C’è un’indagine su un produttore italiano di droni comprato da società cinesi
La storia di Alpi Aviation, che produce un drone usato anche dall'esercito, mostra i problemi degli investimenti cinesi in Europa
Da alcuni mesi le autorità italiane stanno indagando su Alpi Aviation, una società di Pordenone che produce tra le altre cose droni militari, perché sarebbe stata acquisita da una società legata al governo cinese senza che il governo italiano ne fosse a conoscenza. L’indagine, che è stata resa pubblica a settembre, ha ricevuto una notevole attenzione anche a livello internazionale e ci sono state novità negli ultimi giorni, perché Reuters ha scritto che il governo sarebbe pronto a prendere provvedimenti inediti contro l’azienda e i suoi compratori cinesi. Per ora comunque non ci sono conferme ufficiali.
La vicenda di Alpi Aviation è anche un modello delle pratiche di acquisto che aziende legate al governo cinese hanno messo in atto negli ultimi anni soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, con l’obiettivo di acquisire aziende e tecnologie innovative o strategiche. Queste pratiche stanno preoccupando molto sia l’Unione Europea sia vari governi nazionali, che hanno approvato misure più strette di controllo degli investimenti, o messo in pratica più di frequente quelle già esistenti, come il governo italiano ha fatto di recente e come potrebbe fare anche con Alpi Aviation.
L’inchiesta su Alpi Aviation è stata resa pubblica a settembre, dopo che la Guardia di Finanza, nei mesi precedenti, aveva fatto due perquisizioni nella sede dell’azienda, che si trova a San Quirino, un piccolo comune vicino a Pordenone.
Alpi Aviation produce piccoli aeroplani, un modello di elicottero e, secondo il sito ufficiale dell’azienda, un modello di drone militare.
Questo drone, che si chiama Strix, ha un’apertura alare di circa 3 metri, può essere portato in uno zaino e messo in volo da una persona sola, tramite una specie di catapulta. Il drone Strix serve per le operazioni di intelligence e di sorveglianza. Può essere fatto volare sugli obiettivi e raccogliere video, anche a infrarossi e anche di notte. Lo Strix – ha scritto il Wall Street Journal, che si è occupato della vicenda – è in dotazione all’esercito italiano, che l’ha usato tra le altre cose nella sua missione in Afghanistan.
La Guardia di Finanza si era interessata inizialmente ad Alpi Aviation per vicende non legate all’acquisizione. A marzo, aveva perquisito l’azienda perché sospettava che alcuni suoi droni e altri componenti fossero comprati, tramite uno schema intricato, dall’Iran, in violazione delle sanzioni internazionali. Alpi era già stata accusata di vendite simili nel 2009. L’azienda, in entrambi i casi, ha smentito qualunque irregolarità.
Man mano che l’indagine proseguiva, però, l’attenzione della Guardia di Finanza si è concentrata sul fatto che nel 2018 la proprietà italiana di Alpi Aviation aveva venduto il 75 per cento dell’azienda a Mars Information Technology, una società di Hong Kong. Il prezzo pagato da Mars, secondo la Guardia di Finanza, era spropositato: 3.995.000 euro contro un «valore nominale» di Alpi Aviation di appena 45.000 euro (in realtà il valore nominale di un’azienda è diverso dal prezzo di mercato, ma quanto pagato da Mars appare comunque tanto).
Soprattutto, come ha spiegato la Guardia di Finanza in un comunicato, Mars è una società «costituita ad hoc prima dell’acquisto delle quote» e che non ha risorse finanziarie proprie: si tratterebbe di una compagnia di facciata dietro alla quale, tramite un complesso intrico di società, operano due grosse aziende controllate dal governo cinese.
Di fatto, dunque, secondo la Guardia di Finanza, Alpi Aviation sarebbe stata comprata da società legate al governo della Cina con «modalità opache» e con l’intenzione di «condurre attività di trasferimento (importazione, esportazione e transito ) di materiale e tecnologia della Difesa all’estero». Tra le altre cose, dopo l’acquisizione Alpi Aviation aveva avviato un progetto per delocalizzare le sue strutture produttive in Cina.
