Il padel resterà?
Nato nel cortile di una casa in Messico, ha avuto una rapidissima diffusione in Italia in coincidenza con la pandemia e non sembra una cosa passeggera
In questi giorni a Doha, in Qatar, si stanno svolgendo i Campionati mondiali di padel, una disciplina sportiva che da un paio d’anni ha avuto una rapida e capillare diffusione anche in Italia, in parte in coincidenza con la pandemia. Deriva dal tennis, ma è considerato più semplice, meno faticoso e si gioca in doppio. Il campo, di dimensioni ridotte rispetto al tennis, ha una rete che lo separa a metà ed è circondato da pareti che fanno parte dell’area di gioco. La palla può rimbalzare sui muri, ma mai direttamente, e non può fare più di un rimbalzo a terra.
Ai Mondiali in corso in Qatar l’Italia maschile è stata eliminata ai quarti di finale. Il torneo — a cadenza biennale, arrivato alla 14ª edizione — verrà vinto molto probabilmente da una nazionale di lingua spagnola come succede ininterrottamente dal 1992, anno della prima edizione: da allora Spagna e Argentina si sono sempre spartite i primi posti, minacciate soltanto da Brasile, Portogallo, Uruguay e Messico.
Il padel nacque proprio in uno di quei paesi. La sua storia, che sa un po’ di leggenda ma è confermata anche dalle federazioni, iniziò nel cortile di una casa di Acapulco, in Messico, dove abitava Enrique Corcuera, un noto imprenditore locale. Negli anni Settanta Corcuera aveva un piccolo campo da gioco che finiva contro un muro, sul quale lui e i suoi ospiti si divertivano a lanciare e riprendere palline da tennis. Col tempo, un po’ perché le palline andavano sempre a finire nel cortile del vicino, un po’ per creare qualcosa di più definitivo, su quello spazio di venti metri per dieci Corcuera si inventò un gioco tutto suo.
Partendo da quello che già facevano, e cioè tirare una pallina contro un muro, prese ispirazione dal paddle tennis americano — un gioco simile al tennis, ma giocato con racchettoni rigidi in campi più piccoli — e costruì due nuovi muri di quattro metri dietro i lati corti del suo piccolo campo da tennis. Da quel campo, di fatto, partì la storia del padel che oggi in Italia sta entrando nella quotidianità di moltissime persone.
La spinta alla sua diffusione globale, almeno nei paesi latini, si deve al principe spagnolo Alfonso de Hohenlohe, uno degli amici che avevano giocato sul campetto ideato da Corcuera. De Hohenlohe portò il padel in Spagna e poi lo fece diventare una delle attrazioni nel comprensorio turistico di Marbella, che lui stesso contribuì negli anni a far diventare l’attuale frequentatissima meta turistica.
Ci vollero circa vent’anni per l’arrivo del padel in Italia, tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta. Nel 1991 un gruppo di amatori che avevano conosciuto la disciplina nei paesi latini in cui era già affermata creò una federazione italiana, ora parte della Federtennis. Nell’estate del 1991 si tennero i primi tornei italiani, e nell’estate del 1994 a Lido di Savio, nella riviera romagnola, fu costruito il primo campo con pareti in cristallo.
Il padel in Italia esiste quindi da decenni, ma soltanto di recente è uscito dalla sua nicchia di disciplina ricercata e perlopiù vacanziera. Negli ultimi tre anni gli agonisti sono passati da circa 7mila ai 60mila attuali. Dal 2018 il presidente della federazione internazionale è un italiano, Luigi Carraro (figlio di Franco, ex ministro e sindaco di Roma, a lungo presidente di CONI e FIGC). A settembre Carraro aveva detto: «Quando sono stato eletto presidente della FIP in Italia si sfioravano i 750 campi, oggi ne abbiamo oltre 3.600».
La fase in cui si trova il padel in Italia è tale per cui non si dispongono ancora di dati o stime su quanti giocatori amatoriali ci siano. Si conosce però all’incirca il numero di campi, che dagli ultimi dati citati da Carraro sono già saliti a 4.295, con la maggioranza (circa il 28 per cento) concentrata nel Lazio — in particolare a Roma e dintorni — e poi in Lombardia, che pochi giorni fa ha ospitato un torneo internazionale nella piazza coperta ai piedi del palazzo della regione a Milano.
Per molti il padel sta diventando un’alternativa al calcetto o al tennis come attività fisica settimanale. Rispetto al calcetto, che solitamente si gioca in squadre da cinque, richiede meno giocatori ed è quindi più facile da organizzare. Anche i rischi di infortuni sono minori, perché i movimenti sono più regolari e non ci sono contrasti. Rispetto al tennis in singolo è meno tecnico e dispendioso fisicamente. Proprio nel tennis ora si teme un calo di praticanti per il “travaso” verso il padel, anche se è ancora presto per dare una forma a queste tendenze, peraltro ancora influenzate dagli effetti della pandemia.
Si ritiene però che proprio la pandemia abbia “aiutato” la recente popolarità del gioco in Italia. Per giocarci infatti bastano quattro persone, che peraltro restano lontane tra di loro durante le partite. Queste caratteristiche hanno permesso al padel di riprendere prima di altri sport nel periodo delle riaperture, e in questo modo è stato scoperto da tanti nuovi giocatori. Negli stessi periodi il calcetto, da anni considerato il gioco amatoriale di squadra più diffuso in Italia, aveva faticato a ricominciare per la sua natura di sport di squadra.
La domanda di molti è se alla fine il padel resterà, o se passerà di moda come era successo per lo squash, disciplina che ebbe momenti di notevole popolarità tra gli anni Ottanta e Novanta, ma che oggi è poco praticato. Gianni Milan, vicepresidente della Federtennis, è abbastanza sicuro: «Non sarà una meteora, non accadrà come per lo squash. Per come la vedo io, il padel è un po’ come il tennis degli anni Settanta, quando c’era il boom e vedevamo campi anche nelle parrocchie».
Finora il padel non ha avuto bisogno di grandi campagne di marketing per diffondersi, e questa è ritenuta la prova più affidabile della solidità del movimento, fatto per l’appunto da agonisti e amatori che hanno conosciuto la disciplina in modo personale.
Tra questi ci sono molti calciatori ed ex calciatori, che in questo momento sono ritenuti i maggiori “testimonial” della disciplina. Alcuni di loro furono tra i primi italiani a giocarci continuativamente all’estero, come ad esempio Demetrio Albertini e Gianluca Zambrotta, che lo conobbero mentre giocavano a Madrid e Barcellona nei primi anni Duemila. Non a caso Zambrotta ha aperto i primi campi in provincia di Como, mentre Albertini è uno dei tre soci dietro il centro padel di Milano.
Albertini ha spiegato così il coinvolgimento di così tanti calciatori alla nuova disciplina: «Ritrovo nel padel molte dinamiche del calcio, anche l’occupazione del campo. Il senso dello spazio insieme al compagno. Non giochi mai da solo, ma ti muovi insieme a lui. E questo nel pallone è fondamentale. È lo sport perfetto per chi ha fatto il professionista».