I Gucci contro “House of Gucci”
Hanno criticato «la narrazione tutt'altro che accurata» e il fatto che nel film di Ridley Scott i membri della famiglia siano presentati come «teppisti, ignoranti e insensibili»
House of Gucci, il film di Ridley Scott sulla storia di Maurizio Gucci, capo della casa di moda Gucci tra gli anni Ottanta e Novanta, e di sua moglie Patrizia Reggiani, che fu condannata a 29 anni di prigione (in seguito ridotti a 16) come mandante del suo omicidio, arriverà in Italia il 16 dicembre. Da diversi giorni è nei cinema di molti altri paesi, e comunque già se ne parlava anche prima. Per i suoi attori che parlano in inglese con accento italiano, per il trasformismo di alcuni di loro, e per l’approccio esagerato, quasi da satira, del film verso la storia che racconta. La famiglia Gucci, che da tempo non ha ormai più ruoli nella gestione della casa di moda, sembra aver detestato il film. In un comunicato ha scritto:
«La famiglia Gucci, nel ramo discendenti di Aldo Gucci, prende atto dell’uscita del film House of Gucci con sconcerto perché, nonostante l’opera affermi di voler raccontare la ‘vera storia’ della famiglia’, i timori suscitati dai trailer e dalle interviste rilasciate finora sono confermati: il film veicola una narrazione tutt’altro che accurata.
La produzione del film non si è curata di interpellare gli eredi prima di descrivere Aldo Gucci – presidente dell’azienda per trent’anni – e i membri della famiglia Gucci come teppisti, ignoranti e insensibili al mondo che li circondava, attribuendo ai protagonisti delle note vicende toni e atteggiamenti che mai sono loro appartenuti. Ciò è estremamente penoso sotto un profilo umano e un insulto all’eredità su cui il marchio è costruito oggi».
Nel comunicato, i membri della famiglia si lamentano in particolare della rappresentazione di Aldo Gucci (che era lo zio di Maurizio, e nel film è interpretato da Al Pacino) e di una ricostruzione dei fatti «che diviene mistificatoria ai limiti del paradosso». Criticano anche il modo in cui, a detta loro, Reggiani (interpretata da Lady Gaga) «viene dipinta non solo nel film, ma anche nelle dichiarazioni dei membri del cast, come una vittima che cercava di sopravvivere in una cultura aziendale maschile e maschilista».
I Gucci dicono che nei «70 anni di storia in cui è stata un’impresa familiare» (nel 1921 Guccio Gucci aprì il suo primo negozio) Gucci è stata «un’azienda inclusiva» e che «proprio negli anni Ottanta – il contesto storico in cui è ambientato il film – erano diverse le donne che ricoprivano posizioni di vertice: che fossero membri della famiglia o estranei ad essa». Nell’ultima frase il comunicato dice che «i membri della famiglia Gucci si riservano ogni iniziativa a tutela del nome, dell’immagine e della dignità loro e dei loro cari». Minacciano insomma possibili cause legali.
House of Gucci è tratto dal libro House of Gucci. Una storia vera di moda, avidità, crimine, scritto nel 2002 da Sara Gay Forden, e si presenta come “ispirato a una storia vera”. Le principali vicende raccontate sono successe davvero e i nomi dei personaggi sono quelli dei veri protagonisti di quelle vicende. Come spesso capita nel cinema – in cui si tende a romanzare trame e personaggi – certe persone non esistono e in certi personaggi sono condensate le caratteristiche e le vicende di più persone.
Come scritto da molti critici, la sensazione è che il film sia meticoloso nella presentazione di costumi, vestiti e ambienti, oltre che nelle somiglianze fisiche degli attori con i personaggi (su tutti quello di Jared Leto, che fa Paolo Gucci).
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Al contrario, sembra invece che il film si sia preso un certo grado di libertà nel modo in cui racconta le vicende e presenta i suoi personaggi. Lady Gaga, per esempio, ha raccontato di non aver mai incontrato Reggiani e non ha nemmeno letto il libro di Sara Gay Forden, così da poter essere più libera nella sua personale costruzione del personaggio.
Più in generale, molti critici hanno apprezzato l’interpretazione di Lady Gaga e per lei così come per un paio di altri attori sono state ipotizzate possibili candidature all’Oscar. Tuttavia, ci sono state anche diverse critiche al fatto che il film oscilla in modo problematico tra l’esagerazione, la satira, il trash e il dramma. Sull’Hollywood Reporter David Rooney ha scritto che il film (che dura 157 minuti) «non riesce a regolarsi su un tono coerente, è troppo lungo, troppo sregolato e sbanda tra il dramma sofisticato e l’opera buffa». Secondo A.O. Scott, che ne ha scritto sul New York Times, manca «di visione e ispirazione».