La velocissima ascesa della mafia albanese
Da qualche anno è diventata sempre più importante in Europa per la gestione del traffico di cocaina, e ha forti legami con le mafie italiane
Tra il 2018 e il 2020 la maggior parte di arresti in Europa per traffico di cocaina ha riguardato cittadini albanesi: 266 persone, più dei 257 brasiliani e dei 168 colombiani arrestati nello stesso periodo. L’aumento degli arresti è coinciso anche con un passaggio di qualità: se per anni i trafficanti albanesi si erano limitati a essere manovalanza di altre organizzazioni criminali, ora invece i gruppi criminali, strutturati sul modello della ‘ndrangheta italiana, hanno costruito solidi rapporti con i narcotrafficanti in Sud America, soprattutto in Ecuador, e aumentato la loro influenza.
Da semplice comprimaria, la mafia albanese si è imposta ovunque. Secondo un recente rapporto dell’Europol, controlla gran parte del mercato britannico della cocaina e in Europa ha interessi forti in Germania, Belgio, Svizzera, Bulgaria e Grecia. Per ragioni logistiche e di vicinanza, il paese in cui i suoi affari stanno maggiormente prosperando è l’Italia.
Durante un convegno ad agosto, Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica a Catanzaro, da anni impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, ha detto che «da almeno tre anni dico che in Europa c’è una mafia emergente, quella albanese. L’Albania è un paese corrotto, dove è facile corrompere i funzionari pubblici. Se poi esco dall’Albania e ho già un potere economico riesco a rafforzarmi come mafia internazionale».
Una prova dell’attivismo della mafia albanese viene dalle operazioni di polizia. Per esempio nel settembre 2020 l’operazione Los Blancos colpì il clan albanese più forte presente in Europa, la Kompania Bello. All’operazione parteciparono la polizia italiana, l’Europol e l’Eurojust, l’agenzia europea per la cooperazione giudiziaria penale. Le indagini partirono da una violenta rissa avvenuta nel 2014 nel centro di Firenze. A scontrarsi furono due gruppi contrapposti di cittadini albanesi che si contendevano le piazze della prostituzione tra Firenze e Prato. La polizia scoprì che alcune delle persone fermate erano anche coinvolte nel traffico di stupefacenti.
Per comunicare tra loro i vari membri dell’organizzazione utilizzavano il sistema di messaggistica dei cellulari BlackBerry: seguendo le comunicazioni, e dopo un’indagine durata anni, le polizie europee scoprirono un traffico di cocaina che dall’Ecuador arrivava nei porti di Anversa e Rotterdam. Da qui la cocaina ripartiva, anche verso l’Italia, a bordo di camion con doppio fondo. «Su ogni confezione», spiegò il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, «veniva messo il marchio “Bello” per convalidare l’asserita qualità del prodotto».
In carcere finirono 21 cittadini albanesi, mentre altri 80 erano stati arrestati in precedenza tra Paesi Bassi, Albania, Belgio, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Germania, Grecia, Romania e Ungheria. Furono presi anche i due capi dell’organizzazione: Denis Matoshi, 40 anni, arrestato a Dubai, e Dritan Rexhepi, anche lui quarantenne, catturato in Ecuador.
Rexhepi, considerato il capo della Kompania Bello, risiedeva in Ecuador da molti anni. Era arrivato al seguito di Adriatik Tresa, a lungo capo della mafia albanese in Sud America, assassinato il 20 novembre 2020 nella comunità chiusa di La Aurora, nei pressi di Guayaquil, la città più popolosa del paese. Quattro sicari travestiti da poliziotti si presentarono alla porta della sua villa, uccisero lui e le sue guardie del corpo e si allontanarono. Tresa era ben conosciuto dalle polizie sudamericane ed europee. Controllava infatti una parte sempre crescente del traffico di cocaina da un continente all’altro. In Ecuador aveva trovato una base solida e comoda.
