Un test per salvare il mondo

La sonda DART della NASA è partita per colpire e deviare un asteroide, con una tecnica che potrebbe evitarci l'estinzione in futuro: un mini satellite italiano farà da testimone

di Emanuele Menietti – @emenietti

L'arrivo di DART nei pressi di Didymos e Dimorphos, in un'elaborazione grafica (NASA)
L'arrivo di DART nei pressi di Didymos e Dimorphos, in un'elaborazione grafica (NASA)

Nelle prime ore del 24 novembre, dalla base di lancio di Vandenberg, in California, è partita una missione per sperimentare una tecnologia che un giorno potrebbe salvare tutte le specie del nostro pianeta, compresa la nostra. Una sonda ha iniziato un viaggio di milioni di chilometri per raggiungere e colpire un asteroide. Il test servirà per capire se sia possibile modificare con una sorta di tamponamento cosmico il percorso seguito da un asteroide, nel caso in cui finisse in rotta di collisione con la Terra.

La missione, che si chiama DART (Double Asteroid Redirection Test), è stata organizzata dalla NASA e comprende un’importante collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana (ASI), che ha coordinato la realizzazione di un piccolo satellite che avrà il compito di osservare gli effetti dell’impatto della sonda sull’asteroide.

Impatti cosmici
La Terra è costantemente colpita da frammenti di rocce interplanetarie, ed è probabile che una collisione stia avvenendo proprio ora, mentre leggete questo articolo, ma niente paura. La maggior parte di questi impatti non ha conseguenze perché i detriti bruciano e si polverizzano nel loro passaggio tra gli strati più alti dell’atmosfera. A volte, però, gli oggetti che si avvicinano sono più grandi e possono causare qualche danno a livello locale, se non si disintegrano completamente al loro ingresso nel pianeta.

In casi eccezionalmente rari, gli impatti possono riguardare oggetti più grandi, che hanno effetti devastanti, come sperimentarono i dinosauri 66 milioni di anni fa.

Senza scomodare specie ormai estinte, nel febbraio del 2013 l’evento di Čeljabinsk, in Russia, fu un discreto promemoria dei rischi. Un asteroide non identificato entrò nell’atmosfera ed esplose causando una forte onda d’urto che interessò almeno sei città nella regione degli Urali, distruggendo i vetri di buona parte degli edifici.

Furono stimati danni per oltre 25 milioni di euro e ci furono 1.600 feriti, per lo più persone che si erano affacciate alle finestre per vedere quello strano bagliore. L’evento aveva ricordato i rischi degli impatti cosmici e che servisse un piano, nel caso si rendesse necessario deviare un asteroide particolarmente ingombrante e pericoloso.

Asteroidi
In orbita intorno al Sole ci sono miliardi di asteroidi e loro frammenti. Possiamo considerarli parenti stretti dei pianeti terrestri, come il nostro, anche se sono molto più piccoli e raramente sferici. Gli astronomi ipotizzano che gli asteroidi siano ciò che è rimasto del “disco protoplanetario”, il grande ammasso di polveri e gas in orbita intorno al Sole miliardi di anni fa dal quale si formarono i pianeti e i satelliti naturali del sistema solare.

I piccoli corpi del sistema solare sono costituiti da materiali comuni sulla Terra, compreso il ghiaccio per gli oggetti più lontani e freddi. Per questo la classica distinzione tra un asteroide, roccioso e inerte, e una cometa, ghiacciata e attiva, è molto dibattuta e ormai messa in dubbio.

Quasi tutti gli asteroidi si trovano nella “fascia principale”, un grande anello di detriti che gira intorno al Sole, tra le orbite di Marte e di Giove, a debita distanza dalla Terra. Collisioni e altri eventi possono però turbare le orbite di alcuni di questi asteroidi, portandoli ad avvicinarsi al nostro pianeta. E sono proprio questi a essere tenuti sotto controllo dagli osservatori.

La fascia principale, in inglese “Asteroid Belt” (NASA)

I sistemi di rilevazione e tracciamento degli asteroidi più vicini esistono da tempo e hanno permesso di catalogarne quasi diecimila con diametro di almeno 140 metri, che nel caso di un impatto potrebbero causare grandi devastazioni su scala regionale. Nessun asteroide conosciuto sembra costituire un pericolo diretto per la Terra per il prossimo secolo, ma è comunque importante non farsi trovare impreparati.

