Il racconto di Cinzia Fiorato sul sessismo in Rai
La ex conduttrice del TG1 ha elencato molestie e discriminazioni subite in oltre trent'anni di carriera
Cinzia Fiorato, giornalista televisiva Rai e ex conduttrice del Tg1, ha scritto un lungo post su Facebook a partire dalla molestia subita sabato scorso in diretta tv da Greta Beccaglia, al termine della partita della Serie A di calcio Empoli-Fiorentina. Fiorato racconta le molestie, le discriminazioni e il sessismo che ha vissuto sul posto di lavoro in oltre trent’anni di carriera. Parla delle poche colleghe della sua generazione che sono state «funzionali» a un sistema che, nella sostanza, per molto tempo non è cambiato e dice, alla fine, che ci sono stati dei miglioramenti, anche se «il pericolo di procedere con un passo avanti e due indietro è sempre in agguato».
Ho riflettuto a lungo su quanto accaduto alla collega Greta Beccaglia, perché per me questo è argomento ancora dolente. Appartengo alla generazione di giornaliste che hanno conquistato con fatica e sofferenza un pezzettino di spazio in una professione che, quando io ho cominciato, nel lontano 1984, era quasi esclusivamente occupata dagli uomini. Ho avuto la sfortuna di essere anche fisicamente attraente e questo ha creato il fatidico mix esplosivo.
Ho incontrato molti colleghi che hanno cercato di ricattarmi sessualmente nella mia vita professionale, ho avuto diverse “pacche” non gradite, commenti volgari, parole sussurrate, avvicinamenti arbitrari, sguardi invasivi e invadenti. Non mi è arrivato tutto solo dai colleghi e nemmeno solo dai miei superiori, il mondo della televisione è arricchito da diverse categorie i lavoratori, ci sono stati molti tecnici, molti impiegati, molti operai che si sono permessi cose che non si dovevano permettere, gravi e meno gravi.
Una volta stavo aspettando in silenzio l’arrivo di alcune immagini dall’estero, a un certo punto, non si sa perché, il tecnico ha preso una cassetta betacam e mi ci ha dato con forza una pacca sul sedere facendomi male. Non lo avevo mai visto prima in vita mia. Gli ho urlato tutta la mia rabbia, certo, ma mi sono resa conto subito che eravamo soli nella stanza e la mia parola sarebbe stata contro la sua.
Quando ero vittima di stalking in quanto conduttrice del Tg1, da parte di un pregiudicato con grossi problemi psichiatrici che il tribunale ha poi riconosciuto pericoloso socialmente, uno stalker che oltre a tutto entrava in Rai e mi minacciava in rete, il mio direttore di allora mi disse “e che ce voi fà, quando una é bona…” senza aiutarmi in nessun modo. Anzi, fui derisa, aggredita verbalmente dal mio caporedattore perché, lavorando di notte, mi facevo accompagnare dal mio compagno, non trovando alcun’altra protezione. Fui accusata di inventarmi tutto per ottenere uno spostamento di edizione, dopo oltre dieci anni di conduzioni notturne. Questa cosa fu usata contro di me e la macchina del fango si mise in moto, in realtà mi si stava punendo perché avevo osato denunciare le condotte illecite di alcuni dirigenti nell’esercizio del loro ruolo di incaricati di pubblico servizio. Accadeva meno di dieci anni fa. Nessuno si scusò nemmeno quando lo stalker fu individuato e condannato. Come al solito, quando si vuole colpire una donna, lo si fa in quanto donna.
Poi ci sono stati fatti di minor impatto, ma sempre intollerabili, uno stillicidio. Una volta chiamai un tecnico perché dal mio computer era sparito il cavo del monitor (accade anche questo nelle redazioni), lui venne, lo sistemò, poi si avvicinò al mio orecchio (io ero seduta) e mi sussurrò sul collo “ora però vieni a cena con me”… Quando io ho cominciato questo lavoro la vita di una bella ragazza era una cosa a metà strada tra uno slalom gigante e l’attraversamento di un campo minato.
Il mio primo caporedattore (non Rai), al secondo giorno di lavoro mi disse davanti a tutti: “si ma porco D… sembri una foca monaca, slaccia qualche bottone, mostraci un po’ di tette cazzo!”. Voleva far ridere i colleghi, pensava di essere simpatico. Io non ho mai risposto, perché sapevo che la mia permanenza nella professione era precaria e soprattutto dipendeva da questi soggetti qui.
Non mi sono mai fatta sopraffare, ma non ho mai potuto denunciare niente, non c’era alcuna solidarietà all’epoca, nemmeno da parte della giustizia. Era tutto molto difficile, erano gli anni 80/90, se ti mostravi mortificata per queste cose ti dicevano che eri una psicolabile, che avevi problemi caratteriali e che sarà mai!!
Di episodi umilianti ne potrei raccontare a centinaia, dentro e fuori le redazioni. Ho fatto cronaca nera e giudiziaria per dodici anni, erano tutti ambienti ultra maschili, i tribunali, le questure, le caserme.Quando io lavoravo in questo settore le donne non facevano ancora nemmeno il servizio militare, a malapena erano entrate in polizia. E poi atteggiamenti maschilisti e azioni maschiliste, politiche aziendali maschiliste, spesso sindacati maschilisti, consapevoli o no. Ognuna di noi lo sapeva dentro di sé, che sarebbe passata per questo “protocollo”, una specie di nonnismo ultra sessista, spesso spietato. Un patriarcato offensivo che mi ha raggiunta e colpita anche quando sono stata componente della CPO di Stampa Romana, come ha raggiunto e colpito altre colleghe che non si sono adattate a fare le ancelle.
Ma la mia generazione è anche quella che ha subito il sessismo spietato delle poche donne che ce l’hanno fatta, perché anche quella è una nota dolente che prima o poi dovrà essere sviscerata. Le poche colleghe della mia generazione o quasi, che hanno rotto il tetto di cristallo, lo hanno fatto mimetizzandosi perfettamente in mezzo ai tanti uomini che le hanno accettate e aiutate ad andare avanti proprio perché non rappresentavano alcun cambiamento di passo o di cultura rispetto al sessismo imperante, anzi, erano funzionali al sistema, la famosa eccezione che conferma la regola e che dà la possibilità ai sessisti di dire “ma quale sessismo! e allora tizia e caia? loro sono direttrici, amministratici delegate, presidenti, caporedattrici!!”. Si, ma lo sono con tutti i vizi di sempre, che si abbattono per lo più sulle donne.
Non c’è machismo più feroce del machismo di una donna. Molte di noi si sono col tempo impegnate nella lotta alla discriminazione di genere ma, per lo più, molte della mia generazione hanno abbattuto muri semplicemente lavorando, nella speranza che le nostre sorelle più giovani potessero vivere la professione liberate da quello che avevamo subito noialtre.
La strada è ancora lunga, il campo è ancora minato, ma non bisogna abbandonarsi allo sconforto che l’episodio orribile capitato a Greta suscita, pensando che non sia cambiato niente.Per fortuna oggi è cambiato molto, per fortuna oggi la gogna comincia a essere per il molestatore e non per la molestata, come fu per me. C’è ancora qualcuno che nicchia, che non si arrende e ripete fra i denti “e che sarà mai!!”, ma il suo è un sussurro, fortunatamente. C’è ancora tanto da fare e il pericolo di procedere con “un passo avanti e due indietro” è sempre in agguato, ma dobbiamo resistere e insistere. Io sto ancora aspettando giustizia e spero che Greta l’avrà un po’ anche per me. #GretaBeccaglia #nonunadimeno #metoogiornaliste #Liberiamoci