Da dove ci arriva l’energia
Quella che rende possibile ogni nostra attività deriva dal lavoro dei mitocondri, e l’instancabilità è una questione di genetica ma anche di attitudine, scrive il New Yorker
La ricerca incessante di pratiche, abitudini e stili di alimentazione utili a migliorare le prestazioni delle persone in termini sia fisici che cognitivi, a renderle più attive e resistenti alla fatica, è da sempre uno dei temi più affrontati da decine di pubblicazioni sulla salute e sul benessere, e occupa ormai da lungo tempo anche un’estesa parte dei discorsi quotidiani.
Vedere alcune persone apparentemente più instancabili di noi, quotidianamente prese da molteplici attività professionali, sportive, domestiche e di svago, suscita in alcuni casi stupore e ammirazione, a volte un senso di invidia per la loro resistenza e capacità di prolungare tempi di concentrazione, prontezza e vigilanza in modi che a molti altri risultano non replicabili. E si tende a fare di quelle capacità una misura del successo in senso ampio, presupponendo che a riserve apparentemente illimitate di forze fisiche e mentali siano associati grandi carriere, reputazioni e responsabilità.
Le ragioni della stanchezza, occasionale o cronica, che impedisce a un certo numero di persone di mantenersi attive in modo continuo durante tutta la giornata sono state ciclicamente attribuite negli ultimi anni alla mancanza di sonno, agli effetti secondari della caffeina e a quelli della luce blu dei dispositivi elettronici, e per ultimo a una sensazione di illanguidimento provocata dalla pandemia. In termini molto generali: a una mancanza di energia.
L’energia è qualcosa di biochimico e psicofisico allo stesso tempo, un concetto trattato con estrema familiarità ma per molti versi sfuggente e spesso frainteso. «Sai cos’è quando ce l’hai, e lo sai ancora di più quando non ce l’hai», ha sintetizzato il giornalista americano Nick Paumgarten in un articolo sul New Yorker in cui prova a definire i termini del discorso e l’origine del vigore e della vitalità che anima certe persone più di altre.
Ciò che chiamiamo di solito energia è, più correttamente, la nostra percezione del corpo che metabolizza carboidrati e grassi come energia. È l’esperienza della conversione di quell’energia in lavoro. Come funzioni nel dettaglio il metabolismo, nei suoi aspetti evolutivi più specifici e contingenti, è però una questione per molti versi ancora misteriosa.
Una delle teorie evolutive sul metabolismo ne fa risalire l’origine a un miliardo e mezzo di anni fa, quando le uniche forme di vita sulla Terra erano organismi unicellulari. È allora che un batterio anaerobico, che non richiede cioè la presenza di ossigeno per il proprio metabolismo, deve averne inglobato uno aerobico. Nel tempo, scrive il New Yorker, la capacità di quel batterio aerobico di nutrirsi di ossigeno è aumentata di un certo ordine di grandezza, incrementando l’energia disponibile per il suo organismo ospite. Questa collaborazione accidentale sarebbe alla base della proliferazione delle forme di vita pluricellulari, inclusi quegli «ominidi dotati di strumenti che sarebbero finiti per lamentarsi di sentirsi stanchi tutto il tempo».
Quel batterio aerobico si è quindi evoluto in ciò che chiamiamo mitocondri, strutture intracellulari presenti in ogni cellula animale o vegetale e che si occupano della produzione di energia necessaria a tutte le attività vitali della cellula. È all’interno di queste “centrali energetiche” della cellula – per dirla come in Esplorando il corpo umano – che avviene il metabolismo di glucidi, proteine e grassi, e la produzione della maggior parte dell’energia sotto forma di adenosina trifosfato, o ATP, una molecola che svolge il ruolo di “carburante” cellulare primario.
In un certo senso, scrive il New Yorker, è possibile dire che tutto il corpo umano, dagli arti al cervello e a tutti gli altri organi, sia un complesso apparato che si è evoluto per il nutrimento dei mitocondri. Il sistema cardiocircolatorio è in estrema sintesi un modo per trasportare l’ossigeno di cui i mitocondri hanno bisogno e portare via le scorie nocive. E in questa prospettiva “mitocondrio-centrica” e circolare, gli esseri umani sarebbero sostanzialmente un involucro, la «crisalide carnosa» di un’altra creatura, i mitocondri, e l’energia il prodotto di un metabolismo il cui obiettivo è recuperare composti per la produzione di altra energia.
L’energia che scorre attraverso il corpo – ha detto al New Yorker Martin Picard, docente canadese di medicina comportamentale al Columbia University Irving Medical Center (CUIMC), a Manhattan – è in pratica ciò che distingue un cadavere da un individuo vivente: «Le cellule sono le stesse, ma senza il flusso di energia è soltanto una macchina inerte».
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Picard dirige un laboratorio in cui lavora una dozzina di ricercatrici e ricercatori, e si occupa di una materia a metà tra la psichiatria e la neurologia: la sua specializzazione è la psico-biologia mitocondriale, ossia il tentativo di comprendere la connessione tra la mente e i mitocondri. Tra gli argomenti oggetto di studi all’interno del suo laboratorio c’è anche una ricerca che mira a determinare se donne e uomini abbiano mitocondri diversi.
