Aung San Suu Kyi è stata condannata a quattro anni di prigione
L'ex leader birmana, in detenzione dal colpo di stato militare di febbraio, rischia una condanna a oltre 100 anni di prigione
Lunedì un tribunale di Naypyidaw, la capitale del Myanmar, ha condannato a quattro anni di prigione Aung San Suu Kyi, la leader politica birmana agli arresti domiciliari dal colpo di stato compiuto dai militari lo scorso febbraio. Aung San Suu Kyi è stata condannata a due anni per sedizione e a due anni per aver violato le restrizioni sul coronavirus durante la campagna elettorale. Assieme a lei, è stato condannato anche l’ex presidente birmano Win Myint.
La condanna era ampiamente attesa: dopo il colpo di stato di febbraio, l’esercito birmano ha instaurato una dittatura militare in cui le libertà sono state limitate e il sistema giudiziario messo sotto controllo. La sentenza di lunedì riguarda inoltre soltanto una parte del processo in cui è imputata Suu Kyi e una parte delle accuse che le sono state rivolte: i giudici devono ancora esprimersi sui reati di corruzione, violazione del segreto di stato e della legge sulle telecomunicazioni.
I capi d’accusa sono più di dieci, e Suu Kyi rischia una condanna a oltre 100 anni di carcere.
Il golpe di febbraio era stato organizzato dal capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, che in seguito aveva assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale Myint Swe, che dal 2016 era uno dei due vicepresidenti, era stato nominato presidente ad interim. Fino a quel momento Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1991, era di fatto capo del governo. Il colpo di stato era avvenuto nel giorno in cui si sarebbe dovuto riunire per la prima volta il nuovo Parlamento dopo le elezioni dello scorso novembre, vinte nettamente dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi, e perse dal Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari.
Per mesi, dopo il colpo di stato, migliaia di persone avevano protestato in varie città del paese contro la giunta militare e per il ripristino del governo eletto: le proteste, soprattutto questa primavera, avevano coinvolto centinaia di migliaia di persone. La giunta militare ha risposto con una durissima repressione: secondo l’associazione non governativa Assistance Association for Political Prisoners, da febbraio a oggi sono state arrestate 10.600 persone per reati politici, e 1.303 sono state uccise negli scontri e nella repressione che è seguita.
Il regime birmano è comunque tutt’altro che stabile: l’economia del Myanmar è crollata e secondo diverse analisi la popolazione è sull’orlo di una gravissima carestia. La giunta militare è anche isolata a livello diplomatico. Negli ultimi mesi, inoltre, parte dell’opposizione ha cominciato a organizzarsi come una forza militare, con atti di guerriglia, tanto che si teme che nel paese possa scoppiare una guerra civile.
Non è chiaro dove e in che condizioni Suu Kyi, che ha 76 anni, dovrà scontare la pena. La leader birmana è in detenzione da febbraio, non le è consentito di comunicare con il mondo esterno e le notizie su di lei sono scarsissime. Anche le notizie sul processo sono state molto limitate: la giunta militare tra le altre cose ha vietato agli avvocati di Suu Kyi di parlare con i media.
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