Impattatore cinetico
Per questo motivo negli ultimi anni vari gruppi di ricerca hanno lavorato ad alcune soluzioni sperimentali per deflettere gli asteroidi, cioè per far cambiare loro orbita. La tecnica più esplorata e promettente, l’impattatore cinetico, consiste nell’urtare con una sonda l’asteroide quando è ancora molto lontano dalla Terra, in modo che il suo nuovo percorso non incroci più quello del nostro pianeta.

Il problema è che gli esperimenti in laboratorio e le simulazioni al computer, per quanto accurate, non sono sufficienti per prevedere pienamente gli effetti cinetici dell’impatto di un veicolo spaziale. Gli asteroidi non hanno una densità omogenea, hanno forme molto diverse tra loro e altre caratteristiche fisiche difficili da prevedere e includere in una simulazione. Un test dal vero può quindi offrire molti dettagli in più per raccogliere dati e derivare informazioni sul modo migliore per deviare un asteroide che in futuro potrebbe minacciare la Terra.

DART
DART farà proprio questo, con una sonda che attraverserà lo Spazio interplanetario per raggiungere Didymos, un asteroide la cui forma ricorda un poco una trottola, con un diametro massimo di 780 metri e intorno al quale orbita un asteroide più piccolo, chiamato Dimorphos con larghezza massima di 160 metri. L’obiettivo di DART sarà proprio andare a sbattere contro quest’ultimo per provare a modificare il suo tragitto intorno all’asteroide più grande. Nessuno dei due costituisce comunque un pericolo per il nostro pianeta e faranno semplicemente da cavie per sperimentare dal vero l’idea.

(NASA)

La sonda è tale e quale ai satelliti di medie dimensioni che immaginiamo in orbita intorno alla Terra. Ha una massa di oltre 600 chilogrammi e il suo corpo centrale è pressoché cubico con ogni lato di circa 1,3 metri.

Da ogni lato partono due grandi pannelli solari, lunghi ciascuno 8,5 metri, che saranno aperti dopo il lancio per raccogliere dal Sole l’energia necessaria per far funzionare gli strumenti della sonda. A differenza dei classici pannelli solari rigidi, quelli di DART sono flessibili e saranno srotolati come una tenda, un nuovo modo sperimentale per ottimizzare spazi e pesi.

Il costo complessivo è di 330 milioni di dollari, spiega Thomas Statler, tra i responsabili della parte scientifica della missione: «Nei costi sono compresi il lancio, la progettazione, lo sviluppo, la produzione e le attività dall’ideazione del progetto nel 2017 al suo lancio nel 2021, più l’impatto nel 2022 e l’analisi dei dati fino al 2023».

Viaggio e impatto
Il lancio di DART è avvenuto alle 7:21 del mattino (ora italiana) dalla base di lancio Vandenberg in California, grazie a un razzo Falcon 9 della compagnia spaziale privata SpaceX. La sonda ha poi raggiunto l’orbita necessaria per incrociare Didymos nell’ottobre del 2022, quando terminerà il proprio viaggio in modo piuttosto traumatico andando a sbattere contro Dimorphos.

DART si guiderà da sola verso il suo obiettivo, grazie ai sistemi di navigazione autonoma che ha a bordo, che saranno in grado di distinguere automaticamente l’asteroide più grande da quello più piccolo, e di centrare l’obiettivo. L’impatto avverrà infatti quando i due asteroidi si troveranno a circa 11 milioni di chilometri da noi, una distanza che non renderebbe fattibile un controllo in tempo reale della sonda dalla Terra.

«Il sistema di navigazione autonoma di DART dovrà mettere insieme i dati raccolti dai suoi strumenti per capire come attivare i propri piccoli propulsori per andare contro Dimorphos: una cosa non da poco, visto che nessuno sa di preciso come sia fatto l’asteroide» spiega Statler: «C’è una piccola possibilità che circostanze non previste, come una forma o un’ombra completamente inattese, si prendano gioco di DART facendogli mancare l’asteroide».

LICIACube
Nel suo viaggio verso il piccolo sistema di asteroidi, DART non sarà comunque sola: a farle compagnia ci sarà LICIACube, un piccolo satellite (cubesat) grande più o meno quanto una scatola da scarpe che avrà il compito di fare da testimone dello scontro tra la sonda e l’asteroide.

