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  • Martedì 30 novembre 2021

Ralf Rangnick risolve le squadre

Quando i club di calcio hanno bisogno di reinventarsi pensano al manager tedesco, che ora proverà a dare un senso al Manchester United

Ralf Rangnick da allenatore del Lipsia nel 2019 (Getty Images)
Ralf Rangnick da allenatore del Lipsia nel 2019 (Getty Images)

L’incarico da allenatore del Manchester United è da anni uno dei più complicati da gestire nel mondo del calcio, e in questo momento forse è il più complicato di tutti. Da quando Alex Ferguson si ritirò nel 2013 dopo 27 anni consecutivi in panchina e trenta titoli vinti, nessuno è più riuscito a creare un altro ciclo vincente, nonostante il club abbia tutto per farlo: soldi, strutture, competenze e tradizione. In otto anni ci hanno provato in quattro e l’ultimo, Ole Gunnar Solskjaer, è stato esonerato a fine novembre. Dal 2013 soltanto José Mourinho ha portato nuovi titoli — tre: Europa League, Coppa di Lega e Community Shield — ma senza costruire nulla di solido: anche lui aveva dovuto rinunciare all’incarico ben prima della scadenza del contratto.

Per salvare una stagione compromessa e dare una nuova direzione a un club che finora non è sembrato averne una, lo United ha chiamato il tedesco Ralf Rangnick, molto di più che un semplice allenatore. Rangnick allenerà lo United fino al termine della stagione in corso e poi diventerà consulente del club, un po’ come stava facendo alla Lokomotiv Mosca, come aveva fatto in precedenza con grandi risultati tra Hoffenheim e il progetto Red Bull, e come avrebbe dovuto fare al Milan se l’anno scorso la società non avesse deciso di confermare Stefano Pioli, per i risultati inaspettatamente ottimi.

Quando si parla di Rangnick non si parla solamente di un allenatore, ma di un manager che può stare a bordo campo come in tribuna, a fianco di una sola squadra o in un grande gruppo societario, a seguire progetti fatti da più club sparsi per l’Europa o per il mondo. Se il calcio tedesco è riuscito a stare al passo con i tempi, talvolta davanti a tutti, molto si deve a lui: non c’è allenatore di successo cresciuto in Germania nell’ultimo decennio che non sia stato influenzato anche solo in parte dal suo lavoro.

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Tra gli anni Settanta e Ottanta fu un giocatore semi-professionistico, non così dotato da fare il salto di categoria. Ancora prima di smettere definitivamente di giocare iniziò ad allenare nelle leghe minori tedesche, dove nel 1983 ebbe quella che lui chiama ancora oggi «un’epifania calcistica». Mentre giocava e allo stesso tempo allenava il piccolo Viktoria Backnang, si ritrovò a disputare una partita amichevole (era inverno e i campionati dei paesi più freddi erano fermi) contro la Dinamo Kiev di Valeri Lobanovski, uno dei più importanti allenatori del Novecento.

Lo stile di gioco innovativo degli ucraini, costituito perlopiù da un pressing corale all’epoca non così facile da vedere, fu di grande ispirazione. Negli anni successivi incorporò nel suo modello di gioco i tratti più distintivi del Milan di Arrigo Sacchi e anche del Foggia di Zdenek Zeman: la marcatura a zona, i passaggi e i movimenti, l’intensità di gioco.

Iniziò quindi a scalare le serie del campionato tedesco, passando per la squadra riserve dello Stoccarda, dove incontrò Helmut Gross, il mentore con cui formò quella che in Germania chiamano “la scuola di Stoccarda”. Da lì Rangnick e Gross continuarono a lavorare insieme perfezionando le loro idee, che già all’epoca fecero discutere: nel 1998 Rangnick finì a spiegarle sulla televisione nazionale tedesca, e ad alcuni diede l’impressione di essere troppo audace e innovativo.

