Mancano gli arbitri di calcio
Tra pandemia e vecchi problemi, negli ultimi anni se ne sono persi circa cinquecento: gli effetti si stanno già vedendo e non si risolveranno in fretta
di Pietro Cabrio
Nell’ultima domenica di settembre, durante Oleggio Castello-Carpignano, partita della Prima categoria del campionato maschile di calcio, l’arbitro ventitreenne assegnato all’incontro è stato preso a pugni in campo dall’allenatore della squadra ospiti, espulso poco prima per proteste. La brutalità dell’aggressione, ripresa in un video diffuso online, ha fatto discutere e ha richiesto l’intervento dei vertici del calcio italiano, che hanno punito con cinque anni di squalifica l’allenatore.
I maltrattamenti e le aggressioni agli arbitri fanno notizia regolarmente. Uniti agli effetti della pandemia e a un sistema di incentivi e benefici ritenuto non più sufficiente, sono i motivi che rendono sempre più difficile l’avvicinamento all’arbitraggio da parte di ragazzi e ragazze. Secondo Paolo Mazzoleni, arbitro di Serie A per oltre quindici anni e ora impiegato al VAR, c’è bisogno di nuovi approcci: «L’arbitraggio è un’esperienza sana e formativa. È un modo istruttivo di occupare il proprio tempo e anche un’attività fisica paragonabile a sport veri e propri. Ma bisogna capire anche che i ragazzi d’oggi sono diversi da quelli delle nostre generazioni. Parlare di sacrifici alla base della passione per l’arbitraggio può essere frainteso. Bisogna trovare altri mezzi».
Questa “crisi di vocazione”, come viene chiamata, sta già creando molti problemi nei campionati minori e in quelli giovanili, e alla lunga rischia di avere degli effetti anche sui tornei maggiori.
Dal 2018 a oggi l’Associazione Italiana Arbitri (AIA) ha perso tra i 500 e i 550 direttori e assistenti di gara (i “guardalinee”). Con la ripresa dei campionati locali dopo la lunga sospensione dovuta alla pandemia, gli effetti di questo mancato ricambio generazionale si stanno notando e si faranno notare ancora, dato che il problema avrà bisogno di tempo per essere risolto.
Da quando è iniziata la stagione, alcune partite del campionato Promozione – sesto livello del campionato italiano – in Piemonte e in Valle d’Aosta sono state giocate senza guardalinee, per mancanza di personale. Per gestire il problema, il comitato dilettantistico locale ha proposto alle squadre di far disputare le partite in più giorni della settimana, non solo la domenica, e di “distribuire” guardalinee a rotazione fra le partite per la durata del campionato, con tutti i rischi del caso.
Nell’ultimo anno le sezioni arbitrali piemontesi più piccole, come quella del Verbano Cusio Ossola, non hanno raccolto nessuna iscrizione. In Emilia-Romagna le varie sezioni locali dell’AIA stanno cercando di arginare il problema collaborando fra di loro nella distribuzione settimanale degli arbitri, ma questo non sta impedendo il rinvio delle partite di Terza Categoria, il primo livello del campionato nazionale.
In Lombardia, un po’ per bisogno e un po’ per dare un segnale a tutto il movimento, è stato chiesto aiuto agli ex arbitri di Serie A e Serie B, come nel caso recente di Daniele Minelli, rientrato dopo un anno di inattività e mandato ad arbitrare nel campionato “giovanissimi”, cioè per calciatori con meno di quindici anni. Vista la situazione, seguirà l’esempio anche Mazzoleni, che una volta risolte le questioni burocratiche legate al suo attuale ruolo si è detto intenzionato a tornare ad arbitrare nei campionati minori.
Ma come si spiega questa emergenza? Per prima cosa, i campionati locali e giovanili sono stati sospesi per oltre un anno a causa della pandemia. In questo periodo centinaia di arbitri hanno abbandonato la professione, per limiti d’età o per altri motivi ritenuti fisiologici. A differenza degli anni passati, però, non si è verificato un vero ricambio, sia per il maggior numero di arbitri da sostituire sia per i pochi nuovi arbitri formati in questo periodo, cosa che già nel 2018 aveva spinto numerose sezioni in tutta Italia a organizzare corsi straordinari per rinfoltire gli iscritti.
