I droni nei porti
In futuro potrebbero aiutare con molte attività di controllo e gestione delle operazioni, suggerisce una sperimentazione a Rotterdam
di Paolo Bosso
I porti commerciali movimentano merci e persone. Container, grano, minerali, petrolio, gas, passeggeri e project cargo, cioè cose molto pesanti e fuori misura come turbine di aereo o pezzi di catamarani. Ciascuna di queste categorie viene spostata in zone identificate e delimitate dai terminal, posti che contengono poli container, rigassificatori (impianti che riportano allo stato gassoso alcuni liquidi), silos dei granai, gasdotti, stazioni marittime, stazioni ferroviarie, parcheggi, piazzali, strade e magazzini.
In Europa, il porto che sbarca e imbarca più di tutti è quello di Rotterdam, il primo in Europa per estensione, il terzo nel mondo dopo Shanghai e Singapore. È lungo quaranta chilometri, esteso per 3.600 ettari, grossomodo quanto cinquemila campi di calcio. Per confronto, uno dei più estesi in Italia è Genova, la cui linea di costa supera di poco i venti chilometri e di campi da calcio ne potrebbe ospitare mille (700 ettari). Rotterdam però è un porto fluviale sviluppato sui canali, cosa che gli permette una grande estensione nell’entroterra, mentre Genova è un porto costiero schiacciato dall’urbanizzazione, come praticamente tutti i porti italiani.
L’economia di scala in tutta la sua potenza si dispiega nei porti. Rimorchiatori da tremila cavalli e decine di tonnellate di tiro trainano per far entrare o uscire dai porti navi da decine di migliaia di tonnellate di stazza con centinaia di migliaia di tonnellate di carico a bordo. Luoghi del genere sono aree industriali, città doganali, zone sensibili, sorvegliate, non tanto per prevenire i furti ma gli incidenti, le mareggiate, i venti forti e gli errori umani.
La torre dei piloti avvista e aiuta le navi ad ormeggiare; i varchi dei terminal verificano che i mezzi pesanti in arrivo abbiano la giusta rotta; le Capitanerie, l’autorità portuale e gli elicotteri della polizia pattugliano le banchine e i piazzali. Gli agenti marittimi rappresentano l’armatore nei porti di approdo, e gli spedizionieri la merce dei clienti. E poi ci sono i droni, che da un po’ di tempo sono sperimentati per capire cosa migliorare di tutte queste cose.
Non sono quelli che si comprano online e si mettono nello zaino, ma apparati da una decina di chili larghi oltre due metri che vanno veloci come un cinquantino. Quadricotteri che l’autorità portuale di Rotterdam, insieme alle aziende locali, sta testando con efficacia da circa un anno, all’interno di un progetto che si chiama Drone Port of Rotterdam, a cui possono partecipare anche società esterne al porto.
All’inizio della settimana scorsa una sezione della banchina del canale Yangtze del porto olandese è stata trasformata in un porto per droni per dimostrare le capacità di una tipologia a lungo raggio, l’Avy Aera della società locale Avy. Sono stati effettuati diversi voli sopra i distretti di Amaliahaven, Arianehaven e Alexiahaven, ispezionando le attività marittime di banchina e quelle fluviali. Monitorano il bunkeraggio (il delicato rifornimento di tonnellate di combustibile), l’inquinamento delle acque, le zone pericolose e le operazioni di trasbordo, cioè il passaggio del carico da una nave molto grande a una più piccola che servirà poi porti più piccoli dove la nave più grande non può entrare.
Avy Aera è un modello ad ali e quadricottero: le pale gli permettono di decollare ed atterrare verticalmente, le ali di avere maggiore aerodinamica, più portanza, più stabilità e di andare più veloce. Pesa dodici chili e può portare fino a un chilo e mezzo di peso. È lungo poco più di un metro, ha un’apertura alare di due metri e mezzo, un’autonomia di 55 minuti, 60 chilometri di raggio di portata e può raggiungere una velocità di oltre 70 chilometri orari. Nel test di Rotterdam è stato comandato da una docking station gestita da Avy, mentre al centro di coordinamento nel grattacielo del World Port Center è stato trasmesso uno streaming per funzionari del porto, autorità, ingegneri e imprenditori. Il prossimo test è stato programmato per l’inizio del prossimo anno, in un pacchetto di voli settimanale per almeno cinque mesi. Verrà utilizzato un nuovo modello, Avy Aera V3, più veloce e in grado di volare in condizioni meteo più critiche.