LICIACube è finanziato e gestito dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) ed è stato sviluppato da un consorzio di enti di ricerca e università italiani, sotto la guida di Elisabetta Dotto dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF – Osservatorio astronomico di Roma). Il Politecnico di Milano si è fatto carico dell’analisi di missione, mentre l’Università di Bologna dei calcoli orbitali; della parte scientifica si occupa l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”  con l’IFAC-CNR e l’INAF che coordina il team scientifico.

I gruppi di ricerca si sono occupati sia del calcolo della traiettoria che il cubesat dovrà mantenere autonomamente una volta arrivato a destinazione, sia delle simulazioni di ciò che potrà osservare con i propri strumenti. Il piccolo satellite è stato poi costruito da Argotec, azienda spaziale di Torino specializzata nella produzione di microsatelliti per l’esplorazione dello Spazio profondo.

«Dopo avere viaggiato insieme per quasi un anno, LICIACube si separerà dalla sonda principale dieci giorni prima del suo impatto contro Dimorphos. Il nostro cubesat osserverà a circa mille chilometri di distanza l’impatto, poi continuerà a spostarsi autonomamente verso l’asteroide fino a sorvolarlo a una distanza di appena 50 chilometri» spiega Simone Ieva, ricercatore dell’INAF e tra i responsabili scientifici della parte italiana della missione.

Ieva si occupa dello studio delle caratteristiche fisiche e geologiche degli asteroidi e non nasconde una certa trepidazione all’idea di avere presto nuovi dati da analizzare: «LICIACube ci consentirà di analizzare la struttura e l’evoluzione della nube di detriti che si solleveranno in seguito all’impatto di DART, importante non solo per capire di quanto lo scontro abbia spostato Dimorphos, ma anche per derivare informazioni su come sia fatta la superficie dell’asteroide». Il cubesat permetterà inoltre di raccogliere dati sul cratere formato all’impatto e di osservare anche l’emisfero di Dimorphos non interessato dall’esperimento.

LICIACube effettuerà le sue osservazioni grazie a due fotocamere: LEIA (Liciacube Explorer Imaging for Asteroid), in bianco e nero ad alta risoluzione, e LUKE (Liciacube Unit Key Explorer), multicolore per compiere analisi della superficie dell’asteroide. Se leggendo i due acronimi avete sentito un fremito nella Forza siete sulla giusta traiettoria, ha confermato Ieva. Statler della NASA ci ha confermato di avere gradito: «È bello avere i Jedi dalla nostra parte!».

Modifica
Attualmente Dimorphos compie un giro completo intorno a Didymos ogni 12 ore, mantenendosi a una distanza media di circa 1,2 chilometri. L’impatto di DART dovrebbe far avvicinare l’asteroide più piccolo a quello più grande, riducendo di una decina di minuti il periodo orbitale, cioè il tempo che impiega per compiere ogni giro intorno al suo compagno. L’effetto non potrà essere rilevato direttamente sul posto, ma sarà misurato sulla Terra tramite alcuni potenti telescopi nelle settimane seguenti all’impatto.

I due asteroidi non sono molto grandi e appaiono come un minuscolo puntino luminoso sui sensori dei telescopi, e per questo le eventuali variazioni nel periodo orbitale saranno misurate valutando le sue variazioni di luminosità. Dal nostro punto di osservazione qui sulla Terra, infatti, Dimorphos passa davanti e dietro a Didymos seguendo la propria orbita, producendo di continuo piccole eclissi. Calcolando la loro durata è possibile ricostruire la velocità con cui l’asteroide più piccolo gira intorno a quello più grande, e di conseguenza rilevare eventuali variazioni in seguito all’impatto di DART.

Didymos e Dimorphos continueranno comunque a essere due sorvegliati speciali anche dopo il 2022. L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha infatti in programma Hera, una missione per raggiungere questi asteroidi con una nuova sonda, che rileverà le loro caratteristiche e fornirà nuovi importanti dettagli sull’esito dello scontro con DART. L’iniziativa rientra nell’Asteroid Impact and Deflection Assessment (AIDA), una collaborazione tra agenzie spaziali per lo sviluppo e la sperimentazione di sistemi per deviare gli asteroidi.

Prima o poi un grande asteroide tornerà a farci visita, potrebbe essere tra qualche milione di anni e dopo l’estinzione della nostra specie, ma è sempre meglio non farsi trovare impreparati. DART un giorno potrebbe essere ricordata come il primo passo verso la salvezza della nostra esistenza.