Glossario dell’elezione del presidente della Repubblica
Per orientarsi nel dibattito, tra semestre bianco, franchi tiratori, toto nomi e “bis”
A partire dal 24 gennaio, il Parlamento riunito in seduta comune dovrà eleggere il prossimo presidente della Repubblica. È uno degli eventi fondamentali della politica in Italia, e le discussioni intorno ai possibili candidati e il racconto dei vari retroscena sono cominciati già da tempo tra i partiti e sui giornali: spesso includono termini dal significato oscuro o poco chiaro, come “grandi elettori” e “franchi tiratori”; oppure rievocano elezioni passate avvenute grazie a tattiche oggi dimenticate, come il “metodo De Mita”.
Per orientarsi nel dibattito in attesa del primo giro di votazioni, abbiamo messo insieme un glossario per spiegare i termini e le espressioni più ricorrenti.
La Costituzione, innanzitutto
Gli articoli che regolano l’elezione del presidente della Repubblica sono contenuti nel titolo II della parte II della Costituzione. L’articolo 83 dice che il capo dello Stato viene eletto dal «Parlamento in seduta comune» e che all’elezione partecipano anche tre delegati per ogni regione, «eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato». L’articolo specifica anche che l’elezione avviene a «scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta».
L’articolo 84 parla dei requisiti che deve avere il candidato o la candidata: può essere eletto «ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici». Inoltre, la carica di presidente della Repubblica «è incompatibile con qualsiasi altra carica».
L’articolo 85 regola la durata del mandato presidenziale – dura sette anni – e le tempistiche con cui avviene l’elezione: trenta giorni prima che scada il mandato del presidente in carica, il presidente della Camera dei deputati deve convocare la seduta comune del Parlamento e i delegati regionali. Dato che il mandato dell’attuale presidente Sergio Mattarella scadrà il 3 febbraio, la seduta comune dovrebbe essere convocata da Roberto Fico a inizio gennaio.
Seduta comune (e unica)
Con seduta comune si indicano le due camere del Parlamento, Senato e Camera dei Deputati, riunite insieme. Benché siano separate, infatti, le due camere fanno parte di una struttura unitaria, il Parlamento.
I casi in cui le due camere si riuniscono, oltre all’elezione del presidente della Repubblica, sono: il giuramento del presidente della Repubblica; la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica (cosa che può avvenire solo per alto tradimento o per attentato alla Costituzione); l’elezione di un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura; l’elezione di un terzo dei giudici costituzionali.
La seduta del Parlamento che elegge il presidente della Repubblica, oltre a essere comune, è anche unica, nel senso che non viene sciolta finché un presidente non viene eletto. Secondo la Camera dei Deputati la durata media degli scrutini è di quattro ore e mezza.
Grandi elettori
È un termine usato perlopiù in ambito giornalistico, forse mutuato dalla politica statunitense o dai principi che eleggevano il sovrano del Sacro Romano Impero nel Medioevo e in Età Moderna. Con “grandi elettori”, quindi, ci si riferisce a tutti i membri della seduta comune del Parlamento, cioè deputati e senatori a cui si aggiungono i delegati regionali.
Chiama
Prima di ogni scrutinio, i funzionari della seduta svolgono le cosiddette “chiame” cioè appelli per verificare le presenze e contemporaneamente chiamare al voto. Se ne fanno una per tutti i membri della seduta, poi una seconda per chi non era presente alla prima: iniziando dai senatori a vita e procedendo in ordine alfabetico: prima i senatori, poi i deputati e infine i delegati regionali. Ogni membro chiamato presente passa davanti alla presidenza e infila la sua scheda dentro l’urna.
Scrutinio e spoglio
Con “scrutinio” si indica l’insieme delle operazioni di voto e conteggio delle schede, mentre con “spoglio” si indica più nello specifico la verifica dei voti espressi e il loro conteggio. Nel caso dell’elezione del presidente della Repubblica, il voto è sempre segreto, mentre lo spoglio avviene pubblicamente con lettura di tutte le schede, modalità che a volte provoca involontari effetti comici quando vengono espresse votazioni per personaggi che c’entrano poco con la politica.
Franchi tiratori
“Franchi tiratori” è una locuzione che ormai da decenni si usa in politica in riferimento a chi, grazie al voto segreto, vota in modo diverso dal proprio gruppo, schieramento o partito. L’espressione è vecchia di almeno un paio di secoli e ha a che fare con il contesto bellico: arriva dalla Francia (loro dicono franc-tireurs) ma in questo caso “franco” significa “libero”, e veniva usata in riferimento a singoli combattenti o piccoli gruppi che attaccavano i nemici autonomamente.
Treccani spiega che fu negli anni Cinquanta del Novecento che la locuzione si spostò dal contesto bellico (in riferimento al quale era stata usata anche durante le due guerre mondiali) verso il «linguaggio politico e giornalistico italiano» dove prese a essere usata in senso figurato. Dato che l’elezione del presidente della Repubblica si svolge con scrutinio segreto, capita di frequente che ci siano franchi tiratori, e che siano addirittura decisivi nella scelta di un candidato.
