Il Friuli Venezia Giulia è la regione messa peggio con il coronavirus
A causa dell'alto numero di nuovi casi e di ricoveri in terapia intensiva: potrebbe però rimanere in zona bianca di pochissimo
Negli ultimi giorni in Friuli Venezia Giulia la situazione epidemiologica è peggiorata in modo significativo e la regione è al limite per il passaggio in zona gialla. L’incidenza settimanale dei casi ha superato la soglia di allerta fissata dal ministero della Salute (è ora a 289 casi ogni 100mila abitanti, mentre la soglia è 50 ogni 100mila abitanti) e sono aumentati i pazienti ricoverati nelle terapie intensive (il tasso di occupazione è del 13,1 per cento, superiore alla soglia del 10). L’incidenza è molto alta soprattutto nella provincia di Trieste, dove nell’ultima settimana sono stati trovati oltre 700 casi ogni 100mila persone.
Nonostante sia la regione in Italia messa peggio, almeno stando ai numeri, è probabile comunque che questa settimana il Friuli Venezia Giulia non passi in zona gialla. Uno degli indicatori è rimasto infatti di pochissimo al di sotto della soglia di allerta. La percentuale dei posti letto in area non critica occupata dai pazienti COVID-19 è al 14,8 per cento (si parla di pazienti non in terapia intensiva): con due ricoverati in più sarebbe arrivata al 15 per cento, e ci sarebbe stato il passaggio in zona gialla.
«No, dai dati al momento la situazione è sotto controllo, non ci dovrebbero essere cambiamenti», ha detto il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, in merito al possibile passaggio in zona gialla di Friuli Venezia Giulia, Veneto e della provincia autonoma di Bolzano. La decisione definitiva sarà presa oggi dalla cabina di regia che analizza gli indicatori e valuta l’introduzione di nuove restrizioni.
In Friuli Venezia Giulia il peggioramento non è stato improvviso: già da qualche settimana c’era una certa attenzione sull’andamento dei contagi, cresciuti soprattutto a Trieste e molti dei quali riconducibili alle manifestazioni contro il Green Pass che nelle ultime settimane si sono tenute al porto e in piazza Unità d’Italia, dove migliaia di persone non vaccinate si sono riunite intonando cori e urlando slogan senza dispositivi di protezione come le mascherine.
All’aumento dei contagi è seguita una crescita dei pazienti ricoverati in gravi condizioni, tra cui anche molti non vaccinati.
«Quelli che dobbiamo ospedalizzare sono tra i 40 e i 60 anni, quasi tutti non vaccinati», ha detto Andrea Uliana, un infermiere del 118 di Trieste, intervistato dal Piccolo. «In alcuni casi pazienti con comorbidità come diabete o cardiopatie, in altri casi sono sani, hanno febbre e dispnea (fatica a respirare). Gli anziani chiedono aiuto, ma grazie al vaccino non sviluppano la malattia in forma grave e li assistiamo a casa insieme alle Usca» (sono le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, squadre di giovani medici, in media intorno ai 30 anni, incaricate di fare visite domiciliari ai malati di COVID-19 che non hanno bisogno di essere ricoverati in ospedale).
Rispetto allo scorso anno, quando il Friuli Venezia Giulia dovette affrontare una seconda ondata particolarmente grave, il lavoro dei soccorritori è più difficile perché agli interventi legati alla COVID-19 si sono aggiunti quelli causati dalla ripresa delle normali attività: incidenti e infortuni.
«Si sta di nuovo trasformando tutto, ancora una volta. Ma stavolta non è più come quando c’era il lockdown e la gente stava chiusa in casa. Adesso sono tutti in giro, c’è l’influenza, gli altri malati: dove li mettiamo?», ha detto Francesca Fratianni, responsabile sanità per la Fp Cgil di Trieste e Gorizia, intervistata dal Fatto Quotidiano. «Chi arriva al pronto soccorso dell’ospedale Cattinara non vede una sola barella, non ce ne sono. Tutte già dentro, tutte già occupate. Il problema è che manca il personale specializzato, che ha bisogno di 12 mesi di formazione, e intanto perdiamo anestesisti che tra stress e turni di 12 ore hanno deciso di lasciare e passare al privato. Quattro negli ultimi sei mesi».
Un’altra preoccupazione è legata all’ingresso quotidiano di migliaia di lavoratori dalla Slovenia, un paese dove la percentuale di vaccinazione supera di poco il 50 per cento. Secondo le stime della Cgil, dalla frontiera passano ogni giorno 15mila persone. È complesso capire però quanto possa incidere l’arrivo di queste persone, che per lavorare – anche se cittadini sloveni – devono esibire il Green Pass.
Negli ultimi giorni i presidenti delle Regioni hanno sollecitato il governo a studiare possibili limitazioni dedicate esclusivamente alle persone non vaccinate, come accade in Austria.
Tra i presidenti che hanno chiesto questa misura, inedita in Italia, c’è anche Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e della conferenza delle Regioni. Fedriga ha detto che «è urgentissima» una riflessione tra governo e Regioni sulle regole e sulle restrizioni che erano state pensate quando la percentuale dei vaccinati era bassa.
Limitare le restrizioni alle persone non vaccinate consente, secondo le intenzioni delle Regioni, di «mettere in sicurezza sia il sistema sanitario, sia le attività economiche e sociali, e anche per anticipare eventuali scenari di criticità».
Fedriga, esponente della Lega, è tra i presidenti che sostengono con più forza la necessità di vaccinare più persone possibili, nonostante il suo partito sia uno dei più vicini alle istanze delle persone non vaccinate. In Friuli Venezia Giulia l’85,7 per cento delle persone vaccinabili ha ricevuto almeno una dose del vaccino.