Le infezioni fungine potrebbero diventare un problema
C’entrano i cambiamenti climatici, che potrebbero portare i funghi a diventare più pericolosi per gli esseri umani
Nel 2009 una paziente in Giappone contrasse un’infezione da fungo a un orecchio mai osservata prima e da allora chiamata Candida auris. È un’infezione dello stesso genere della più diffusa candidosi sessualmente trasmissibile (Candida albicans), ma presenta una maggiore trasmissibilità, un’alta resistenza ai farmaci disponibili per curarla (antimicotici e antibiotici) e sintomi più gravi, tra cui febbre, dolori muscolari e affaticamento. Tutti fattori che – unitamente a una sopravvivenza a lungo termine del fungo sulle superfici e sulle attrezzature sanitarie – contribuiscono ad aumentare i tassi di mortalità tra le persone infette. Dopo quel primo caso in Giappone, nel giro di pochi anni, altri casi di infezione emersero in Venezuela, Iran, Russia e Sudafrica.
Inizialmente i ricercatori e le ricercatrici ipotizzarono che la diffusione della Candida auris fosse un fenomeno infettivo riconducibile agli spostamenti delle persone, via via più frequenti. Dopo aver analizzato i casi emersi nei diversi paesi conclusero tuttavia che quelle infezioni sconosciute non avevano correlazioni tra loro e che i funghi appartenevano a ceppi diversi, geneticamente tanto differenti da far pensare che quei ceppi abbiano iniziato a differenziarsi migliaia di anni fa e, solo di recente, a sviluppare una certa resistenza ai farmaci.
Sebbene le infezioni fungine siano un fenomeno ancora poco conosciuto, si stima che circa un terzo delle persone che contraggono la Candida auris muoia a causa dell’infezione entro 30 giorni. I casi gravi di infezioni fungine in tutto il mondo sono circa 300 milioni ogni anno e provocano la morte di 1,7 milioni di persone, più della malaria e tanto quanto la tubercolosi. E alcuni studiosi e studiose ritengono che il progressivo aumento delle infezioni di questo tipo negli ultimi anni possa essere un fenomeno legato in parte alle trasformazioni avviate dai cambiamenti climatici.
In particolare, il possibile adattamento di alcuni funghi ad ambienti più caldi potrebbe in futuro rendere meno utili le naturali difese degli animali a sangue caldo contro le infezioni fungine, un fenomeno che in condizioni normali interessa invece prevalentemente pesci, rettili e anfibi, oltre che le specie vegetali. Negli ultimi vent’anni, per esempio, una vasta e catastrofica infezione provocata da un fungo (Batrachochytrium dendrobatidis) ha causato la decimazione di intere popolazioni di anfibi in tutto il mondo.
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Una delle ragioni per cui le infezioni fungine sono così comuni in moltissime specie animali, ha spiegato a Wired il micologo Andrej Spec della Washington University School of Medicine di St. Louis, nel Missouri, è perché i funghi sono dappertutto. «Hai presente la canzone “Every Breath You Take”? Eh, ogni respiro che fai inspiri qualcosa come una quantità tra 100 e 700 mila spore», ha detto Spec. Chiaramente, gli esseri umani possono contrarre infezioni fungine, alcune delle quali sono peraltro una delle più frequenti cause di morte nelle persone immunodepresse. Ma la principale ragione per cui un’infezione fungina è un evento relativamente improbabile tra gli esseri umani è la nostra temperatura corporea.
Le specie a sangue caldo sono tendenzialmente un ambiente troppo caldo per la sopravvivenza dei funghi. Circa il 95 per cento delle specie non può infatti sopravvivere alla temperatura interna media degli esseri umani, secondo uno studio del microbiologo e immunologo della Johns Hopkins University Arturo Casadevall, che si occupa di malattie fungine e dei meccanismi di difesa dell’organismo ospite (la specie, animale o vegetale, a spese della quale vive un parassita). Sebbene ritenuta incerta e difficile da dimostrare, un’ipotesi sostenuta da Casadevall è che la nostra natura a sangue caldo possa essersi evoluta specificamente per evitare le infezioni fungine capaci di sterminare intere popolazioni di animali a sangue freddo.
In compenso, la termoregolazione che permette agli animali a sangue caldo di mantenere quella temperatura corporea ha un altro “costo”: il bisogno di un costante consumo di energia e quindi di cibo, condizione che espone a un maggior rischio di diventare preda di altri animali. La protezione degli animali a sangue caldo dalle infezioni fungine, secondo la teoria sostenuta da Casadevall, potrebbe essere motivata dal fatto che i funghi non si sono adattati a vivere all’interno del corpo umano. Ma con il riscaldamento globale le cose potrebbero cambiare.
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Dal 1880 le temperature medie mondiali sono aumentate di 1,2 °C, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, e si stima che – con gli attuali ritmi di emissioni di gas serra nell’atmosfera – le temperature possano aumentare di 4 °C entro la fine del secolo. Questi margini, scrive Wired, possono fare la differenza tra la resistenza ai funghi e la morte per infezione da fungo, un fenomeno che già oggi è più comune nei luoghi caldi. Per esempio, la criptococcosi – un’infezione polmonare causata dall’inalazione delle spore di un fungo presente in terreni contaminati da escrementi di uccelli – è più frequente e letale in Africa che nelle regioni più temperate.
Con il riscaldamento globale, sostiene Casadevall, di fatto un numero crescente di luoghi del pianeta si avvicinerà alla temperatura interna del corpo umano, e queste condizioni potrebbero prima o poi favorire l’adattamento dei funghi a temperature più alte. A quel punto, i funghi potrebbero trovare nuovi ospiti negli esseri umani, potendo più facilmente sopravvivere alla loro temperatura media interna. E questo è quello che Casadevall ritiene stia accadendo almeno in parte con l’aumento dei casi di Candida auris, probabilmente associato a una capacità del fungo di crescere e riprodursi a temperature più alte rispetto a quella di altri suoi parenti stretti.
A rendere ulteriormente pericolose le infezioni fungine, scrive Wired, contribuisce il fatto che non esistano attualmente ottimi strumenti per contrastarle, per una serie di ragioni. Innanzitutto perché la ricerca è molto poco finanziata, per ragioni principalmente storiche: le infezioni fungine potenzialmente letali per gli esseri umani sono sempre state relativamente rare.
Inoltre, a causa della genericità dei primi sintomi delle infezioni fungine, non sempre il personale medico è in grado di individuare tempestivamente l’infezione. E, quando ci riesce, spesso è troppo tardi e ha meno farmaci a disposizione rispetto a quelli utili per la cura di altre malattie. In alcuni casi di infezioni fungine da Coccidioides, la progressiva diffusione del fungo in tutto il corpo può portare alla produzione di tessuto cicatriziale nei polmoni, compromettendone le funzioni. In circa un caso su 100, il fungo porta allo sviluppo di masse potenzialmente letali negli organi e nelle membrane intorno al cervello.
«L’umanità dovrebbe investire di più nell’apprendimento di quello che è il più grande regno del pianeta», ha affermato Casadevall, segnalando l’urgenza di incrementare i fondi per la ricerca sulle infezioni fungine.
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