Per il parlamento italiano l’Egitto è responsabile della morte di Regeni
Sono le conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta, che condanna l'Egitto ma critica anche i governi italiani
La Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni ha approvato all’unanimità la sua relazione finale, in cui si dice che «la responsabilità del sequestro, della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su funzionari della National Security Agency».
La Commissione ha di fatto confermato la tesi della procura di Roma, che lo scorso maggio aveva chiesto il rinvio a giudizio per quattro membri dei servizi di sicurezza egiziani: il processo è stato al momento sospeso a causa del difetto di notifica del rinvio a giudizio agli imputati. La prossima udienza si terrà il 10 gennaio 2022 davanti al giudice per l’udienza preliminare di Roma.
La Commissione di inchiesta era stata istituita il 3 dicembre 2019 per indagare sulle circostanze che portarono alla morte di Giulio Regeni, un ricercatore italiano di 28 anni dell’università di Cambridge, che nel 2016 scomparve mentre stava lavorando al Cairo, in Egitto, a una tesi di dottorato sui sindacati del paese. Il suo corpo, con i segni di innumerevoli torture, venne trovato nove giorni dopo, il 3 febbraio, abbandonato al lato di una strada. La Commissione ha svolto 45 audizioni e acquisito circa 32 mila pagine di documenti e la relazione finale, dopo due anni di lavoro, è stata approvata all’unanimità. I giornali ne riportano oggi ampi passaggi.
Nelle sue conclusioni la Commissione condanna l’Egitto per i depistaggi e la mancata collaborazione sul caso Regeni, e critica i vari governi italiani che si sono succeduti per non aver fatto abbastanza per mettere pressione sul governo egiziano. Inoltre, chiede che l’Egitto sia portato davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja, un tribunale per crimini internazionali, per aver violato la Convenzione dell’ONU sulla tortura.
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Nella relazione sono stati stabiliti tre elementi fondamentali: la responsabilità diretta dei servizi egiziani e del regime dell’ex generale Abdel Fattah al Sisi; il sostanziale isolamento dell’Italia nel chiedere risposte all’Egitto su quanto accaduto; l’ostruzionismo costante portato avanti dall’Egitto sul caso, a cui non corrispose una sufficiente pressione diplomatica da parte dell’Italia che, anzi, scelse una strategia della normalizzazione delle relazioni diplomatiche ed economiche. Secondo la Commissione, dunque, la ripresa delle relazioni fece in modo che l’Egitto potesse mettere da parte la vicenda di Giulio Regeni e considerarla come di fatto chiusa.
Nella relazione, secondo quanto scrive Repubblica, sono elencati anche tutti i depistaggi legati alle indagini portati avanti dall’Egitto e che sarebbero stati impossibili senza il coinvolgimento dei vertici politici egiziani. Subito dopo il sequestro sia la diplomazia italiana sia l’American University del Cairo – dove Regeni stava lavorando alla sua tesi di dottorato come studente della Cambridge University (Regno Unito) – si interessarono immediatamente al caso di Regeni, ma furono sviati dai funzionari del governo e delle forze di sicurezza, che dissero «di non avere alcuna notizia circa il nostro connazionale scomparso, precisando che egli non risultava ufficialmente fermato dalle autorità egiziane». In realtà, scrive la Commissione, Regeni era stato arrestato dalla National Security Agency e sarebbe stato torturato e ucciso.
Il depistaggio si concluse, da parte egiziana, quando le autorità diffusero la tesi per cui Regeni era stato ucciso da una banda criminale. Questa tesi fu smontata rapidamente dalle indagini italiane.
La Commissione d’inchiesta chiede ora al governo italiano un cambio di atteggiamento, e fa due proposte concrete: portare l’Egitto davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja e superare con un intervento legislativo l’ostacolo che ha interrotto il processo contro quattro membri dei servizi di sicurezza, ossia la mancata notifica degli atti giudiziari agli imputati. Il processo, infatti, è stato sospeso a ottobre perché non era stato possibile verificare che ai quattro imputati fosse stato notificato il procedimento giudiziario a loro carico. Le autorità egiziane hanno attivamente cercato di evitare il processo e di impedire la notifica del provvedimento: hanno reso indisponibili gli imputati e si sono rifiutate perfino di comunicare ai procuratori italiani i loro indirizzi.
Per risolvere questa situazione, l’ipotesi potrebbe essere quella di approvare una legge che impedisca agli stati esteri di evitare il processo sfruttando il meccanismo delle mancate notifiche.
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Il presidente della Commissione d’inchiesta, Erasmo Palazzotto (LeU), ha detto al Manifesto che «è necessaria e urgente un’attivazione concreta dei nostri più alti livelli istituzionali, del governo in particolare, per pretendere e ottenere giustizia da parte di un regime che finora ha in tutti i modi ostacolato la verità, depistando le indagini e coprendo le responsabilità dei propri apparati».
La Commissione ha anche dato mandato a Palazzotto affinché la relazione appena approvata sia portata in parlamento e discussa dall’aula: «Nel caso ci fosse un voto, si tratterebbe di un impegno del parlamento, dunque vincolante per il governo», ha spiegato Palazzotto.