L’Australia invierà poliziotti e soldati nelle Isole Salomone per placare una rivolta
I manifestanti hanno dato alle fiamme vari edifici: protestano, tra le altre cose, contro la politica del governo nei confronti della Cina
Giovedì il primo ministro australiano Scott Morrison ha detto che invierà una sessantina di soldati e poliziotti nelle Isole Salomone, che si trovano in Oceania, a est della Papua Nuova Guinea, per placare una rivolta contro il governo in corso da mercoledì. I manifestanti, molto violenti, protestano contro le politiche economiche del governo, ma hanno anche un’altra motivazione più inusuale: la politica estera. Una delle principali ragioni delle proteste sono infatti i rapporti sempre più stretti tra il governo centrale delle Isole Salomone e la Cina.
A richiedere l’intervento dell’Australia è stato il primo ministro delle Isole Salomone Manasseh Sogavare, in base a un accordo firmato dai due paesi nel 2017, per cui l’Australia può inviare forze armate e personale civile nelle Isole Salomone, un paese di circa 600mila abitanti, nel caso di eventi che minaccino la sicurezza nazionale.
La rivolta si è concentrata nell’isola di Guadalcanal, dove c’è la capitale Honiara. È una rivolta particolarmente violenta: i manifestanti, un migliaio, hanno preso d’assalto il parlamento chiedendo le dimissioni del primo ministro e dato fuoco ad alcuni edifici governativi, oltre che a una stazione di polizia e ad alcuni negozi, soprattutto nel distretto cinese della capitale. Una delle aree della città coinvolte maggiormente negli scontri è stata infatti Chinatown, dove vive la comunità cinese. Ci sono stati violenti scontri con la polizia locale, che è intervenuta con lacrimogeni e proiettili di gomma, e sono state anche imposte 36 ore di coprifuoco.
VIDEO: Plumes of thick black smoke billow high as rioters torch buildings in the Solomon Islands' capital of Honiara Thursday, targeting the city's Chinatown district in a second day of anti-government protests. of fire and smoke rising pic.twitter.com/EwC7PTfEdS
— AFP News Agency (@AFP) November 25, 2021
I manifestanti provengono soprattutto dall’isola di Malaita, una delle più popolose. Può per certi versi apparire inusuale, ma le proteste non riguardano solo questioni interne al paese (da decenni gli abitanti dell’isola di Malaita protestano contro il governo per lo scarso sostegno economico all’isola e le sue conseguenze), ma anche e soprattutto la politica estera attuata dal governo centrale negli ultimi anni.
Solomon Islands police fired tear gas in the capital Honiara as crowds of protesters set fire to buildings, including a police station, and looted shops in an eruption of anger at the government, Radio New Zealand reported https://t.co/QeznpR0kFn pic.twitter.com/hRYPCDkQpR
— Reuters (@Reuters) November 24, 2021
In particolare, i manifestanti protestano contro il governo centrale a causa dei suoi rapporti sempre più stretti con la Cina, soprattutto a partire dal 2019. Prima di quell’anno le Isole Salomone erano tra i pochi paesi del mondo che mantenevano rapporti diplomatici con Taiwan, l’isola di fatto indipendente che la Cina rivendica come propria, piuttosto che con la Cina, diventata nel frattempo una delle maggiori potenze dell’area del Pacifico.
Nel 2019, però, il primo ministro delle Isole Salomone Sogavare si è unito ad altri paesi del Pacifico che hanno formalizzato i propri rapporti diplomatici con la Cina. Le Isole Salomone, dunque, hanno interrotto le relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, anche se alcuni rapporti di tipo economico permangono.
Secondo quanto riportato a suo tempo da ABC News, in cambio la Cina avrebbe promesso al governo delle Isole Salomone circa 730 milioni di dollari (circa 650 milioni di euro) di aiuti economici. Subito dopo, Taiwan aveva comunicato l’interruzione dei propri rapporti diplomatici con le Isole Salomone «con effetto immediato», accusando la Cina di ricorrere alla «diplomazia del dollaro» per comprare i propri alleati.
I manifestanti temono che ufficializzare i rapporti con la Cina possa minacciare i diritti umani nell’arcipelago, e portare a fenomeni di sfruttamento economico.
La decisione di stringere rapporti diplomatici con la Cina era stata criticata fin da subito da una serie di politici locali delle Isole Salomone. Le proteste di mercoledì, in parte inaspettate per la loro irruenza, hanno portato queste tensioni al loro culmine.
Non è la prima volta che l’Australia interviene per placare rivolte nelle Isole Salomone: prima dell’accordo del 2017 esisteva un’altra missione, finanziata soprattutto dall’Australia ma a cui partecipavano anche altri paesi, che prevedeva interventi nel caso di minacce alla sicurezza nazionale. Negli ultimi anni le rivolte sono state numerose. Una di queste, nel 2006, fu tra quelle che riguardavano, come in questo caso, le relazioni tra il governo delle Isole Salomone e la Cina: i manifestanti protestavano perché si diceva che le elezioni dell’allora primo ministro fossero state influenzate dalla Cina.