L’esportazione di metanfetamina dall’Afghanistan è un problema
Il paese è già uno dei maggiori esportatori di eroina, ma un nuovo sistema di produzione di metanfetamina potrebbe cambiare le cose
di Rossana Tanzi
Da qualche anno in Afghanistan è stato trovato un modo per produrre metanfetamina purissima a partire da una pianta spontanea: i costi di produzione di questa droga si sono così ridotti rispetto al metodo usato in precedenza e questa scoperta potrebbe cambiare molte cose, sia per il mercato internazionale delle sostanze stupefacenti sia per l’Afghanistan, che secondo gli esperti dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) potrebbe produrre ed eventualmente esportare migliaia di tonnellate all’anno di metanfetamina.
Il governo dei talebani – che si è insediato ad agosto dopo aver conquistato il paese – ha promesso di reprimere l’industria della droga, ma un possibile tracollo dell’economia afghana e l’assenza di aiuti internazionali potrebbero favorire la produzione illegale di questa metanfetamina: secondo l’EMCDDA potrebbe arrivare anche in Italia, sfruttando i canali già ben rodati del traffico di eroina, di cui l’Afghanistan è il maggior produttore.
In Europa e in Italia il consumo di metanfetamina – una droga sintetica con effetto stimolante che rende rapidamente dipendenti – è ancora marginale, ma ci sono ragioni per temere un forte aumento del suo traffico.
La metanfetamina si presenta sotto forma di polvere, pasticche o più spesso cristalli, chiamati ice o crystal meth. Può essere ingerita, sniffata, fumata o iniettata, provocando un temporaneo aumento della resistenza fisica e una sensazione intensa di benessere e di sicurezza di sé. È utilizzata sia in contesti di gruppo, per ridurre l’inibizione ed essere più socievoli, sia per affrontare turni di lavoro prolungati senza percepire fatica: viene infatti anche chiamata “cocaina dei poveri” (un grammo costa tra i 30 e i 40 euro, meno della metà della cocaina).
I suoi effetti sono molto intensi e prolungati, con rischi gravi per la salute: induce uno stato di euforia e una riduzione del sonno e dell’appetito che può durare fino a 12 ore, causando un rischio di disidratazione e di ipertermia nell’immediato, e a lungo termine predisponendo a gravi disturbi cardiaci, del peso e dell’umore, a un forte aumento dell’aggressività e all’insorgere di istinti suicidi. L’astinenza può portare, oltre che a disturbi fisici (a denti, reni e polmoni, per esempio) anche alle cosiddette “psicosi da anfetamine”, caratterizzate da allucinazioni e deliri.
Attualmente i mercati europei si riforniscono principalmente nei Paesi Bassi (che hanno una lunga tradizione di contrabbando) e in Repubblica Ceca, dove oltre a essere prodotta la metanfetamina viene consumata in grandi quantità. La sostanza viene spesso sintetizzata all’interno di piccoli laboratori clandestini tramite riduzione chimica del suo precursore, l’efedrina, estraibile da comuni farmaci da banco. Da qui viene poi esportata verso tutta l’Europa, ma anche verso l’Asia e l’Oceania, dove il consumo è più frequente.
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La presenza sul mercato di una metanfetamina di alta qualità e con un prezzo nettamente inferiore potrebbe però cambiare la situazione. Le organizzazioni criminali potrebbero essere spinte a diversificare la loro offerta nel momento in cui, assieme all’eroina, cominceranno ad arrivare dall’Afghanistan anche i cristalli di metanfetamina.
È quello che teme l’EMCDDA, che in un recente rapporto sostiene che «i segnali indicano che l’Europa dovrebbe essere più preparata» alla possibilità di un incremento di metanfetamina sul mercato della droga. Anche David Mansfield, ricercatore e socio-economista attivo in Afghanistan da oltre 30 anni, racconta come i costi di produzione si siano più che dimezzati grazie a questo nuovo metodo di estrazione del principio attivo direttamente dalla pianta, e come ciò stia portando a un’improvvisa abbondanza di cristalli di metanfetamina.
Per produrre metanfetamina l’ingrediente chiave è l’efedrina. Per secoli l’ephedra sinica, una pianta spontanea che cresce sulle catene montuose del centro e del nord-est dell’Afghanistan, è stata usata dalle popolazioni indigene sotto forma di infusi e tisane per curare un vasto numero di malattie, dai calcoli renali all’asma, dalla bronchite alla pressione bassa. Il suo principio attivo, l’efedrina, è contenuto non a caso in sciroppi per la tosse e broncodilatatori, che in passato venivano usati anche per produrre la metanfetamina. Ma la possibilità di ottenerla dal principio attivo estratto direttamente dalla pianta è stata una rivoluzione.
