Alla transizione energetica servono i cavi
Lunghissimi e depositati sott'acqua: saranno sempre più impiegati per collegare le reti e garantire l'approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili
di Eugenio Cau
La transizione energetica da combustibili fossili a fonti rinnovabili di energia sta dando un ruolo strategico a molti settori industriali di cui spesso si sottovaluta l’importanza: uno di questi è il settore dei grandi cavi – spesso sottomarini o interrati, lunghi anche centinaia di chilometri – che compongono la parte fondamentale di una rete elettrica, o che connettono tra loro le reti elettriche di due regioni o di due stati. I cavi, che hanno sempre avuto una grande importanza nella gestione delle reti in tutto il mondo, con la transizione energetica sono diventati fondamentali: l’elettrificazione del mondo è impossibile senza.
L’elettrificazione è una delle esigenze più importanti della cosiddetta transizione energetica. Per poter essere alimentata da energia pulita, la stragrande maggioranza dei processi che attualmente si svolgono bruciando gas naturale o derivati del petrolio dovrà diventare elettrica, per la semplice ragione che tutti i sistemi di produzione di energia pulita (dall’eolico al solare) producono elettricità.
Questo comporterà molti cambiamenti, e alcuni saranno visibili nella vita di tutti i giorni, perché i fornelli delle cucine dovranno diventare elettrici, i riscaldamenti delle case a pompa di calore e anche le automobili si dovranno elettrificare. Sono tutti cambiamenti noti e chiari, e i governi, a vari livelli, stanno già lavorando per metterli in atto, per esempio offrendo dei bonus per sostituire le automobili tradizionali con automobili elettriche.
Un’altra serie di cambiamenti riguarda le infrastrutture.
Semplificando molto, per elettrificare buona parte del sistema energetico è necessario anzitutto trovare il modo di generare abbastanza energia con le fonti rinnovabili da soddisfare il fabbisogno; poi è necessario trasferire l’energia dai luoghi di produzione ai luoghi di consumo; infine bisogna fare in modo che la rete tenga, cioè che un’infrastruttura pensata per un certo numero di applicazioni continui a erogare correttamente energia alle case, alle industrie e agli uffici anche quando queste aumenteranno molto.
Insomma, serve che non salti tutto quando le strade saranno piene di colonnine ricaricabili, e tutti metteranno in carica l’automobile elettrica in serata al ritorno dal lavoro, sovraccaricando la rete.
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I cavi servono soprattutto al secondo e al terzo scopo, cioè al trasporto dell’energia (ovviamente) e in parte al mantenimento di una rete elettrica efficiente e bilanciata. Il settore dei grandi cavi è notevole, per varie ragioni.
Anzitutto le aziende che se ne occupano sono relativamente poche, e la più grossa di tutte è italiana, si chiama Prysmian ed è leader del mercato (le altre sono la francese Nexans e la danese NKT: tra tutte e tre si spartiscono l’80 per cento del mercato mondiale, esclusa la Cina).
Queste aziende, che fino a qualche anno fa avevano un ruolo importantissimo ma operavano in maniera molto poco visibile, da un po’ di tempo hanno assunto un ruolo ancora più centrale e pubblico, perché ovviamente sono coinvolte in tutti i grandi progetti di generazione di energie rinnovabili che sono diventati sempre più frequenti nel mondo. Sono anche diventate sempre più ricche, a dimostrazione della loro importanza: nell’ultimo anno e mezzo Prysmian, Nexans e NKT hanno raddoppiato il valore delle loro azioni, man mano che diventava evidente che i cavi sarebbero stati essenziali per la transizione energetica.
«L’elettricità sarà il principale vettore d’energia del futuro, ma una volta che hai generato l’energia sei soltanto a metà dell’opera, perché l’energia deve essere trasportata», dice Hakan Ozmen, vicepresidente esecutivo di Prysmian. «Senza cavi, non esiste la transizione energetica».