Maggioranza qualificata e maggioranza assoluta
Per i primi tre scrutini è necessario avere la maggioranza qualificata per eleggere il presidente, ovvero i due terzi dell’assemblea. Dal quarto scrutinio in poi basta invece la maggioranza assoluta, cioè il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto.
Quorum
Proprio parlando dei voti necessari per eleggere il presidente della Repubblica, si sente spesso parlare di “quorum”. Di solito indica la quota necessaria di partecipanti a un voto per far sì che quel voto sia valido, per esempio nei referendum popolari, ma nel caso dell’elezione al Quirinale indica appunto i voti necessari per eleggere il presidente. Dato che i parlamentari più i delegati regionali sono in totale 1.009, nei primi tre scrutini sarà necessario il voto di 673 membri. Dal quarto in poi ne basteranno 505.
Il Colle
Nelle cronache politiche, con “Colle” ci si riferisce al palazzo del Quirinale e per estensione alla presidenza della Repubblica che vi ha sede. Il palazzo sorge su uno dei tradizionali sette colli di Roma, ed è uno dei punti più alti della città: un tempo era la sede estiva dei papi, poi fu la residenza dei Savoia in età monarchica, e dal 1948 è sede della presidenza della Repubblica.
Metodo De Mita
Ciriaco De Mita, ex segretario della Democrazia cristiana negli anni Ottanta, fu l’ideatore dell’operazione che portò Francesco Cossiga al Quirinale nel 1985. Fu un’elezione storica perché per la prima volta avvenne direttamente al primo scrutinio con una maggioranza larghissima. Da allora, con “metodo De Mita” ci si riferisce al tentativo dei vari partiti di individuare un candidato al Quirinale che venga votato trasversalmente e subito dagli schieramenti avversari, dato che, per eleggere Cossiga, De Mita riuscì ad accordarsi con tutti i partiti, compresi i comunisti.
In un’intervista al Corriere della Sera, De Mita ricordò così quell’elezione:
Disegnai un metodo che portava a lui. Toccava alla Dc? Bene, il segretario della Dc, che ero io, decise di incontrare tutti i partiti che si riconoscevano nella Costituzione. Quindi tutti, tranne l’Msi [Movimento Sociale Italiano, ndr]. Andreotti, che era un candidato naturale, mi disse: “Se votano Cossiga, andiamo avanti su di lui”. Convinsi Spadolini garantendo che Cossiga avrebbe tenuto Maccanico alla segreteria generale del Quirinale. E i liberali promettendo d’accordo con Cossiga che, dal Colle, avrebbe fatto Malagodi senatore a vita. Da ultimo, l’incontro con Natta a casa di Biagio Agnes. Era fatta.
– Leggi anche: Francesco Cossiga non era come gli altri
Semestre bianco
Più che a ridosso dell’elezione, questo termine emerge nelle settimane e nei mesi precedenti. La norma del semestre bianco è contenuta nell’articolo 88 della Costituzione, quello che parla della possibilità per il presidente della Repubblica di sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Il secondo comma di questo articolo recita:
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Sostanzialmente, il semestre bianco è una precauzione: la norma fu introdotta per evitare che il capo dello Stato possa decidere di sciogliere le Camere a ridosso della fine del suo mandato con l’obiettivo di eleggerne altre più vicine a lui e favorire così la scelta di un presidente che esprima una continuità col proprio mandato (o anche una rielezione).
Settennato
Indica un periodo di sette anni, ma viene usato quasi esclusivamente in riferimento al periodo in cui rimane in carica il presidente della Repubblica, e per estensione viene usato come sinonimo del mandato stesso di un presidente.
Toto nomi
Nelle cronache politiche di questo periodo si usa spesso il termine “toto nomi” parlando dei possibili futuri presidenti della Repubblica: è un modo per sintetizzare l’insieme dei dibattiti, articoli di giornale e interventi di politici che tirano in ballo questo o quel candidato, vero o presunto. Tra i tanti nomi che si sono fatti ci sono quelli di Giuliano Amato, Silvio Berlusconi, Marta Cartabia e Pier Ferdinando Casini. Si parla molto anche dell’ipotesi che venga eletto il presidente del Consiglio Mario Draghi, eventualità che però causerebbe un discreto groviglio istituzionale.
Bis
Date le difficoltà che si incontrerebbero eleggendo Draghi al Quirinale, molti esponenti politici vorrebbero che Mattarella accettasse di essere rieletto per un secondo mandato. Qualcuno ha ipotizzato un mandato a tempo fino alla scadenza della legislatura, altri, come il parlamentare Bruno Tabacci, vorrebbero addirittura che fosse un mandato pieno. In ogni caso è per questo che si sente spesso parlare di “bis”. Peraltro, se Mattarella dovesse accettare, sarebbe il secondo bis consecutivo dopo quello di Giorgio Napolitano nel 2013.
La Costituzione non impedisce al presidente della Repubblica di essere eletto due volte di seguito, ma Mattarella si è detto più volte fortemente contrario, in una forma velata e un po’ implicita, citando per esempio ex presidenti come Leone e Segni. Quest’ultimo fu il primo ad auspicare che nella Costituzione venisse inserito «il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica».