Come ha fatto la sua serie Zerocalcare
Raccontato dal fumettista, che per realizzare “Strappare lungo i bordi” ha dovuto cambiare approcci e metodi di lavoro
di Stefania Carini
«È stato impegnativo» dice Michele Rech, che con il nome Zerocalcare è il fumettista in attività più noto in Italia, riguardo alla serie animata che ha ideato e che da mercoledì è su Netflix. «Ma anche molto figo», aggiunge. Per fare Strappare lungo i bordi è passato da una scrittura in solitaria, quella dei suoi fumetti, a una produzione collettiva, con più di 200 persone al lavoro su di lui e per lui.
Il processo creativo e produttivo è consistito nell’adattare all’animazione seriale quello che Giorgio Scorza – responsabile della regia tecnica e produttore insieme a Davide Rosio – definisce in maniera divertita lo “Zeroverse”, l’universo di Zerocalcare. È una definizione che richiama il più celebre Marvel-Verse, l’universo narrativo della Marvel in cui vivono i suoi supereroi, ormai un impero multimediale fatto di fumetti, film, serie tv. Il paragone è un’iperbole, ma aiuta a capire alcuni aspetti di quello che c’è stato dietro il passaggio dai libri alla serie animata del mondo narrativo di Zerocalcare.
La fase iniziale di questo percorso è la scrittura, che non ha previsto soltanto una riflessione su cosa raccontare, ma sul come, a partire dal formato. Strappare lungo i bordi è composta da 6 puntate di circa 20 minuti: inizialmente l’idea era di realizzare una «storia più compatta», spiega Zerocalcare, cioè con un’unica linea narrativa capace di evolversi di puntata in puntata. «Mi sono però accorto, essendo la mia prima serie animata, di non padroneggiare del tutto questo linguaggio, non sapevo che ritmo potesse avere questa narrazione, allora ho deciso di utilizzare lo stesso meccanismo del mio libro La profezia dell’armadillo».
Ha puntato cioè su tante piccole storie dedicate al contesto intorno ai personaggi, delle digressioni “verticali” che si aprono e si chiudono in un singolo episodio e che scandiscono una trama “orizzontale”, cioè che si apre nel primo episodio e poi viene portata avanti per tutti gli altri. «Per il resto ho scritto ogni singolo episodio come scrivo i fumetti, abbastanza di getto. E una volta che si esauriscono, ci metto un punto».
Le digressioni – flashback, fantasie, piccoli avvenimenti che aiutano anche a presentare il personaggio di Zerocalcare – contribuiscono a tenere alto il ritmo della narrazione, perché la velocità è uno degli elementi più importanti per Zerocalcare. La trama che si sviluppa di episodio in episodio è quella di un viaggio: Zero, Secco e Sarah partono per un viaggio in treno. Il viaggio è tra le strutture narrative orizzontali per eccellenza, con un inizio e una fine, e questo aiuta a sottolineare la progressione delle vicende, al di là delle molte parentesi aperte negli episodi. Entrambi i procedimenti consentono di dare alle vicende da cui parte Zerocalcare – sempre biografiche – una «forma narrativa accessibile, forzando dei passaggi o limandone altri, associandoli a delle immagini o ad atmosfere particolari». A questo punto è necessario però dar loro una forma animata.
Grazie alla breve serie Rebibbia quarantine, realizzata per il programma Propaganda Live, Zerocalcare aveva già intuito che era possibile rendere animati i suoi fumetti secondo le sue esigenze narrative, e cioè con la sua voce, la sua cadenza romana, il suo ritmo veloce. Allora la trama era legata al lockdown, e dunque era più facile, spiega, intercettare gli umori delle persone. Strappare lungo i bordi è diverso perché è una storia meno immediata, e ha previsto un altro livello tecnico nell’esecuzione: «Però il software che si usava per animare è lo stesso che uso a casa, solo che io sono una pippa».
