I talebani in Afghanistan stanno facendo peggio del previsto
A tre mesi dalla conquista, il regime è diviso, la crisi umanitaria è devastante e la popolazione non si sente al sicuro
Questa settimana diversi giornali hanno parlato del compimento dei primi 100 giorni di regime talebano, cercando di fare un bilancio di come stiano andando le cose in Afghanistan: stanno andando male, su tutti i fronti, alcuni più inaspettati di altri. Oltre alla gravissima crisi umanitaria, definita da un funzionario delle Nazioni Unite «la peggiore crisi umanitaria mai vista», i problemi riguardano anche l’aumento del crimine, la crescita della minaccia terroristica e le divisioni interne dei talebani, che rendono ancora più difficile una qualsiasi gestione del paese.
Sono tutti aspetti rilevanti: come quando instaurarono il loro primo regime, quest’estate i talebani conquistarono l’Afghanistan presentandosi come un gruppo molto coeso e cercarono di proporsi come una forza di governo capace di portare stabilità nel paese. È anche il motivo per cui una parte della popolazione, soprattutto nelle aree rurali, non si oppose al loro arrivo (come invece era successo in città). Le cose però non stanno andando così.
Da decenni l’Afghanistan è estremamente dipendente da finanziamenti e aiuti esteri. Prima dell’arrivo dei talebani i finanziamenti esteri sostenevano più di tre quarti della spesa pubblica e circa il 40 per cento del PIL, e nonostante questo la metà della popolazione viveva sotto la soglia della povertà.
Quando i talebani hanno riconquistato il paese, i finanziamenti sono stati interrotti e miliardi di dollari del governo afghano depositati in banche estere sono stati congelati. Le conseguenze sono state fin da subito disastrose: a oggi, in Afghanistan, milioni di persone soffrono la fame, ci sono gravissimi problemi di malnutrizione e gli ospedali ancora aperti (molti hanno dovuto chiudere) sono senza fondi e mandati avanti da persone che non ricevono il proprio stipendio da mesi.
Il racconto più recente lo ha fatto questa settimana la giornalista di origini afghane Yalda Hakim per BBC: il governo dei talebani non sta riuscendo a fornire alla popolazione afghana nemmeno i più basilari servizi, e secondo il World Food Program gli aiuti umanitari giunti nel paese sono una «goccia nell’oceano» assolutamente insufficiente a far fronte all’emergenza umanitaria in corso.
La crisi umanitaria si riflette anche sulla stabilità e sulla sicurezza del paese, su cui i talebani hanno sempre puntato per conquistare la fiducia della popolazione. La povertà ha causato un aumento del crimine, con rapine e rapimenti ormai quotidiani: sono tutte cose che gli abitanti si aspettavano diminuissero con l’arrivo dei talebani, anziché aumentare.
I talebani, in tutto questo, sembrano non avere le idee chiare su come affrontare la situazione, e stanno usando la crisi umanitaria più che altro per incolpare i paesi occidentali. In un’intervista di qualche giorno fa alla BBC, il portavoce del ministro degli Esteri del governo dei talebani, Abdul Qahar Balkhi, ha detto che i talebani hanno semplicemente ereditato una situazione disastrosa e che a lasciare che milioni di persone soffrano la fame è prima di tutto l’Occidente, che ha sospeso tutti i finanziamenti al paese e si rifiuta di riconoscere il nuovo governo e di adottare un atteggiamento di cooperazione e collaborazione.
Da parte loro, i paesi occidentali stanno usando il blocco dei finanziamenti e le sanzioni come strumento per esercitare pressioni sui talebani affinché riducano le limitazioni alle libertà individuali imposte alla popolazione, soprattutto alle donne. È una strategia che non sta funzionando, almeno per ora. In tutto questo, le condizioni di vita della popolazione afghana peggiorano sempre di più.
Ad aggravare la situazione, poi, c’è la crescita della minaccia terroristica dovuta alla rivalità tra i talebani e l’ISIS (ISIS-K, in Afghanistan), che si è intensificata moltissimo proprio da quando i talebani hanno preso il controllo del paese, e che negli ultimi mesi ha portato a decine di attacchi terroristici.
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Il New York Times ha scritto che solo da metà settembre a fine ottobre l’ISIS-K ha compiuto almeno 54 attacchi tra esplosioni suicide e omicidi: è stato uno dei periodi di maggiore attività dello Stato Islamico in Afghanistan. Negli attacchi sono morte centinaia di civili. L’ultimo attacco è stato un paio di settimane fa, in una moschea di Kabul, e ha provocato morti e feriti. Secunder Kermani, inviato di BBC a Jalalabad, ha raccontato anche di quotidiane esecuzioni di persone sospettate di far parte dell’ISIS-K nelle strade della città.
Per i civili afghani, quindi, l’arrivo dei talebani non ha posto fine all’instabilità e agli attacchi quotidiani che avevano caratterizzato l’Afghanistan nell’ultimo periodo delle occupazioni militari, come molti di loro speravano. La crescita della minaccia terroristica sta contribuendo a minare profondamente la fiducia della popolazione nei talebani, anche perché il gruppo sta avendo molte difficoltà nel contrastare le tattiche e le strategie di guerriglia utilizzate dall’ISIS-K.
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Su queste difficoltà si sono espressi in molti, nelle ultime settimane, sottolineando come i talebani si comportino e combattano ancora da ribelli, più che come un governo.
Lo hanno detto Colin P. Clarke, analista del Soufan Group, una società di consulenza che si occupa di sicurezza, e David H. Petraeus, il generale americano in pensione che comandò le forze internazionali in Afghanistan tra il 2010 e il 2011 e che fu anche direttore della CIA. Petraeus ha detto che i talebani stanno comprendendo «quanto sia più impegnativo essere una forza di controinsurrezione rispetto all’essere un gruppo di ribelli». È dello stesso parere Tamim Asey, direttore dell’istituto di ricerca afghano Institute for War and Peace Studies, che ha detto all’Economist che «la trasformazione da milizia a governo sta costando molto ai talebani».
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Secondo le analisi più recenti, infine, il governo dei talebani è indebolito da una serie di divisioni interne, cominciate subito dopo la formazione del governo, a settembre. Tra le altre cose, diversi giornali raccontarono di una lite scoppiata nel palazzo presidenziale tra Abdul Ghani Baradar, vice del primo ministro del governo dei talebani (oltre che tra i fondatori del gruppo) e Khalil Haqqani, membro della Rete Haqqani (gruppo armato alleato dei talebani), e del governo dei talebani. Secondo alcune fonti, smentite dai talebani, la discussione sarebbe addirittura degenerata in uno scontro fisico tra i due, che litigavano sulla formazione del governo. Dopo la lite Baradar scomparve dalla scena pubblica per un po’ – si arrivò a pensare che fosse morto – per poi ricomparire.
Le divisioni interne ai talebani non sono una novità: esistevano anche negli anni Novanta, ma i talebani erano comunque sempre riusciti a presentarsi come un gruppo monolitico e coeso nel perseguimento dei propri obiettivi. Tuttavia, secondo alcune analisi, le divisioni interne si sarebbero aggravate soprattutto a partire dal 2013, con la morte del Mullah Omar, il fondatore del movimento dei talebani.
È difficile prevedere il modo in cui queste divisioni evolveranno. Nel frattempo, comunque, gli afghani e le afghane dicono che con l’arrivo dei talebani la situazione del paese è peggiorata e che non si sentono sicuri, mentre i divieti nei confronti delle donne aumentano giorno dopo giorno. Alle ragazze che hanno più di 12 anni è ancora vietato studiare.
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