Sappiamo ancora poco sulla nuova variante omicron

Ma ci sono forti preoccupazioni da parte di istituzioni sanitarie ed esperti: l'Italia e altri paesi hanno fermato i voli da alcuni paesi dell'Africa meridionale

Una nuova variante del coronavirus, identificata inizialmente nel Botswana e in seguito in numerosi contagiati in Sudafrica, sta attirando l’interesse dei gruppi di ricerca e delle istituzioni per l’alto numero di mutazioni che contiene e la sua apparente capacità di diffondersi molto velocemente. Le autorità sanitarie sudafricane non hanno nascosto le loro preoccupazioni e alcuni paesi, come il Regno Unito e l’Italia, hanno già deciso di introdurre nuove limitazioni per chi arriva da diversi paesi africani.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un’ordinanza «che vieta l’ingresso in Italia a chi negli ultimi 14 giorni è stato in Sudafrica, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Eswatini», e l’Unione Europea ha annunciato un blocco temporaneo dei voli dagli stessi sette paesi. Nella giornata di venerdì sono stati rilevati casi in Israele e almeno un caso in Europa, nel Belgio.

Le notizie sulla nuova variante hanno avuto effetti negativi sui mercati finanziari di tutto il mondo.

Secondo vari esperti i presupposti non sono incoraggianti, ma i dati per ora disponibili sono estremamente limitati e occorreranno diversi giorni prima di avere valutazioni scientifiche più accurate (preoccuparsi per una variante è utile per essere preparati a ogni evenienza, non per fare allarmismo).

B.1.1.529
La variante è stata catalogata come B.1.1.529, e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) l’ha denominata con la lettera greca O (“omicron” in italiano), nell’ambito della nomenclatura per le varianti decisa a inizio giugno di quest’anno. In precedenza si era diffusa l’ipotesi che potesse essere definita con la lettera greca (“ni” in italiano, “nu” in inglese).

B.1.1.529 era stata identificata per la prima volta nello stato africano del Botswana a inizio novembre. In seguito l’analisi di alcuni campioni aveva portato alla sua identificazione a Hong Kong e soprattutto in Sudafrica, dove si effettuano numerosi sequenziamenti per valutare la diffusione delle varianti e la loro prevalenza.

Stando alle prime analisi, le infezioni da B.1.1.529 sono in netto aumento nella provincia del Gauteng, dove si trova Johannesburg, la città più popolosa del paese. Nella zona nelle ultime settimane era stato rilevato un aumento significativo dei contagi che aveva interessato soprattutto i più giovani, in età scolare.

Analizzando 77 campioni prelevati da altrettante persone positive, un gruppo di ricerca ha trovato in tutti la variante B.1.1.529. I prelievi erano stati effettuati tra il 12 e il 20 novembre e c’è quindi un’alta probabilità che nel frattempo la variante abbia continuato a diffondersi. Il gruppo di ricerca è già al lavoro per analizzare nuovi campioni, provenienti anche da altre aree del Sudafrica.

I 77 casi si aggiungono ai 4 identificati in precedenza nel Botswana e a un caso rilevato a Hong Kong, derivante direttamente da un viaggiatore proveniente dal Sudafrica.

B.1.1.529 possiede più di 30 mutazioni nella proteina “spike”, quella che il coronavirus utilizza per eludere le difese delle cellule del nostro organismo, in modo da sfruttarle per produrre copie di se stesso e portare avanti l’infezione. Alcune mutazioni erano già state riscontrate nelle varianti delta e alfa e avevano mostrato di rendere il coronavirus più contagioso o in grado di eludere più facilmente l’attività degli anticorpi del nostro sistema immunitario.

Nell’area della proteina spike strettamente legata al primo contatto tra il coronavirus e una cellula, il gruppo di ricerca sudafricano ha identificato almeno dieci mutazioni, contro le due della variante delta. L’ipotesi è che B.1.1.529 abbia avuto origine in un paziente il cui sistema immunitario non era riuscito a contrastare efficacemente l’infezione.

La presenza di molte mutazioni non significa comunque che la nuova variante sia necessariamente più rischiosa di quelle circolate finora.

Mutazioni
Un virus entra in un organismo e ne sfrutta poi le cellule per replicarsi, cioè per creare nuove copie di se stesso che provvederanno a legarsi ad altre cellule per fare la stessa cosa. Questo meccanismo non è molto preciso e può portare ad alcuni errori nella fase in cui il codice genetico del virus viene trascritto per farne una copia, un po’ come avviene quando si ricopia un testo e inavvertitamente si scrive un refuso.

È nell’ordine delle cose, succede di continuo in natura nei processi di replicazione del materiale genetico. Il risultato di questi refusi sono mutazioni, quasi sempre innocue e che si trasmettono alle generazioni successive, accumulandosi a quelle nuove prodotte nei processi di replicazione seguenti.

Cosa sappiamo e non sappiamo
Nel caso di B.1.1.529 ci sono ancora moltissime cose da chiarire. Parte delle preoccupazioni deriva dal fatto che questa versione del virus è sensibilmente diversa da quella identificata all’inizio della pandemia a Wuhan e sulla quale furono sviluppati gli attuali vaccini.

A oggi non sappiamo se la nuova variante abbia una maggiore capacità di eludere le difese che sviluppiamo in seguito alla vaccinazione, né se le sue mutazioni la rendano effettivamente più contagiosa della variante delta, che ha mostrato di diffondersi con grande rapidità.

Alcune varianti che inizialmente avevano suscitato grandi preoccupazioni non hanno poi assunto una grande rilevanza durante la pandemia. Era successo per esempio con la beta a inizio anno, per la sua presunta capacità di sfuggire più facilmente alle difese del sistema immunitario. Nei mesi successivi aveva però mostrato di essere meno contagiosa ed era stata rapidamente sopravanzata dalla delta, ormai prevalente in buona parte del mondo.

I ricercatori vogliono capire se B.1.1.529 metta o meno insieme contagiosità e capacità di eludere le difese immunitarie già sviluppate, tramite precedenti infezioni o con i vaccini, condizione che darebbe un grande vantaggio alla nuova variante.

I test sono già in corso in numerosi laboratori, ma è probabile che le prime risposte arriveranno dal mondo reale, specialmente dai paesi che effettuano molti sequenziamenti per tenere traccia delle varianti più diffuse. Grazie alle sue particolari caratteristiche, B.1.1.529 può essere inoltre identificata più velocemente nei test, cosa che dovrebbe rendere più semplice il suo tracciamento rispetto ad altre varianti.

A oggi siamo quindi davanti a una nuova variante verso la quale ci sono preoccupazioni da parte di esperti e istituzioni sanitarie, ma su cui abbiamo ancora pochissimi dati concreti. Non sappiamo con certezza se sia più contagiosa della delta né quanto riesca a eludere le difese immunitarie. Abbiamo dati circoscritti sulla sua rapida diffusione in parte del Sudafrica, ma solo analizzando il ritmo con cui si diffonde rispetto alla delta si potranno fare analisi più accurate sui rischi e sulla tenuta dei vaccini.