Un drone in un porto ha la stessa funzione di un elicottero: osserva, col vantaggio di costare molto meno (per realizzarlo e farlo volare) e di potersi avvicinare molto di più, e con lo svantaggio di non poter trasportare persone e carichi più pesanti di qualche chilo, almeno per il momento. Sono piccoli aeromobili con una miriade di modelli e classi, con un peso che non scende sotto il mezzo chilo e la remota possibilità di cadere in testa alle persone. Sono sempre più usati nel port state control, l’attività di ispezione navale nei porti di approdo disciplinata dalle convenzioni internazionali, per verificare che i mercantili siano in regola con i certificati e strutturalmente ben messi. Un utilizzo che da con la pandemia ha subito un’accelerata, da quando i lockdown hanno impedito agli ispettori di muoversi. Tant’è che l’International Maritime Organization, il legislatore dell’ONU del mare, sta lavorando a linee guida per uniformarne l’uso.
Essendo molto più leggeri e senza pilota, i vantaggi di impiegare droni nei porti al posto degli elicotteri sono evidenti. Ci sono meno costi per chi li produce, meno rumore, meno ingombri, nessun pericolo per chi li guida, maggiore agilità e reattività. Decollano in un decimo del tempo rispetto a un elicottero, possono passare sotto le gru, sorvolare un terminal a qualche metro da terra, abbassarsi sul filo delle banchine. È una tecnologia pronta, ma con una legislazione ancora acerba. Guidarli oltre una certa distanza richiede una licenza che consenta di utilizzarli beyond visual line of sight, o BVLOS, cioè oltre alla visuale di chi li pilota e oltre i cinquecento metri di portata.
I video assai popolari su internet fino a qualche anno fa tendevano ad essere voli VLOS, cioè visual line of sight, con il drone che viene guidato a vista. Il VLOS è una zona grigia, tra la ricreazione e l’aviazione, che sopra un certo peso dal primo gennaio di quest’anno in Europa e in Italia non è più possibile praticare senza una patente, sulla base delle indicazioni dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) e dell’omologo europeo, l’EASA, che si rifanno al regolamento Ue 2019/947, che sostanzialmente annulla la distinzione tra uso ricreativo e professionale. Attualmente siamo in una fase normativa transitoria in cui, anche per via della pandemia, l’introduzione di alcuni obblighi è stata rimandata. Le zone in cui poter volare sono ancora limitate e la maggior parte delle app per il volo dei droni non contempla ancora la topografia delle autorità di controllo. Questioni che dovrebbero in parte risolversi nel 2023, anno in cui è previsto un primo consolidamento dell’apparato normativo.
Nei prossimi anni, quindi, potremmo cominciare a vedere droni consegnare materiale ai cantieri edili, a quelli che costruiscono strade, ponti, binari, ai cantieri navali, alle piattaforme di perforazione, tutte cose che danno forma a un porto commerciale. In un futuro più remoto, il drone potrebbe trasportare gli impiegati che lavorano in porto. Progetti su cui l’autorità portuale di Rotterdam, una società per azioni con un consiglio di amministrazione, sta facendo una sperimentazione europea.
Per impiegare un drone nel porto di Rotterdam bisogna ottenere un’autorizzazione dell’ispettorato dell’ambiente umano e dei trasporti (Inspectie Leefomgeving en Transport). Se decolla e atterra da un’area pubblica ci dovrà essere anche l’autorizzazione dell’autorità portuale fornendo posizione GPS di decollo e atterraggio, durata del volo, estremi e licenza del pilota. Nei prossimi due anni i Paesi Bassi prevedono di distribuire i primi permessi BVLOS. L’anno prossimo tra l’Europoort, sulla foce del Nieuwe Waterweg, e Maasvlakte, l’enorme area industriale e terminal container in espansione sul Mare del Nord, l’autorità portuale installerà due stazioni di volo.
In futuro, quando le normative saranno più sistematizzate e internazionali e la tecnologia maggiormente sviluppata, il trasporto di oggetti non troppo pesanti, finanche il trasporto di persone, sarà possibile anche con i droni. Attualmente, si stanno rivelando efficaci nell’assistere i soccorsi, per esempio nei luoghi colpiti da terremoti o incendi; nel monitoraggio dell’inquinamento idrico e della qualità dell’aria. Nei porti si stanno rivelando utili nel monitorare le zone pericolose, per esempio individuando valvole di serbatoi criogenici aperte o difettose. Quando potranno maneggiare agilmente decine di chili di peso, potranno assistere gli ormeggiatori ad attraccare le navi recuperando, lanciando e tendendo i pesanti cavi da allacciare alle bitte, le colonne di acciaio a forma di fungo a bordo banchina.