La collaborazione con Movimenti Production, la casa di produzione guidata da Scorza e Rosio, ha seguito un flusso creativo e produttivo simile a una partita di ping pong. Una volta scritto l’episodio, Zerocalcare registrava la sua voce e quella di tutti i personaggi su una traccia audio salvata sul suo cellulare, dando così il ritmo che desiderava al racconto. Abbinava la traccia a una forma molto grezza di storyboard, cioè la sequenza disegnata della successione in ordine cronologico delle scene.
Ricevuto questo lavoro, Scorza e Rosio hanno studiato soluzioni capaci di adattare l’idea di Zerocalcare alle diverse possibilità del linguaggio audiovisivo, come movimenti di macchina, stacchi di montaggio, angoli di ripresa. Dopo un confronto e l’approvazione di Zerocalcare, e apportate le eventuali modifiche, la fase successiva ha previsto la registrazione dei dialoghi, mentre i vari reparti di Movimenti Production hanno ricostruito i personaggi del mondo di Zerocalcare nel software utilizzato per l’animazione. Una volta animati i personaggi, nei casi in cui era necessario Zerocalcare è intervenuto per modificare espressioni e gesti, per poter rendere i movimenti più credibili.
Un fumetto e una serie animata hanno differenti modalità di racconto ma l’idea, spiega Scorza, è che si mantenesse un legame fra i due: «Il linguaggio del fumetto doveva essere sia nelle inquadrature sia nel design delle serie, che però non doveva sembrare una tavola da fumetto animata senza le regole del linguaggio del cinema. Michele mi diceva: “Se mi date le soluzioni, e mi fate capire la riflessione artistica che c’è dietro, se poi mi piace l’approfondiamo”».
Se Zerocalcare per esempio disegna i suoi personaggi come mezzi busti frontali, la regia tecnica può decidere di allontanare la camera dal personaggio, di inquadrarlo da diverse angolazioni, di esplorare l’ambiente circostante o di conferire un taglio drammatico alla scena, magari con la camera inclinata. Allo stesso tempo la serie è fatta di molte digressioni. Così ad esempio, per differenziare i momenti in cui il personaggio di Zerocalcare si rivolge direttamente allo spettatore, Scorza e Rosio hanno proposto di aggiungere degli zoom a scatti, mimando lo stile delle interviste televisive, o l’alternanza tra racconto e confessione diretta dei personaggi davanti alla macchina da presa, resa famosa in tv da sitcom come The Office e Modern Family.
Arrivati a questa fase, bisogna iniziare a registrare la traccia definitiva dei dialoghi. Zerocalcare ha sempre pensato il fumetto come «una specie di trascrizione del racconto orale»: è per rimarcare questo meccanismo che nelle sue storie riprende il suo modo di parlare, e usa la voce fuori campo per rivolgersi ai lettori. La trama biografica scaturisce quindi dalla sua voce: non ha voluto che lo spettatore si ritrovasse come “davanti a un film”, preferendo «ricreare la situazione in cui uno si siede di fronte a un altro e gli racconta una storia: se ci sono altri personaggi non chiami un attore, imiti la voce dell’altra persona in maniera rozza».
Tex Avery, uno dei più importanti animatori americani, creatore tra gli altri di Bugs Bunny e Duffy Duck, una volta disse: «penso che le voci abbiano una spaventosa parte per il successo di un personaggio dei cartoons. Pensiamo a Paperino: avevano quel ragazzo che poteva fare quella pazza voce da papero, e ci costruirono attorno il personaggio». A inizio anni Novanta, prima la Disney e poi il resto del settore iniziarono anche a usare attori famosi per la voce dei propri personaggi animati: si rivelò un ottimo espediente di marketing, ed ebbe da subito conseguenze sulla resa visiva del film. Questo perché i personaggi venivano – e vengono ancora – spesso animati in maniera definitiva dopo il doppiaggio, e quindi gli animatori cominciarono a ispirarsi agli attori e al loro stile di recitazione.