L’importanza dei grandi cavi è resa evidente dal proliferare di enormi progetti per la generazione di energia rinnovabile, come per esempio i parchi eolici offshore, schiere di turbine posizionati in mare, anche a decine di chilometri dalle coste, con l’obiettivo di generare energia sfruttando il vento in mare aperto. I progetti di parchi eolici offshore attualmente in costruzione sono numerosi e per molti paesi sono uno degli strumenti principali delle strategie di decarbonizzazione.
Per esempio, l’anno scorso il governo della Danimarca ha approvato un progetto per la realizzazione di due isole artificiali per la produzione di rinnovabili offshore, che dovranno alimentare milioni di case e saranno il più grande progetto infrastrutturale della storia del paese.
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Anche in Italia esistono simili progetti offshore, sia per l’eolico sia per il fotovoltaico, e sono in fase di realizzazione per esempio al largo di Ravenna.
Più in generale, la costruzione di impianti di generazione di energia da fonti rinnovabili in mare è un settore in grande sviluppo. Anche l’amministrazione statunitense di Joe Biden ha avviato una serie di progetti molto ambiziosi per la costruzione di parchi eolici. E ovviamente, per collegare alla terraferma isole artificiali e parchi eolici che si trovano a decine di chilometri dalla costa servono dei cavi.
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I cavi vengono stesi sottacqua, adagiati in fondali che in alcuni casi sono molto profondi («Prysmian mette cavi in fondali profondi fino a 3.000 metri», dice Ozmen), e si tratta ovviamente di operazioni delicate e complesse, in cui intervengono navi speciali e in alcuni casi anche robot che facilitano il deposito dei cavi.
I cavi hanno bisogno di protezioni particolari per poter resistere alla corrosione e alla pressione nei fondali più profondi, e per essere protetti da àncore e reti da pesca in quelli più bassi. Generalmente, per distanze superiori ai 100 chilometri, è necessario collegare assieme più porzioni di cavo, con ulteriori difficoltà logistiche.
La ragione per cui i cavi sono funzionali ai grandi progetti energetici offshore è piuttosto evidente. Più complicata (ma più interessante) è l’altra ragione per cui le aziende che producono cavi sono in grande crescita, e si stanno impegnando in progetti sempre più ambiziosi, che in futuro prevedono la realizzazione di cavi sottomarini lunghi non centinaia, ma migliaia di chilometri: moltissimi paesi stanno lavorando per collegare tra loro le rispettive reti elettriche, anche quando non condividono confini e c’è un mare (o un oceano, perfino) a separarli.
La ragione è che avere una rete elettrica globale il più possibile interconnessa è un prerequisito importante della transizione energetica.
Come ha scritto di recente l’Economist, «reti elettriche stabili e verdi saranno realizzabili solo se saranno collegate assieme». Questo perché la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili è più imprevedibile di quella fatta con combustibili fossili, perché dipende dal vento e dalla presenza di luce solare, tra le altre cose. Possono esserci momenti in cui l’energia prodotta è più del necessario, e momenti in cui non è sufficiente. Inoltre, non è detto che i luoghi in cui l’energia viene generata siano gli stessi in cui sarà poi consumata.
Con i combustibili fossili questi problemi sono relativamente facili da risolvere, perché sia il gas sia il petrolio possono essere stoccati, conservati e trasportati, e poi usati in futuro: il momento dell’estrazione di una fonte energetica e quello del consumo di energia possono essere separati nel tempo. Ma l’energia elettrica è più difficile da stoccare, e di solito quella prodotta deve essere consumata immediatamente.
Da tempo si lavora alla realizzazione di sistemi di accumulo (grandi batterie) o all’utilizzo dell’idrogeno come vettore, per cercare di conservare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Tuttavia l’idea che sta ottenendo maggior successo è quella di separare il momento della produzione e il momento del consumo non nel tempo, ma nello spazio.
L’idea, in pratica, è quella di interconnettere il più possibile le reti elettriche globali, per fare in modo che i luoghi in cui il bisogno di energia da fonti rinnovabili è più sostenuto siano collegati ai luoghi di produzione anche se distanti centinaia o migliaia di chilometri. Per fare questi collegamenti, ancora una volta, servono i cavi.