Sono molte le ragioni per cui la mafia albanese ha scelto l’Ecuador come centro dei suoi affari: i 700 chilometri di confine con la Colombia, la posizione centrale, i porti e soprattutto la corruzione diffusa tra poliziotti e giudici. La presenza di narcotrafficanti albanesi nel paese è stata segnalata dall’inizio degli anni 2000. E nel 2011 il direttore per il Sud America della DEA americana (Drug Enforcement Administration), Jay Bergman, disse: «Ci sono bande criminali albanesi, ucraine, italiane, cinesi in Ecuador, tutti hanno una fetta di prodotto da distribuire nei rispettivi paesi»
Fino al 2016 la mafia albanese si limitò a fornire supporto alla ‘ndrangheta che aveva il controllo del traffico dal Sud America. Quell’anno però ci fu una grande espansione della domanda proveniente dai paesi europei: aumentò la produzione e i narcos sudamericani cercarono altri interlocutori. Gli albanesi erano pronti. Strinsero accordi con la Constru, uno dei gruppi paramilitari più forti, formato da ex membri delle FARC, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, e proprietario dei campi nel dipartimento di Putumayo, dove la produzione di cocaina è ingente. Gli albanesi furono tra i primi a sfruttare sottomarini per il trasporto di cocaina dall’Ecuador al Nord e Centro America. Un sottomarino che trasportava sette tonnellate di cocaina fu scoperto nel 2013 a Limones, nella provincia di Esmeraldas, nel nord dell’Ecuador.
– Leggi anche: I sottomarini dei narcos arrivano in Europa
Anche in Italia la mafia albanese ha iniziato come comprimaria per poi imporsi come organizzazione indipendente e sempre più potente. Secondo il rapporto annuale del 2020 della DIA, Direzione Investigativa Antimafia:
«I criminali albanesi presenti su gran parte del territorio nazionale si esprimono attraverso diversi livelli di operatività. Alcuni agiscono in seno a piccoli gruppi anche multietnici per la commissione di reati contro il patrimonio. In altri casi è stata riscontrata la presenza nel Paese di organizzazioni criminali strutturate e durevoli che operano secondo modalità simili a quelle delle “mafie tipiche” La criminalità albanese è attiva prevalentemente nel traffico di sostanze stupefacenti e di armi nonché nella tratta di esseri umani e nello sfruttamento della prostituzione talvolta in accordo funzionale con organizzazioni di diversa etnia (rumena e nigeriana)».
La mafia albanese ha rapporti profondi con tutti i gruppi della criminalità organizzata italiana. I rapporti con la mafia siciliana risalgono agli anni Novanta quando Cosa Nostra, colpita duramente dalle iniziative della magistratura, trovò un alleato efficace proprio nelle famiglie albanesi. Secondo rapporti di polizia, importanti famiglie mafiose hanno adesso un loro quartier generale a Valona, in Albania, mentre in Italia hanno dato in appalto alle organizzazioni albanesi il racket della prostituzione. Con la ‘ndrangheta i rapporti d’affari sono molto stretti. Elementi importanti della Kompania Bello, poi arrestati, vivevano in Calabria, a Platì e Bovalino. E una stretta collaborazione tra ‘ndrangheta e criminalità albanese è stata scoperta ormai da tempo nel Nord Italia, soprattutto in Piemonte e Liguria.
Con la Sacra Corona Unita, la mafia pugliese attiva soprattutto nel Salento, gli accordi sono stabili da anni. Le bande albanesi utilizzano le coste pugliesi per far arrivare in Italia, soprattutto da Valona, marijuana e hashish: la Sacra Corona Unita mette a disposizione gommoni, scafisti e punti di attracco.
La mafia albanese è fondata esclusivamente su legami familiari. I clan sono chiamati fis e sono l’espressione di una o più famiglie che hanno comunque legami di sangue tra loro. C’è un consiglio direttivo, il Bajrak, paragonabile alla cupola mafiosa. Ogni gruppo ha un capo, il Krye, e un vicecapo, il Kryetar, che ha a sua volta un vice che è l’uomo di collegamento con i tutti i membri dell’organizzazione. Nessuno, all’interno del clan, si considera manovalanza. Un giornalista inglese, John Lucas, che ha studiato a lungo i clan albanesi, ha scritto che «i gangster albanesi dicono che il senso dell’onore impedisce loro di ricevere ordini. I rapporti criminali sono paritari, e quando un boss prende decisioni, le istruzioni di solito sono date con rispetto, per evitare di offendere gli altri».
Non esiste una formula di giuramento per i membri dei clan; esiste però un codice non scritto, basato sulla besa, cioè la fiducia, il rispetto della parola data. Spiega sempre Lucas: «Besa è il perno di un codice d’onore riassunto da questo motto: “Quando un albanese ti dà la sua parola, ti dà suo figlio”».