Non a caso il reclutamento è stato uno dei punti principali nel programma elettorale di Alfredo Trentalange, ex arbitro internazionale eletto lo scorso febbraio alla presidenza dell’AIA con il 60 per cento delle preferenze in sostituzione di Marcello Nicchi, in carica da dodici anni.
Trentalange è intervenuto subito modificando i limiti d’età per diventare arbitri: ha spostato da 15 a 14 anni l’età minima per partecipare ai corsi di formazione necessari per l’avviamento, e da 45 a 50 il limite per continuare l’attività. L’altra iniziativa, considerata la più importante, è stata lanciata di recente. Attraverso la modifica delle norme federali, è ora consentito ai ragazzi dai 14 ai 17 anni di essere tesserati sia come arbitri che come giocatori: il cosiddetto “doppio tesseramento”. Una volta superato il corso di avviamento all’arbitraggio, i ragazzi e le ragazze che aderiranno potranno quindi continuare a giocare con le loro squadre e allo stesso tempo arbitrare (in campionati diversi da quelli delle loro squadre).
L’AIA ha definito il doppio tesseramento «un momento storico» per la categoria, mentre per Trentalange si tratta di un salto culturale: «L’idea di avere un arbitro che ha giocato a pallone è un salto culturale. In questo modo non sarà più visto come l’uomo nero, ma come un compagno di giochi: ne beneficeranno sia i direttori di gara che i calciatori». Gli effetti si potranno notare con il tempo: i primi corsi del nuovo ciclo, iniziati ad agosto, si stanno concludendo in queste settimane. Per Mazzoleni, che ha accolto favorevolmente l’iniziativa, se ne potrà valutare il successo o meno nel giro di un anno.
Se la base del reclutamento è stata allargata, rimane però il problema dell’attrattiva e degli incentivi. Il corso di formazione, punto di partenza del percorso arbitrale, è gratuito. Dopodiché inizia la cosiddetta gavetta, la fase più selettiva, dove per anni si arbitra fra campionati giovanili e locali ricevendo rimborsi sommari. Nelle prime categorie aperte all’arbitraggio, i campionati “giovanissimi” e “allievi”, si va da un minimo di 30 euro di rimborso per trasferte entro i 25 chilometri fino a 88 euro per spostamenti di 300 chilometri, che però sono rari, dato che i campionati giovanili si disputano perlopiù a livello provinciale o al massimo regionale. I rimborsi sono forfettari e non vengono erogati a fronte di ricevute che provino le spese sostenute.
Nella fase successiva di una carriera arbitrale, il passaggio dalle giovanili ai dilettanti comporta solo pochi euro di aumento nei rimborsi: i 30 euro per i 25 chilometri diventano 35 e così via con l’aumentare della distanza percorsa. I guardalinee prendono rimborsi minori, sui livelli di quelli destinati ai settori giovanili.
Come ha spiegato nel suo blog Luca Marelli, ex arbitro di Serie A e ora commentatore tecnico arbitrale di Dazn: «Tutti gli arbitri che oggi sono in Serie A hanno dovuto passare per le categorie inferiori, facendo i salti mortali con lavoro ed affetti per riuscire ad arbitrare turni infrasettimanali o partecipare a raduni, spesso usando le proprie ferie. Tutti partono con il sogno della Serie A, consapevoli però che ogni anno solo pochi potranno contare su compensi non marginali. Tutti gli altri semplicemente seguono una passione pazzesca».
Nella passata stagione l’AIA aveva circa 30.537 associati tra arbitri e assistenti, 1.724 dei quali donne. Anche i pochi tra queste migliaia che arrivano a ottenere i compensi fissi e le diarie previste per chi arbitra in Serie A e in Serie B – con guadagni compresi tra i 90 e i 200mila euro a stagione – lo fanno dopo anni in cui arbitrare è stato di fatto solo un hobby impegnativo segnato da sacrifici non così sostenuti dall’esterno e motivati perlopiù dalla passione: la stessa che ora però sembra non bastare più.