I tantissimi luoghi dove Garibaldi «posò le stanche membra»
Le centinaia di lapidi dedicate alle soste che fece durante i suoi viaggi sono un fenomeno unico nella storia italiana
Tra tutti i personaggi della storia italiana, Giuseppe Garibaldi è probabilmente quello a cui è dedicato il maggior numero di monumenti, lapidi, targhe varie, nomi di vie e di piazze. Gli contendono il primato altre due figure del Risorgimento, cioè Camillo Cavour e Giuseppe Mazzini. Ma c’è uno specifico ambito di lapidi commemorative in cui Garibaldi non ha sicuramente rivali: quelle in cui viene testimoniato e ricordato il suo soggiorno in un edificio, anche solo per una notte o addirittura per poche ore.
Lapidi simili si possono trovare in moltissime città d’Italia, grandi capoluoghi come Palermo o piccoli comuni come Gottolengo, in Lombardia. Una stima di quante siano è contenuta in una vecchia pubblicazione intitolata Qui sostò Garibaldi, curata da Erika Garibaldi, vedova di Ezio Garibaldi, figlio di Ricciotti e nipote di Giuseppe. Nel libro sono raccolte quasi 500 lapidi e iscrizioni, di cui circa la metà legate a passaggi, soste o permanenze di Garibaldi. Molte invece sono iscrizioni poste alla base di monumenti, statue o busti.
Per raccogliere tutte queste lapidi, e per ricostruire minuziosamente gli itinerari garibaldini, Erika Garibaldi – il cui cognome da nubile era Knopp von Kirchwald – ha scritto 13.000 lettere alle autorità locali «di ogni Comune d’Italia», percorso 50.000 chilometri in cinque anni e fatto 3.000 fotografie. Nel libro racconta anche come sia nata l’idea di intraprendere un simile sforzo:
Forse la prima idea di un libro del genere venne molti anni fa a mio marito Ezio quando, durante lo scoprimento di un’altra delle innumerevoli lapidi dedicate a Garibaldi, sentì nostro figlio, l’allora piccolo Giuseppe, dire: «Mamma, ma il nonno non dormiva mai a casa sua?».
È vero che Garibaldi viaggiò molto sia in gioventù che in tarda età, ma il motivo per cui sono diffuse così tante lapidi a lui dedicate è legato al culto della personalità che gli nacque presto intorno, un fenomeno che nella storia italiana ha pochi uguali in termini di estensione e trasversalità.
Garibaldi è infatti uno dei personaggi storici italiani più noti e riconoscibili, da molto prima che gli venissero dedicati monumenti e lapidi. Per essere stato al centro di tutte le fasi del Risorgimento, in quanto leader militare più capace e carismatico, e per via dell’immagine di uomo d’armi affidabile e temerario che si costruì consapevolmente, Garibaldi divenne oggetto di un culto della personalità quando era ancora in vita, e che fu lui stesso ad alimentare.
Naturalmente, l’immagine dell’eroe avventuroso non era del tutto una costruzione. Garibaldi ebbe davvero una vita movimentata: era figlio di un marinaio mercantile e da giovane seguì il padre nei suoi viaggi in mare. Poi, venuto a conoscenza delle cause patriottiche della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini, continuò a viaggiare, ma per organizzare rivolte e partecipare alle spedizioni repubblicane.
A seguito di un’insurrezione fallita in Piemonte, che gli valse una condanna a morte in contumacia, nel 1835 riparò in Sud America, anche lì partecipando a numerose campagne militari locali. A questo periodo, durato oltre dieci anni, si deve il celebre appellativo “eroe dei due mondi”. Fu solo nel 1848 che tornò in Italia, attirato dall’iniziativa di re Carlo Alberto, che stava per attaccare l’Austria in quella che sarebbe diventata nota come Prima guerra di indipendenza. Ed è in questo periodo che abbandonò gli ideali mazziniani, dicendosi non più «repubblicano, ma italiano».