Che quest’acquisizione sia problematica, secondo l’inchiesta, è dimostrato dal fatto che Alpi Aviation sarebbe stata restia a renderla nota alle autorità: ha aspettato per ben due anni dopo l’acquisizione prima di comunicarla al Registro nazionale delle imprese operanti nel settore degli armamenti; e nel corso di questi due anni ha continuato a stipulare contratti facendosi passare per una società di proprietà italiana, ha scritto la Guardia di Finanza.
Inoltre – e questa è l’accusa con ricadute più gravi e ampie – Alpi Aviation avrebbe dovuto comunicare l’acquisizione da parte cinese al Consiglio dei ministri, che sulla base di una legge del 2012, nota come “Golden Power”, deve avere l’ultima parola quando un ente straniero acquisisce società che operano nel settore militare e della sicurezza nazionale, oppure in settori strategici come l’energia, i trasporti e le telecomunicazioni.
In base al Golden Power, il governo italiano può impedire la conclusione di un’acquisizione non ancora avvenuta, o può imporre gravi sanzioni in caso in cui l’affare sa già stato chiuso, che possono arrivare fino alla rescissione dei contratti. Poiché Alpi Aviation opera anche nel settore della difesa, avrebbe dovuto comunicare al governo che un’azienda cinese era interessata ad acquisire il 75 per cento delle quote aziendali, e avrebbe dovuto farlo prima di chiudere l’affare. Questa comunicazione non è mai avvenuta.
Adesso il governo italiano starebbe considerando quali misure adottare. Secondo Reuters, che ha sentito tre fonti dentro al governo, sarà presto avviata un’azione ufficiale che potrebbe portare perfino alla rescissione dell’acquisizione. Non ci sono però notizie ufficiali al riguardo.
Sentita dal Post, Alpi Aviation non ha voluto fare commenti, ma ha inviato un comunicato stampa in cui «nega con fermezza che nella condotta della società si debbano ravvisare violazioni delle norme a tutela del “Golden Power”» e specifica che «per quanto attiene alla cessione delle quote di Alpi Aviation, la stessa è avvenuta in modo trasparente, con riferimento al reale valore dell’azienda e nel rispetto della normativa fiscale».
Le acquisizioni predatorie da parte di aziende legate al governo cinese sono diventate un problema in Europa e negli Stati Uniti (ma non soltanto) ormai da diversi anni. In Europa, in particolare, fu molto discussa l’acquisizione dell’azienda tedesca Kuka, leader mondiale nel settore dei robot industriali, da parte di un consorzio cinese nel 2016. Kuka era una delle aziende più tecnologicamente avanzate di tutta la Germania e il fatto che fosse stata comprata da acquirenti cinesi senza che il governo intervenisse scatenò un’ampia polemica che colpì anche la cancelliera Angela Merkel.
Da allora, aziende cinesi hanno continuato ad acquisire importanti e innovative startup europee, ma via via le regole sugli investimenti stranieri sono diventate più stringenti. Nel 2018, l’Unione Europea ha varato un meccanismo di controllo degli investimenti piuttosto rigido, che è entrato in vigore l’anno scorso. La responsabilità ultima del controllo, però, è dei singoli stati.
In Italia la legge sul Golden Power fu approvata nel 2012 ed è stata usata soltanto quattro volte dal governo. In tre occasioni è stata usata per bloccare acquisizioni da parte di aziende cinesi, e a servirsene è stato per ben due volte il governo Draghi, in carica da meno di un anno. A marzo, il Consiglio dei ministri ha bloccato la vendita di LPE, società milanese che si occupa di semiconduttori, al gruppo cinese Shenzhen Investment. A ottobre, ha bloccato la vendita di Verisem, società romagnola che si occupa di sementi e biotecnologie, a Syngenta, una delle più grosse multinazionali del settore, di proprietà cinese.
Il caso di Alpi Aviation mostra però che il meccanismo del Golden Power ha diversi limiti che consentono a molte acquisizioni straniere di passare inosservate, soprattutto perché sono le aziende stesse che devono comunicare al governo il passaggio di proprietà.
– Leggi anche: Dietro agli investimenti cinesi in Europa spesso ci sono aziende di stato