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  • Giovedì 2 dicembre 2021

Una montagna da non scalare

Un comitato di alpinisti e ambientalisti vorrebbe rendere simbolicamente inaccessibile il Monveso di Forzo, nel Parco del Gran Paradiso

(Wikimedia)
(Wikimedia)

Il Monveso di Forzo è una cima di 3.322 metri, si trova nelle Alpi Graie al confine tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, ed è stata scelta per una proposta inedita in Italia e in Europa: un gruppo di appassionati e ambientalisti vorrebbe trasformarla in una cosiddetta montagna “sacra”, inaccessibile cioè agli alpinisti.

Ce ne sono altre nel mondo, come il Machapuchare in Nepal, il Kailash in Cina, e l’Uluṟu o Ayers Rock, nell’omonimo parco nazionale australiano. Ma a differenza di queste montagne, che le comunità locali considerano sacre in senso religioso, nel caso del Monveso di Forzo l’aggettivo non ha nulla a che fare con la religione. «La più antica etimologia del termine, d’altra parte, indica un luogo elevato e inaccessibile, affascinante, a prescindere dal culto religioso», dicono i promotori. Se l’idea verrà accolta, il Monveso di Forzo diventerà una montagna in un certo senso restituita alla natura, da cui escludere ogni presenza umana.

In Piemonte se ne discute già da qualche mese, da quando Toni Farina e Antonio Mingozzi, rispettivamente consigliere ed ex direttore del Parco Nazionale del Gran Paradiso, hanno fondato un comitato chiamato “Una montagna sacra per il Gran Paradiso”. La proposta è nata per celebrare il centenario della fondazione del Parco, il più antico in Italia, istituito nel 1922 grazie a una donazione di Vittorio Emanuele III «allo scopo di conservare la fauna e la flora e di preservarne le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio».

Al comitato hanno aderito circa seicento persone tra cui alpinisti come Hervé Barmasse, autore di grandi scalate sulle Alpi e in Asia Centrale, ricercatori, scrittori, giornalisti e dirigenti del CAI, il Club Alpino Italiano.

Concretamente, alle pendici del Monveso di Forzo non si vogliono mettere divieti. Non sono previsti cartelli, sanzioni o interdizioni formali perché secondo i promotori un progetto di questo tipo non si può basare sull’imposizione. L’invito a non scalare la montagna verrebbe comunicato in modo esteso e spiegato, per far sì che sia condiviso e rispettato. «Non tutte le montagne che siamo in grado di salire devono essere scalate o conquistate», si legge nella proposta. «Per una volta, in un luogo almeno, può prevalere l’idea dell’astensione. In questo caso, l’astensione, più che togliere, regala qualcosa. Si tratta di un simbolismo di dialogo con gli elementi naturali senza sopraffazione».

Il Monveso di Forzo non è stato scelto in quanto frequentato in modo eccessivo dagli appassionati di montagna. Anzi, da sempre è considerato una meta alpinistica poco frequentata a causa del suo isolamento – si trova in cima al Vallone di Forzo, piuttosto impervio e selvaggio – e per l’impegno richiesto per raggiungere la vetta. Da Forzo, una frazione di Ronco Canavese, sul lato piemontese, il dislivello è di 2.144 metri, mentre è di 1.700 metri da Lillaz, in Valle d’Aosta.

(Toni Farina)

Le conseguenze concrete del divieto sarebbero quindi relativamente trascurabili, per una montagna già poco frequentata. Piuttosto, il progetto potrebbe avere ricadute positive per i comuni della valle, perché nelle intenzioni dei promotori c’è la possibilità di istituire percorsi, itinerari e punti di sosta intorno alla montagna per valorizzare l’osservazione e non la competizione sportiva, il rapporto con la natura e non la sua conquista. In generale, l’obiettivo è promuovere una diversa frequentazione della montagna e di un ambiente naturale delicato come le Alpi, attraverso il cosiddetto turismo “lento”.

Toni Farina, rappresentante delle associazioni ambientaliste nel consiglio del Parco nazionale del Gran Paradiso e tra gli ideatori del comitato, ha spiegato i dettagli della proposta durante un incontro con il sindaco di Ronco Canavese, Lorenzo Giacomino, e alcuni abitanti del paese. «È un’idea perfettamente calata nel contesto di questa valle», dice. «Abbiamo chiarito il senso e gli obiettivi del nostro progetto e mi sembra che il confronto sia stato costruttivo. Non ci sono state prese di posizione contrarie».

Il coinvolgimento degli abitanti e dei comuni è essenziale per far sì che la proposta sia accolta. Nell’unica occasione in cui è stato discusso ufficialmente durante un consiglio direttivo del Parco nazionale del Gran Paradiso lo scorso 13 luglio, il presidente Italo Cerise e i consiglieri hanno infatti votato contro il progetto presentato da Farina. Il consiglio ha sottolineato che, senza l’assenso dei comuni, l’ente parco non può prendere decisioni di merito e neppure di indirizzo.

Ma l’idea non è stata accantonata definitivamente, perché il Parco ha lasciato la possibilità ai consiglieri di fare proposte a livello personale. «È necessario distinguere la libera adesione personale a questa idea che ogni consigliere può prendere in autonomia, rispetto ad un atto formale del Consiglio dell’Ente che è chiamato a prendere delle decisioni sul suo territorio di competenza, imponendo o, come in questo caso, avallando vincoli e limitazioni che non si relazionano con i suoi documenti di pianificazione», si legge in una nota del Parco pubblicata dal Corriere Torino.

Nel frattempo le adesioni al comitato sono cresciute grazie al lavoro di sensibilizzazione di Farina e Mingozzi che continuerà anche nei prossimi mesi: l’obiettivo è convincere i sindaci e gli abitanti delle valli a sostenere la proposta, e in questo modo arrivare all’approvazione da parte del consiglio del Parco in tempo per le celebrazioni dei 100 anni dalla fondazione previste nel 2022.