Molti di questi grandi collegamenti elettrici sono già attivi, o in fase di costruzione. Alcuni dei cavi elettrici sottomarini più lunghi del mondo sono per esempio nel mare del Nord. Un progetto collega il Regno Unito e la Danimarca: si chiama Viking Link, dovrebbe essere pronto l’anno prossimo ed è realizzato assieme da Prysmian e da NKT, che dovranno stendere 765 chilometri di cavi sul fondale.
In generale, più o meno tutti i paesi che si affacciano sul mare del Nord, dai Paesi Bassi alla Norvegia alla Germania, sono connessi con grandi cavi elettrici sottomarini, o lo saranno in futuro grazie a progetti in fase di realizzazione o di approvazione.
La necessità di rendere più interconnessa la rete elettrica è molto forte anche in Italia, come spiega Luca Marchisio, responsabile Strategia di Sistema di Terna, l’azienda che gestisce la rete elettrica in Italia: «L’Italia ha una configurazione geografica molto particolare, è una striscia allungata in cui il fabbisogno di energia è soprattutto al Nord, dove si concentra la maggior parte della produzione industriale, mentre le risorse rinnovabili sono prevalentemente al Sud, per ovvie ragioni climatiche». Questo problema non si pone con i combustibili fossili, perché le centrali termoelettriche sono collocate soprattutto al nord. Ma quando il grosso della produzione energetica rinnovabile sarà nel sud Italia, sarà necessario che la rete sia ancor più interconnessa per consentire consentire il trasporto dell’energia dai luoghi di generazione a quelli di consumo.
In Italia, Terna sta lavorando a due grossi progetti di cavi sottomarini: uno è il Thyrrenian Link, cavo di 950 chilometri che collegherà assieme Campania, Sicilia e Sardegna. L’altro è l’Adriatic Link, che collegherà via mare Marche e Abruzzo. Si tratta in entrambi i casi di investimenti da svariati miliardi. Non si sa ancora con quali aziende collaborerà Terna per la realizzazione dei cavi, perché le gare di attribuzione sono attualmente in corso.
Nel mondo ci sono anche progetti eccezionali e mastodontici. Alcuni sono in fase di pianificazione, come per esempio la realizzazione di un cavo nel Mediterraneo che colleghi Israele alla Grecia, e un altro Israele alla Francia. Altri sono per ora soltanto idee, ma molto ambiziose: un consorzio vuole realizzare un cavo che colleghi gli impianti solari del Marocco con il Regno Unito. Un altro ancora progetta di collegare Australia, Indonesia e Singapore con un insieme di cavi lunghi in tutto 4.200 chilometri.
L’interconnessione delle reti elettriche (che ovviamente non viene fatta soltanto con i cavi sottomarini) ha diversi vantaggi in un contesto di decarbonizzazione.
Anzitutto, perché rende l’approvvigionamento di energia più stabile e sicuro. Chi progetta reti elettriche sa che ci sono momenti della giornata in cui la domanda aumenta, per esempio perché nelle mattine d’estate tutti gli uffici accendono i condizionatori. Se l’energia è prodotta da centrali termoelettriche, è facile rispondere a questo aumento della domanda: basta bruciare più combustibile e produrre più energia. Ma con le rinnovabili questo tipo di programmazione non è possibile: il vento potrebbe non esserci e il sole potrebbe coprirsi proprio quando ce n’è più bisogno.
Ovviamente, quando le rinnovabili non sono disponibili saranno adottati sistemi per tamponare questi problemi, per esempio attraverso l’uso di accumulatori e soprattutto facendo ricorso a combustibili meno inquinanti, come per esempio il biometano. Ma con una rete ben interconnessa, sarà possibile prendere l’energia rinnovabile da luoghi in cui in quel momento è prodotta in sovrabbondanza, e mantenere il sistema bilanciato.
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