È successo anche per Strappare lungo i bordi. La gestualità di Zerocalcare – l’alternanza tra un immobilismo imbarazzato e i movimenti a scatto – sono serviti agli animatori per caratterizzare i personaggi. «Michele registra una scena tutta di seguito, cambiando tutte le voci» spiega Scorza. «Non registra le singole parti dei personaggi. Una cosa magica da vedere, ma era una sfida mantenere freschezza dentro questo flusso di coscienza».
L’unico personaggio ad aver una voce diversa è l’armadillo, la coscienza del personaggio di Zerocalcare, che è doppiato dall’attore Valerio Mastandrea. Inizialmente, nella fase di storyboard è stato però Zerocalcare a dargli voce. Nella fase di registrazione, quindi, Mastandrea si è adeguato al suo ritmo, ma ha aggiunto le sue sfumature: «era super convincente come armadillo, e come diceva lui la battuta era sempre meglio» ammette Zerocalcare. Scorza ha deciso di averli in sala insieme mentre registravano le loro scene, per mantenere la spontaneità degli scambi. Perché «la dinamica tra Michele e Valerio è simile a quella tra Zerocalcare e l’armadillo».
Mastandrea ha seguito dunque il ritmo serrato voluto da Zerocalcare, secondo il quale però «la serie è lenta. Questa velocità è frutto di una mediazione. Per me tutto quello che è più lento del punk hardcore è una lagna. La velocità però è necessaria anche perché se recitassi con le pause d’attore si capirebbe che sono una pippa. E poi la storia doveva trasmettere un grado di ansia e agitazione, e quindi doveva essere veloce come le emozioni raccontate».
L’armadillo è diverso da tutti gli altri personaggi non solo per la voce, ma anche perché è stato animato sulla base della recitazione di Mastandrea. È una scelta che serve a suggerire come il personaggio abbia una vita propria, e che non sia solo la semplice “voce interiore” di Zerocalcare. Anche l’uso della voce del solo Zerocalcare per tutti gli altri agisce su un livello più simbolico, oltre che su quello delle scelte narrative legate alla resa del flusso di coscienza del protagonista. Rappresenta infatti una sorta di blocco emotivo di Zerocalcare, come si intuisce con il procedere del racconto e nel finale, momento in cui rallenta il ritmo della serie e l’atmosfera diventa più malinconica.
Strappare lungo i bordi tenta per certi versi di inserirsi in quel filone seriale d’animazione più adulta che ha caratterizzato negli ultimi decenni gli Stati Uniti e l’Europa. Inizialmente, come possibile serie animata cui ispirarsi, Zerocalcare aveva citato a Movimenti la francese Lascars, composta da episodi brevissimi, andata in onda nel 1998 su Canal+ e poi diffusa su internet. Racconta la storia di un gruppo di ragazzi delle banlieue esplorando la cultura pop urbana del periodo. Poi però Zerocalcare ha scoperto, anche se per sua stessa ammissione un po’ in ritardo, Bojack Horseman. È una delle più apprezzate serie animate dell’ultimo decennio, e ha influenzato in parte Strappare lungo i bordi. «I Simpson e tutte le altre serie animate hanno mille livelli di lettura, è vero, ma Bojack Horseman è stata davvero una roba per adulti punto, e mi ha aperto un po’ de finestre nel cervello».
Affidare il proprio mondo narrativo ad altre mani ha richiesto compromessi e una certa dose di fiducia. «La paura di perdere il controllo sulle cose è stata gigantesca» dice Zerocalcare. «Quando lavoro a casa da solo so già cosa uscirà dalla tavola che sto disegnando, ormai sono abituato, non ho nessun tipo di sorpresa. Qua invece il meccanismo di rimbalzarci le cose è diventato molto stimolante». Non solo dal punto di vista creativo, ma anche perché ha innescato dinamiche “da spettatore”: «Io sono malato col Marvel Cinematic Universe. Ogni sera mi vado a vedere tutte le teorie e le anticipazioni. Qui avevo la stessa situazione: aspettavo il giorno in cui mi mandavano i pezzetti per vedere cosa si erano inventati».