• Italia
  • Martedì 23 novembre 2021

È stato autorizzato il primo suicidio assistito in Italia

Lo ha deciso il comitato etico dell'ASL delle Marche, dopo una sentenza del tribunale di Ancona: riguarda un 43enne tetraplegico

Marco Cappato durante la raccolta firme per il referendum sull'eutanasia legale organizzato dall'Associazione Luca Coscioni 
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Marco Cappato durante la raccolta firme per il referendum sull'eutanasia legale organizzato dall'Associazione Luca Coscioni (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Il comitato etico dell’azienda sanitaria delle Marche ha autorizzato il suicidio assistito di un paziente tetraplegico che ne aveva fatto richiesta, dopo che a giugno il Tribunale di Ancona le aveva ordinato di verificare che esistessero le condizioni necessarie. È la prima volta che in Italia un’azienda sanitaria (ASL) autorizza il suicidio assistito, e che dunque viene applicata un’importante sentenza della Corte Costituzionale del 2019, secondo la quale chi aiuta una persona a suicidarsi non è punibile a patto che siano rispettate alcune condizioni.

La decisione dell’ASL delle Marche è stata resa pubblica dall’associazione Luca Coscioni, che aveva seguito fin dall’inizio la vicenda del paziente tetraplegico, un uomo di 43 anni immobilizzato da dieci anni a causa di un incidente stradale e in condizioni irreversibili.

La richiesta di suicidio assistito da parte dell’uomo era stata fatta più di un anno fa, nell’agosto del 2020. Inizialmente però l’ASL marchigiana l’aveva respinta, senza attivare le procedure indicate dalla sentenza della Corte Costituzionale, secondo cui il suicidio assistito non è punibile se ci sono alcune condizioni: che il paziente sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», che sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e che sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

L’ASL marchigiana avrebbe dovuto verificare queste condizioni, ma si era rifiutata di farlo.

L’uomo a quel punto aveva presentato un’istanza al Tribunale di Ancona, che inizialmente, lo scorso marzo, aveva dato ragione all’ASL: pur riconoscendo che il paziente aveva i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale, per il Tribunale non era possibile obbligare l’azienda e gli operatori sanitari a garantire il diritto al suicidio assistito.

L’uomo aveva quindi presentato un reclamo, e a giugno il Tribunale di Ancona aveva ribaltato la precedente decisione e ordinato che l’azienda sanitaria delle Marche avrebbe dovuto verificare le condizioni del paziente e la sussistenza dei criteri che rendono l’aiuto al suicidio non punibile.

Ora il comitato etico dell’azienda, un organismo indipendente formato da medici e psicologi che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti, ha deciso che l’uomo rientra nelle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale per l’accesso al suicidio assistito, ma ha anche specificato che «restano da individuare ora le modalità di attuazione».

La sentenza della Corte Costituzionale
L’autorizzazione concessa dall’ASL marchigiana è possibile grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che nel settembre del 2019 si era espressa sul caso di Marco Cappato, il politico e attivista dell’associazione Luca Coscioni che era stato accusato – in base all’articolo 580 del codice penale – di avere aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente.

La Corte aveva stabilito che, a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile; e che la pratica di assistenza al suicidio non è equiparabile all’istigazione al suicidio (equiparazione che fa invece l’articolo 580 del codice penale). La sentenza non interveniva direttamente sul diritto al suicidio assistito, quindi, ma su chi sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire. Indirettamente, però, la sentenza ammetteva il suicidio assistito in condizioni molto circoscritte, e chiamava in causa su questo tema il Servizio sanitario nazionale.

Spetta quindi alle strutture sanitarie pubbliche verificare le condizioni in cui è ammesso il suicidio assistito.

Va precisato che il suicidio assistito non equivale all’eutanasia: nel suicidio assistito, infatti, il farmaco necessario a uccidersi viene assunto in modo autonomo dalla persona malata. Nell’eutanasia, invece, il medico ha un ruolo fondamentale: nell’eutanasia attiva somministra il farmaco, in quella passiva sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona. In Italia non ci sono leggi che regolamentino l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ma solo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato. L’eutanasia passiva, invece, dal gennaio del 2018 è regolata dalla legge sul testamento biologico.

L’eutanasia attiva è invece alla base della proposta di un referendum per cui a ottobre sono state depositate alla Corte di Cassazione più di un milione di firme e che se venisse autorizzato dovrebbe svolgersi il prossimo anno. Il referendum propone di abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale, quello che punisce l’omicidio del consenziente: in questo modo sarebbe permessa l’eutanasia attiva, che avviene quando il medico somministra il farmaco necessario a morire, e che è attualmente illegale in Italia.