Il caso che potrebbe ribaltare la legge sull’aborto negli Stati Uniti
Il Mississippi chiede di riconoscere una legge che vieta di abortire dopo 15 settimane: le conseguenze potrebbero essere ampie
Mercoledì alla Corte Suprema degli Stati Uniti inizierà il procedimento per valutare la legittimità della legge sull’aborto del Mississippi, uno stato conservatore in cui l’interruzione di gravidanza è vietata dopo le 15 settimane di gestazione nella maggior parte dei casi. È considerato il caso più importante sul tema degli ultimi decenni, soprattutto perché sarebbe una possibile minaccia alla storica sentenza che dal 1973 garantisce l’accesso all’aborto a livello federale.
La decisione arriverà probabilmente nel giugno del 2022, ma i dibattiti che cominciano oggi sono molto importanti per provare a capire da che parte starà la Corte, che dopo la nomina di tre giudici voluti dall’ex presidente Donald Trump ha una netta maggioranza conservatrice.
Il caso è chiamato “Dobbs v. Jackson Women’s Health”, dal nome del capo del dipartimento di Salute del Mississippi, Thomas Dobbs, e da quello dell’unica clinica dello stato in cui si effettuano ancora servizi di interruzione di gravidanza.
Come ha raccontato il Washington Post, inizialmente lo stato del Mississippi si era rivolto alla Corte Suprema per convalidare la sua legge che vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. Quando però la Corte Suprema ha accettato di ascoltare il caso, a quel punto gli obiettivi del Mississippi si sono ampliati, e tra le richieste fatte alla Corte c’è anche quella di ribaltare del tutto la legge sull’aborto.
Gli avvocati che rappresentano lo stato sostengono che «nella Costituzione, nella struttura, nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti non ci sia nulla che sostenga il diritto all’aborto», e che ciascuno stato dovrebbe essere libero di decidere se e quando vietarlo. La clinica ricorda invece che la sentenza che garantisce l’aborto a livello federale – la storica sentenza “Roe v. Wade” – è stata confermata in varie occasioni proprio dalla Corte Suprema. In particolare, un’altra storica sentenza del 1992 stabilisce il diritto ad abortire fino al momento in cui il feto può sopravvivere da solo fuori dall’utero, generalmente considerato attorno alle 24 settimane: circa 2 mesi in più rispetto al limite fissato dalla legge del Mississippi, che è in vigore dal 2018.
In pratica, chiedendo di riconoscere la propria legge sull’interruzione di gravidanza, il Mississippi sta chiedendo alla Corte Suprema di respingere le sentenze precedenti, con conseguenti ripercussioni su molti altri stati, in cui la sentenza Roe v. Wade è l’unico strumento legale che tutela il diritto di accesso all’aborto. Il governo del Mississippi ha già detto che se i giudici dovessero esprimersi in favore della legge in vigore nello stato vieterà totalmente l’aborto, salvo in caso di pericolo per la vita della donna incinta.
L’esito di questo caso è difficile da prevedere. Secondo gli esperti sentiti dai giornali americani, la Corte Suprema potrebbe accogliere in pieno le richieste del Mississippi, ed emettere una sentenza che ribalti o comunque riveda in maniera sostanziale la decisione del 1973 e quelle successive che hanno confermato la sua validità. L’ipotesi più probabile, però, è che siano accolte soltanto le richieste più puntuali, cioè quelle sull’interruzione di gravidanza entro le 15 settimane, e che l’impianto della legge sull’aborto non sia modificato.
Nonostante questo, le conseguenze potrebbero comunque essere molto ampie anche in caso di una sentenza più moderata, perché garantirebbe agli stati conservatori un ulteriore spazio di manovra per imporre restrizioni al diritto all’aborto.
– Leggi anche: Come viene raccontato l’aborto nelle serie tv
I movimenti che si battono per il diritto all’aborto considerano la decisione della Corte Suprema di accogliere il caso del Mississippi un segnale di avvertimento. I giudici avrebbero potuto rifiutarsi di discuterlo, citando la sentenza Roe v. Wade come precedente, ma il fatto che non l’abbiano fatto significherebbe che buona parte di loro sarebbe disposta a rivederla.
Come ha notato Associated Press, infatti, prima della nomina dei tre nuovi giudici da parte di Trump – Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett – la Corte si era sempre rifiutata di esaminare i casi che riguardavano l’interruzione di gravidanza prima dei limiti fissati nella sentenza del 1992, la Planned Parenthood v. Casey. Adesso, però, con una maggioranza di 6 giudici di orientamento conservatore su 9, la decisione non sembra scontata: così come non è sembrato scontato il suo atteggiamento sulla rigidissima e contestata legge sull’aborto in Texas, entrata in vigore lo scorso primo settembre proprio dopo che la Corte Suprema aveva respinto le richieste di bloccarla.
La legge introdotta in Texas vieta l’interruzione volontaria di gravidanza dopo sei settimane di gestazione anche in caso di stupro e incesto, e incoraggia chiunque a denunciare i medici che praticano l’aborto e chiunque lo renda possibile. A inizio novembre, su richiesta del dipartimento di Giustizia e dell’amministrazione dell’attuale presidente Joe Biden, la Corte Suprema ha ascoltato alcune argomentazioni contro la sua entrata in vigore, ma deve ancora dare una decisione definitiva. Nel frattempo, la legge sta limitando fortemente l’accesso all’aborto alle circa 6 milioni di donne in età riproduttiva che abitano nello stato, il secondo più grande degli Stati Uniti.
– Leggi anche: I dubbi sulla costituzionalità della legge sull’aborto in Texas