Nei mitocondri sono presenti particolari frammenti di DNA che permettono di studiare le ascendenze di ciascuna specie vivente seguendo una traccia matrilineare. Grazie agli studi del genetista e biologo evoluzionista Douglas Wallace, con cui Picard ha lavorato per il suo dottorato, si ritiene infatti che la quasi totalità del DNA mitocondriale sia tramandato alla prole dalla madre, di generazione in generazione: i mitocondri degli spermatozoi scompaiono dopo la fecondazione della cellula uovo per non mettere a rischio la sopravvivenza dell’embrione. Questa particolarità ha permesso in alcuni studi di genealogia di ipotizzare che tutti gli esseri umani abbiano una linea di discendenza femminile che deriva da una donna nata in Africa circa 200 mila anni fa (la teoria dell’Eva mitocondriale).
I mitocondri sono gli organuli responsabili della trasformazione dell’energia chimica in energia elettrica, sintetizza Picard, che li paragona a una colonia di formiche in cui ogni formica ha lo stesso genoma ma ciascuna assolve un compito diverso. «La mia ipotesi di ricerca è che i mitocondri facciano gran parte del lavoro di sensazione, percezione e integrazione dei segnali. Che siano l’antenna cellulare, o i piccoli cervelli che ricevono, processano e integrano le informazioni».
In linea con una prospettiva di studi interdisciplinari comune nella medicina comportamentale, Picard sostiene che le cellule invecchino più velocemente se esposte a stress: «Bruciano energia più velocemente. È come se l’ansia cellulare inducesse le cellule a respirare più velocemente. Consumano più ossigeno. Sprecano energia, e non sappiamo perché».
Nelle persone con patologie mitocondriali, malattie croniche estremamente variabili che possono riguardare qualsiasi parte del corpo e insorgere a qualsiasi età, i mitocondri non funzionano come dovrebbero e faticano a convertire l’energia in ATP, ossia il carburante delle cellule. In alcuni casi l’affaticamento e la mancanza di energia sono descritti come sintomi caratteristici, sebbene la diagnosi di questo tipo di malattie mitocondriali sia resa molto difficile dal fatto che alcune manifestazioni cliniche – l’accumulo di acido lattico nel sangue, per esempio – siano associate anche a numerose altre condizioni fisiche.
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Casi del genere dimostrerebbero tuttavia, sostiene Picard, che le persone siano in grado di percepire quando il loro stato di «energia intracellulare» è basso. E pone anche l’esempio dell’Amobarbital, un farmaco con proprietà ipnotico-sedative utilizzato negli anni Trenta negli Stati Uniti come siero della verità: presumibilmente, inibendo la respirazione mitocondriale, il farmaco rendeva i soggetti troppo stanchi per mentire. «Se scherzi con i mitocondri, le persone si sentono di merda», ha detto Picard, che in passato ha utilizzato l’Amobarbital in laboratorio per alcuni dei suoi studi.
La ricerca sulle particolari e specifiche condizioni personali e forze che guidano il flusso di energia nel corpo umano meriterebbe maggiori attenzioni e investimenti, secondo Picard. «Gli ultimi dieci anni della medicina personalizzata [un modello che propone strategie diagnostiche, preventive e terapeutiche commisurate al singolo o alla singola paziente] sono stati occupati dalla genomica. La premessa è che se riesci a sequenziare il genoma saprai se ti ammalerai o resterai in salute. È lì che finiscono tutti i soldi. È un’ipotesi redditizia, ma è destinata a fornire risposte incomplete. Il genoma è statico. La salute è una cosa molto dinamica».
A margine degli aspetti patologici e delle considerazioni più tecniche della questione, secondo il New Yorker, esiste un significato rilevante del termine “energia” che ha molto più a che fare con i rapporti interpersonali e con qualità e attributi che percepiamo o proiettiamo sugli altri esseri umani, più che con particolari caratteristiche fisiologiche di quelle persone. E in quel caso, a determinare la vitalità di quegli individui, contribuiscono molto anche il carisma, la personalità, la sicurezza di sé e il temperamento.
In alcune circostanze, banalmente, l’energia può essere anche una questione di cura di sé, postura e altri aspetti che sono a loro volta considerati indici di buona salute. O può comprendere qualità umane come l’ottimismo, l’umorismo, la gentilezza e la capacità di far sentire bene gli altri con sé stessi. Il che non significa che l’energia sia legata soltanto a predisposizioni e attitudini naturali o a comportamenti e abitudini modificabili a seconda delle necessità o a fronte di determinati sforzi.
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«Ci piace pensare di avere un controllo cosciente sul nostro comportamento, ma più cose impariamo più scopriamo che non è del tutto vero, e che abbiamo meno controllo di quanto vorremmo», ha detto al New Yorker il ricercatore e bioinformatico statunitense Kevin Hall, specializzato in studi sulla nutrizione e sul metabolismo. Le sue ricerche tentano di comprendere e approfondire i modi in cui le diverse fonti di energia nella nostra alimentazione influenzano il metabolismo: cosa succede, per esempio, quando limitiamo i carboidrati o i grassi.
«Il corpo compie enormi cambiamenti, per soddisfare il bisogno di calorie in modi diversi. Stai seguendo una dieta a basso contenuto di carboidrati? Il grasso nel sangue – i trigliceridi – stimola l’assorbimento e inibisce il rilascio di grassi. Una a basso contenuto di grassi e ad alto contenuto di amidi? Interviene l’insulina. Il corpo umano è come una macchina che consuma diversi combustibili. È un’incredibile sfida ingegneristica», ha detto Hall.
Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Current Biology ha concluso che il corpo sembra adattarsi a una maggiore velocità di combustione diventando più efficiente, soprattutto con l’esercizio, attraverso un processo noto come “compensazione energetica” e ancora non del tutto compreso. Se il corpo brucia energia in modo meno efficiente, come il motore di una macchina su di giri, aumenta il rischio di malattie.