Ai rami macinati si aggiungono pochi ingredienti, relativamente facili da reperire ed economici, e in pochi semplici passaggi si ottiene una pasta biancastra, l’efedrina. Da qui poi il procedimento è più complicato e pericoloso, ed è lo stesso dei sistemi di produzione di origine non vegetale: l’efedrina deve essere trattata in ambiente sterile con l’aggiunta di diversi prodotti chimici, tra cui soda caustica e fosforo rosso, e alla fine la fase liquida viene fatta evaporare e si creano i cristalli.
Non è ancora chiaro come i narcotrafficanti afghani si siano resi conto che l’arbusto che cresceva sulle loro montagne (e che loro chiamavano Oman o Bandak) altro non fosse che ephedra sinica. Resta il fatto che dal 2016 questo arbusto viene raccolto in grandi quantità, i suoi rami vengono seccati e macinati e la polvere ottenuta viene trasportata a ovest nelle province di Farah e Nimroz, al confine con l’Iran. Qui viene comprata dai cosiddetti “cuochi”, che con un procedimento semplice, poco pericoloso e relativamente economico ne estraggono l’efedrina e la rivendono a loro volta a chimici più esperti, che produrranno poi i cristalli di metanfetamina.
Nel solo distretto di Bawka, nella provincia di Farah, sono state identificate 329 potenziali strutture per l’estrazione di efedrina: abbastanza per garantire una produzione mensile stimata di 98 tonnellate di efedrina, e quindi circa 65 tonnellate di metanfetamina al mese, riferisce il rapporto dell’EMCDDA. Secondo gli esperti, i narcotrafficanti afghani potrebbero dunque ottenere migliaia di tonnellate di cristalli ogni anno, abbastanza da competere a livello mondiale.
Questa industria costituisce un’importante fonte di guadagno per le regioni rurali del sud-ovest dell’Afghanistan e, nonostante la recente promessa del governo di Kabul di porre fine al traffico di stupefacenti, i talebani non potranno contrastarla senza inimicarsi parte degli abitanti delle regioni rurali, fondamentali per mantenere il controllo del paese.
Prima della ritirata americana, il ricercatore David Mansfield aveva detto a Reuters che «un futuro governo dovrà procedere con cautela per evitare di alienarsi le sue circoscrizioni rurali, provocando anche reazioni violente e ribellioni.» Più realisticamente, verrà loro riservata la stessa tolleranza di cui beneficiano oggi i coltivatori di papaveri da oppio da cui si produce l’eroina. Entrambe le sostanze sono peraltro una fonte di entrate per i talebani, che ne tassano la produzione e il traffico.
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Oltre al crescente consumo interno, la metanfetamina afghana si sta già diffondendo in varie parti del mondo. Un grosso carico è stato sequestrato nel dicembre 2020 a Sydney, dove due iraniani sono stati arrestati per aver cercato di introdurre nel paese 250 chilogrammi della sostanza, del valore di circa 120 milioni di euro. Anche in Sudafrica, dove la metanfetamina è fra le droghe più consumate, si è diffusa la varietà afghana, e così in altri paesi dell’Africa sud-orientale come Mozambico, Zimbabwe e Tasmania, come riporta una ricerca della Global Initiative Against Transnational Organised Crime (GI-TOC). Anche in questo caso la metanfetamina si sposta su una rotta pre-esistente del traffico di eroina.
Ci sono indizi che la metanfetamina afghana venga consumata anche in Turchia, e «se ha raggiunto la Turchia, possiamo supporre che arriverà anche in Europa», ha detto ad al Jazeera Laurent Laniel, analista dell’EMCDDA. La Turchia, nonostante i suoi sforzi nella lotta al narcotraffico, rimane un passaggio essenziale all’interno della cosiddetta rotta balcanica che dall’Iran porta l’eroina in Europa: questa sostanza, prodotta in Afghanistan a partire dai papaveri da oppio, viene fatta confluire verso l’Iran, e da lì attraversa la Turchia per giungere nei Balcani, da dove poi si dirama verso l’Europa occidentale.
Secondo gli esperti dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, questa stessa rotta potrebbe essere sfruttata per permettere alla nuova metanfetamina afghana di arrivare anche in Europa.