L’Italia contro le etichette che indicano la salubrità degli alimenti
Da anni si oppone a Nutri-Score, il sistema francese che evidenzia bene la quantità di grassi nell'olio di oliva, nei formaggi e nei salumi
Come devono essere fatte le etichette sulle confezioni degli alimenti perché chi li acquista possa capire facilmente il loro valore nutritivo? È un tema di cui si discute da anni e nel 2020 la Commissione Europea si è riproposta di trovare un sistema di etichette unico da adottare obbligatoriamente in tutta l’Unione Europea. È una prospettiva che però è molto osteggiata da alcuni paesi, prima fra tutti l’Italia, che temono la diffusione di un tipo di etichette già molto comuni in Francia, Germania e Spagna: quelle del Nutri-Score.
Il Nutri-Score è un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari ideato a partire dal 2013 dall’EREN, un gruppo di ricerca in epidemiologia nutrizionale francese legato all’Università della Sorbona di Parigi. Per essere più facilmente comprensibile non indica valori di calorie, zuccheri e grassi come le etichette già obbligatorie per molti prodotti, ma riassume il valore nutritivo degli alimenti in una scala di cinque indicatori a cui corrispondono cinque colori ispirati alle luci dei semafori e le prime cinque lettere dell’alfabeto: gli alimenti etichettati con la A e il corrispondente colore verde scuro sono quelli più sani, quelli contrassegnati dalla E e dal rosso quelli meno sani. Sia le lettere che i colori dei semafori sono stati scelti perché più intuitivi rispetto ai valori in grammi.
Per decidere con quale coppia di lettera e colore debba essere contrassegnato ogni alimento, si usa un algoritmo che assegna dei punti alle diverse caratteristiche nutrizionali: un’alta presenza di sale, ad esempio, riduce i punti, mentre la presenza di proteine e fibre ne aggiunge. L’algoritmo varia leggermente a seconda del tipo di prodotto considerato: ce n’è uno specifico per le bevande, uno per i formaggi, uno per tutti i prodotti molto grassi, come gli oli, e un quarto per il resto dei cibi. In tutti i casi i punteggi vengono calcolati sulla base dei valori nutrizionali di 100 grammi di prodotto (o millilitri nel caso dei liquidi).
Secondo vari studi scientifici realizzati in diversi paesi, le etichette del Nutri-Score sono efficaci nel far capire alle persone quali sono gli alimenti con i valori nutrizionali più salutari. Altre ricerche hanno mostrato che le diete più salutari secondo i criteri del Nutri-Score sono associate a un minor rischio di malattie cardiovascolari, sviluppo di tumori e sovrappeso. A settembre si è aggiunta alle organizzazioni già favorevoli all’uso del Nutri-Score l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che ha analizzato tutti gli studi esistenti sull’argomento.
In Italia invece il Nutri-Score è duramente osteggiato, da anni, dalle associazioni che rappresentano i produttori di cibo (come la Coldiretti), dai politici, dalle istituzioni statali e dai governi. La ragione principale, in sintesi, è che alcuni famosi prodotti tipici italiani, ampiamente apprezzati dal punto di vista gastronomico, si qualificano come C, gialli, o D, arancioni, nella scala del Nutri-Score, a causa del loro alto contenuto di grassi: è il caso dell’olio extravergine d’oliva, del parmigiano reggiano e del prosciutto crudo.
Secondo le critiche italiane queste valutazioni penalizzerebbero sul mercato tanti importanti prodotti, contrassegnandoli con la parte rossa del “semaforo”. Inoltre sarebbero ingannevoli, perché, soprattutto nel caso dell’olio di oliva, non terrebbero conto delle quantità normalmente consumate dalle persone di un determinato alimento, cioè della porzione.
Il gruppo di ricerca che ha ideato il Nutri-Score ha risposto a queste critiche spiegando che l’uso di etichette che citino porzioni invece che quantità precise in grammi o millilitri sarebbe poco pratico e poco scientifico, perché non tutte le persone sanno quale porzione di un determinato alimento è salutare. Mentre misure standard permettono di fare un confronto più corretto.
Riguardo all’olio di oliva nello specifico, gli scienziati dell’EREN hanno sottolineato che la sua etichetta non va confrontata con quelle di altri prodotti alimentari in generale, ma con quelle degli altri oli: così facendo è evidente, sulla base della scala del Nutri-Score, che l’olio di oliva (C) è più salutare di quello di mais, di semi di girasole, di soia (D) e di cocco (E) – oltre che del burro (E). Per quanto riguarda formaggi e salumi, che sono classificati con le lettere D ed E nella maggior parte dei casi per via dell’alto contenuto di grassi saturi e di sale, sia che siano di origine italiana che francese o di altri paesi europei, «possono perfettamente essere consumati nel quadro di un’alimentazione equilibrata», «in quantità e frequenza limitate, coerentemente con i princìpi della dieta mediterranea».
Finora queste argomentazioni non hanno però convinto né i politici né le associazioni di produttori italiani, e l’anno scorso il governo italiano ha proposto un sistema di etichette alternativo al Nutri-Score, che si chiama NutrInform Battery. Non prevede l’uso di colori diversi ed è basato sulle porzioni, la cui quantità è indicata in grammi: per ogni tipo di valore nutrizionale del prodotto indica una percentuale all’interno dell’icona di una pila, simile a quelle che sui dispositivi digitali segnalano la carica della batteria.
Il sistema NutrInform è insomma piuttosto simile alle etichette già presenti su molti alimenti, che sono state ideate dalle aziende produttrici, quelle con le cosiddette “dosi giornaliere consigliate”, che secondo molti studi scientifici sono inefficaci e difficili da interpretare dalle persone.
C’è comunque chi, anche in Italia, sostiene l’uso del Nutri-Score. L’anno scorso cinque autorevoli scienziati – tra cui Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza per l’emergenza COVID-19, Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” – avevano ribadito le basi scientifiche per l’utilizzo del sistema di etichette e si erano detti speranzosi che il suo valore fosse compreso dalle autorità sanitarie «al di là delle strumentali polemiche politiche».
Finora però l’orientamento più diffuso è quello contrario al Nutri-Score. Il 22 novembre l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – quella che siamo abituati a chiamare “Antitrust” – ha avviato cinque istruttorie sul suo uso da parte di otto società che vendono prodotti alimentari, tra cui le italiane Carrefour Italia e Valsoia, la francese Regime Dukan e l’inglese Weetabix, e di Yuka, una app francese che offre valutazioni nutrizionali.