I giapponesi si stanno stufando del “bonenkai”
È la tradizione di organizzare serate di bevute tra colleghi a dicembre, fino a qualche tempo fa importantissimi riti obbligati
Secondo un sondaggio organizzato dal giornale giapponese Asahi Shimbun sui social media, moltissimi giapponesi non impazziscono all’idea di dover partecipare alle tradizionali feste aziendali di fine anno, e non c’entra solo il modo in cui la pandemia da coronavirus ha modificato le abitudini delle persone. Quella del cosiddetto bonenkai è una tradizione antica, che prevede di ritrovarsi con i colleghi o comunque con persone che appartengono alla propria cerchia sociale per ritrovarsi, bere, divertirsi e lasciarsi alle spalle l’anno passato. Negli ultimi tempi, però, sembra sempre meno sentita, e sempre meno rilevante.
Una donna di 50 anni che ha risposto al sondaggio dell’Asahi Shimbun ha detto senza esitazione di non voler partecipare alla festa di fine anno dell’hotel per cui lavora, una delle tante uscite collettive che aziende e uffici pubblici giapponesi organizzano ogni anno a dicembre, pianificando serate di intrattenimento in cui spesso si consumano grandi quantità di alcol. Il bonenkai è considerato un momento di divertimento che serve a rinforzare lo spirito di gruppo, estremamente importante nella cultura giapponese. Riunisce persone che fanno lo stesso lavoro, praticano lo stesso sport o hanno lo stesso passatempo, ma nel caso dei colleghi in particolare richiede che i dipendenti rispettino in maniera rigida le gerarchie del luogo di lavoro e stiano sempre attenti a non prevaricare gli altri.
Per fare un esempio concreto, il sake – la tipica bevanda alcolica giapponese – va sempre versato ai propri superiori e agli altri commensali ma mai a se stessi, come previsto dalle buone maniere.
La donna che ha risposto al sondaggio ha raccontato che prima della pandemia lei e i suoi colleghi erano costretti a mascherarsi, a ballare e cantare su un palcoscenico, e molti di loro passavano settimane a pensare a come vestirsi e a preparare le loro performance. Era un rito obbligato «a cui era impossibile non partecipare», e se i dipendenti dicevano di non avere abbastanza soldi per andarci l’azienda garantiva degli sconti pur di includere tutti, ha spiegato.
Nel suo libro dedicato a questa tradizione, dal titolo omonimo, il sociologo giapponese Hidehiro Sonoda definisce il bonenkai una pratica radicata nel tempo. Cita per esempio un passaggio contenuto nel diario di un membro della famiglia imperiale nel periodo Muromachi (1336-1573) in cui si parla di persone che bevono sake e ballano animatamente in una festa a fine anno. La tradizione di bere assieme alle persone con cui si lavora per ringraziarle, e di fare più genericamente festa a dicembre, viene fatta risalire appunto al tardo Sedicesimo secolo, e col passare del tempo, pur attraversando molte trasformazioni, è rimasta.
Se il bonenkai era un appuntamento al quale non si poteva mancare, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, oggi invece è visto come un momento sociale che si tiene fuori dall’orario di lavoro, ma in cui gli impiegati sono sempre sottoposti alla pressione di dover mantenere il loro ruolo, spesso con uno spirito di convivialità soltanto apparente.
Alcune persone che hanno risposto al sondaggio dell’Asahi Shimbun non vogliono partecipare al bonenkai per evitare un inutile tormento, visto che non amano il loro ambiente di lavoro o i loro colleghi, mentre altre ritengono che sia solo un’occasione in cui i dipendenti più arrivisti possono mettersi in mostra con i capi. Sempre più spesso, comunque, partecipare a questi “incontri per dimenticare l’anno” – che è quello che significa il termine – non viene più considerato un obbligo a cui è impossibile sottrarsi.
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Nell’ultimo anno la pandemia da coronavirus ha influito sull’abitudine di organizzare e di voler partecipare a questi incontri, che in alcune occasioni sono stati sostituiti da eventi online. Secondo un sondaggio organizzato dalla società di consulenza Tokyo Shoko Research Ltd, citato sempre dall’Asahi Shimbun, quest’anno più del 70 per cento delle oltre 8mila aziende interpellate non organizzerà il bonenkai. Tuttavia, spiega sempre lo stesso giornale, varie istituzioni lo stanno comunque incoraggiando: a ottobre il governo locale della città di Tsuruoka – circa 300 chilometri a nord di Tokyo – ha invitato i suoi funzionari a portare fuori a bere i propri collaboratori; quello di Mitsuke, una città poco più a sud, ha fatto sapere che pagherà le spese delle feste aziendali a cui parteciperanno almeno 10 persone.
In ogni caso, anche negli anni precedenti alla pandemia da coronavirus il numero dei giapponesi che si erano dimostrati scettici nei confronti delle uscite con i colleghi era aumentato, ha spiegato all’agenzia di stampa Kyodo News Tomoki Inoue, un ricercatore del think tank NLI Research Institute, che si occupa di temi sociali ed economici in Giappone.
Tendenzialmente le persone sotto i 40 anni adesso fanno lavori meno stressanti rispetto agli anni Ottanta e Novanta, quando il bonenkai si definì per come è conosciuto oggi. I rapporti gerarchici con i superiori sono meno rigidi, motivo per cui le feste di fine anno non sono viste più come obbligatorie o imperdibili. Alcuni comunque le vedono come un’occasione per riuscire a passare del tempo con le persone amiche che non è sempre possibile vedere durante il resto dell’anno, soprattutto in città grosse come Tokyo, oppure le considerano momenti utili per allacciare rapporti con colleghi con cui non riescono a confrontarsi perché troppo impegnati nella giornata lavorativa.