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Negli anni seguenti, Garibaldi diventò una figura chiave nell’organizzazione dell’esercito volontario. Le campagne militari lo portarono a viaggiare praticamente in tutta Italia. E quando non era in viaggio a causa di battaglie imminenti, in tempo di pace, lo chiamavano per partecipare a eventi, comizi e manifestazioni. Nel 1867, per esempio, visitò Siena su richiesta di un’associazione di operai e della Fratellanza Militare locale e alloggiò all’albergo dell’Aquila Nera, dal cui balcone si affacciò per fare un discorso pubblico in cui pronunciò una delle sue storiche frasi: «O Roma viene all’Italia, o l’Italia va a Roma!». L’albergo non c’è più ma sulla facciata dell’edificio c’è una lapide che ricorda questo momento.
A Palermo invece c’è una lapide altrettanto solenne, che però ricorda un momento più prosaico. Si trova sulla facciata riccamente stuccata di Palazzo Alliata di Villafranca, nel centro storico, e recita:
In questa illustre casa / il 27 maggio 1860 / per sole due ore / posò le stanche membra / Giuseppe Garibaldi / singolare prodezza / fra l’immane scoppio / delle micidiali armi di guerra / sereno dormiva / il genio sterminatore di ogni tirannide
Anche a Legnago, in provincia di Verona, c’è una lapide che ricorda una dormita di Garibaldi. Il 10 marzo 1867 soggiornò all’albergo Paglia, affacciato su una piazza che poi avrebbe preso il suo nome. Il palazzo venne poi distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, ma la famiglia proprietaria riuscì a recuperare gli arredi originali della stanza dove Garibaldi dormì, oggi esposti in una sala dedicata del museo della Fondazione Fioroni.
A Marsala, in Sicilia, ci sono diverse lapidi, perché fu un luogo importante nella costruzione dell’epica garibaldina: lì sbarcò la spedizione dei Mille con cui di fatto si avviò l’unificazione dell’Italia. Due di queste lapidi sono particolarmente significative. Una non riguarda direttamente Garibaldi, bensì fu ordinata e dettata da lui stesso, ed è rivelatrice del tipo di retorica di cui si alimentava il suo patriottismo. È una sorta di epigramma, che recita: «Marsala / alle generazioni venture / ricorderà / come si frantumano / i ceppi della tirannide / e all’Italia / come si preferisce / la morte al servaggio». L’altra invece è notevole per la precisione con cui quantifica il tempo della sosta di Garibaldi:
In questa casa / per ore sessanta / fu / Garibaldi / qui / nel 19 luglio 1862 / la prima volta / tuonò / o Roma o morte
L’aura di importanza che circondava (e circonda ancora) un soggiorno di Garibaldi in un luogo è tale che nel tempo si sono moltiplicati i casi inventati o poco documentati. Dino Mengozzi, docente di Storia contemporanea all’Università di Urbino, nel suo libro Il corpo di Garibaldi ne cita due: la leggenda secondo cui un cipresso in Romagna, accanto alla statale 67 che collega Forlì a Firenze, avrebbe dato riparo a Garibaldi, servì agli ambientalisti per scongiurare il rifacimento della strada (che avrebbe comportato lo sradicamento dell’albero); e Villa Koch a Roma, dove un presunto soggiorno di Garibaldi ai tempi della battaglia di Mentana non servì a salvarla dalla demolizione, nel 1947, sulla spinta della speculazione edilizia.
Secondo Mengozzi, il fenomeno delle leggende e delle lapidi dedicate sono il risultato di un «colpo di genio di Garibaldi», di una «sua capacità di interpretare la leadership politica, allora allo stato nascente». Una leadership «carismatica e taumaturgica» che Garibaldi incarnò coscientemente. «Si pensi soltanto alla sua capacità di creare l’icona» spiega Mengozzi. «Poncho, camicia rossa, capelli lunghi e barba profetica. Oppure la sua capacità di diffondere reliquie politiche (ciocche di capelli, gocce di sangue, fotografie firmate) o di ampliare emotivamente le sue imprese mediante racconti, autobiografie, stampe, dipinti, canzoni. Né si dica che sono opera di altri: nulla si faceva intorno a lui che non avesse il suo consenso».
Questo culto del corpo e della personalità di Garibaldi è assimilabile a quello di un re, o di un «santo laico», per dirla con le parole di Mengozzi. Le targhe che ne testimoniano il passaggio sono così tante che a Castelletto sopra Ticino, in provincia di Novara, ce n’è una che specifica: «In questa casa non visse mai persona illustre, nemmeno Garibaldi».