro completo dei potenziali effetti collaterali. Altri ancora temono semplicemente di perdere peso nel complesso processo decisionale con cui l’Unione Europea imposta la propria politica estera.
La Francia, che dall’1 gennaio deterrà per sei mesi la presidenza di turno del Consiglio, si è già detta favorevole alla proposta della Commissione. Altri stati tendenzialmente più favorevoli al libero commercio come Svezia e Repubblica Ceca hanno messo in dubbio la necessità di uno strumento del genere. Proprio Svezia e Repubblica Ceca sono i prossimi due stati che gestiranno la presidenza di turno del Consiglio dopo la Francia: «quindi toccherà verosimilmente a una di loro a condurre i negoziati sulla proposta della Commissione, alla fine del 2022 o all’inizio del 2023», stima Politico.