Nei primi Duemila, con Stoccarda e Hannover, vinse i primi titoli in carriera, a cui si aggiunsero poi quelli con lo Schalke 04, allenato in due diversi periodi. Fu però a partire dal 2006 che lavorò a uno dei progetti di maggior successo. Quell’anno fu infatti chiamato dall’Hoffenheim, squadra di una piccola città di 35mila abitanti (Sinsheim) gestita personalmente dal miliardario tedesco Dietmar Hopp.

Lì Rangnick instaurò il primo modello di gestione verticale nel calcio tedesco, organizzando prima squadra, settore giovanile, strategie di mercato e direzione sportiva come un’unica cosa, aiutato dalle dimensioni ancora piccole del club. L’intera società prese come modello lo stile di gioco caratterizzato da pressing ritmato, circolazione della palla e solidità difensiva e lo applicò a ogni sua strategia, evitando inoltre, quando possibile, di acquistare giocatori già formati con più di 23 anni.

La direzione data da Rangnick, implementata poi con l’introduzione di tecnologie applicate alla pratica sportiva dalle conoscenze di Hopp, creatore del software gestionale SAP, nel giro di tre anni l’Hoffenheim partì dalla terza lega, fu promosso in seconda divisione e arrivò in Bundesliga, dove da allora non si è mai mosso e dove spesso finisce tra le prime della classifica.

Dopo la seconda esperienza allo Schalke 04, che nel 2011 portò al miglior piazzamento in Champions League della sua storia — raggiunto anche grazie a uno storico 5-2 rifilato all’Inter ai quarti di finale — gli fu data la possibilità di replicare quanto fatto all’Hoffenheim, ma su scala ancora più grande.

Insieme a Gérard Houllier, ex allenatore di Liverpool, Lione e della nazionale francese, divenne poi tra i responsabili degli investimenti nel calcio della multinazionale austriaca Red Bull. Gli vennero affidati sia incarichi da allenatore che dirigenziali. A differenza di Houllier, supervisore del progetto globale da New York al Ghana, Rangnick lavorò più nello specifico a Lipsia e Salisburgo, contribuendo alla creazione di due squadre moderne, spettacolari e spiccatamente offensive, oggi fra le più influenti in Europa.

Nel corso della sua carriera Rangnick ha ispirato un’intera generazione di allenatori, un po’ come fece in Italia a suo tempo Arrigo Sacchi. Oggi la scuola di allenatori tedesca è una delle più apprezzate: basti pensare che soltanto in Premier League — un campionato che si affida quasi esclusivamente a competenze estere quando si tratta di allenare — Liverpool e Chelsea sono entrambe guidati da tedeschi. Jürgen Klopp è l’allenatore che è oggi anche perché nel 2008, sulla panchina del Borussia Dortmund, perse una partita di campionato 4-1 contro l’Hoffenheim di Rangnick e fu colpito a tal punto da dire: «Dobbiamo arrivare dove sono loro ora».

Tuchel, ultimo campione d’Europa con il Chelsea, venne sia allenato che avviato alla carriera da allenatore da Rangnick, ai tempi dell’Ulma, dopo un grave infortunio al ginocchio. Di recente Rangnick ha ricordato: «Gli diedi un lavoro come allenatore dell’Under 15. Pensare che non voleva nemmeno farlo, lavorava in un bar di Stoccarda».

Nei prossimi sei mesi Rangnick affronterà sia Klopp sia Tuchel con il Manchester United, una squadra fin qui in crisi d’identità e di risultati. Con Solskjaer la società aveva provato a prendere una direzione usando un suo ex giocatore, che quindi conosceva bene l’ambiente, per creare un gruppo trainante di giocatori cresciuti a Manchester o in squadra da molti anni. Il progetto però non ha dato risultati e ora a Rangnick verrà chiesto di riprenderlo a partire dalle impostazioni tattiche della squadra, fin qui molto criticate per la loro debolezza. A fine stagione, se tutto andrà come previsto, Rangnick lascerà spazio a un nuovo allenatore che verrà scelto in questi mesi, mentre lui continuerà a seguire la direzione sportiva un po’ come fatto in passato in Germania.

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