Che cosa dice la prima sentenza sul “caso Bibbiano”
Lo psicoterapeuta Claudio Foti è stato condannato per i metodi usati in uno dei casi di affido di minori nel comune emiliano
Il processo nato dall’inchiesta “Angeli e Demoni”, quella che riguarda i casi di abusi nel processo di affidamento di minori nel comune emiliano di Bibbiano, ha concluso ieri la fase del rito abbreviato chiesto da due degli imputati. Lo psicoterapeuta Claudio Foti è stato condannato a quattro anni per lesioni gravissime e abuso d’ufficio (l’accusa aveva chiesto sei anni). L’altra indagata che aveva chiesto il rito abbreviato, l’assistente sociale Beatrice Benati, è stata invece assolta.
Per altre 17 persone che hanno optato per il rito ordinario ci sarà il processo: sono infatti state rinviate a giudizio. Tra di loro c’è il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, che andrà a giudizio per abuso d’ufficio ma è stato prosciolto dalle accuse di falso. Cinque persone sono state prosciolte al termine delle indagini.
La vicenda, cominciata nel giugno del 2019, occupò per molte settimane le cronache dei giornali ed ebbe particolare visibilità per lo scontro politico che provocò tra il Partito Democratico, che amministrava la città, e Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle, che accusarono il centrosinistra locale e l’intero sistema dei servizi sociali dell’Emilia- Romagna, regione a sua volta governata dal PD. Il procuratore capo di Reggio Emilia intervenne però spiegando che «sotto inchiesta non c’è il sistema dei servizi: sotto inchiesta ci sono delle persone». È stata chiarito e ridimensionato anche il coinvolgimento del sindaco Carletti, accusato per la presunta violazione delle normative degli appalti e non per i presunti abusi sui bambini.
Bibbiano è un centro con poco più di 10.000 abitanti a 16 km da Reggio Emilia. Finì al centro dell’attenzione il 26 giugno 2019 quando 16 persone, tra amministratori, assistenti sociali e psicoterapeuti furono oggetto di misure cautelari, e 24 in totale finirono nel registro degli indagati sospettate di aver redatto o agevolato relazioni false per allontanare bambini dalle loro famiglie e darli in affido, in alcuni casi, ad amici e conoscenti. Secondo la Procura di Reggio Emilia le false relazioni erano state compilate dopo sedute di psicoterapia che avevano suggestionato i minori, alterando i loro ricordi tanto da indurli, in alcuni casi, ad accusare ingiustamente i genitori di molestie sessuali.
Claudio Foti, responsabile della onlus Hansel e Gretel di Moncalieri, in provincia di Torino, finì agli arresti domiciliari e così pure il sindaco di Bibbiano.
L’inchiesta era iniziata nell’estate del 2018 quando alla procura di Reggio Emilia venne riportato un aumento significativo e considerato anomalo di segnalazioni di abusi sessuali su minori avvenuto soprattutto negli ultimi due anni. I casi riguardavano soprattutto il Servizio sociale dell’Unione dei comuni della Val D’Enza, e la Procura autorizzò la polizia giudiziaria a effettuare intercettazioni ambientali delle sedute con i minori.
Alle sedute di psicoterapia si arrivava dopo che il bambino aveva rivelato a un familiare o a una maestra quelli che il gip di Reggio Emilia Luca Ramponi, chiamò, nell’ordinanza che portò agli arresti, «elementi anche labili di abusi sessuali». Il gip evidenziò «un copione quasi sempre uguale a se stesso» con provvedimenti di allontanamento in via d’urgenza, segnalazioni alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia e al Tribunale per i minori, e una serie di relazioni che avevano in comune la «tendenziosa rappresentazione dei fatti» oppure la «omissione di circostanze rilevanti», sempre secondo le indagini della Procura.
L’inchiesta era incentrata su due tipologie di reati. Da una parte l’indagine voleva accertare le modalità di assegnazione da parte del comune di Bibbiano di sedute di psicoterapia, convegni, corsi di formazione alla comunità Hansel e Gretel. In sostanza si voleva accertare se ci fosse stato un uso improprio dei fondi pubblici. Dall’altra parte l’indagine si concentrò sulle sedute di psicoterapia dei bambini e sui metodi utilizzati per verificare gli eventuali abusi. L’indagine che portò agli arresti del giugno 2019 fece emergere secondo la Procura un meccanismo che portava, attraverso l’intervento dei servizi sociali e poi della onlus Hansel e Gretel, all’allontanamento non giustificato dei bambini dalle loro famiglie.
Dopo la segnalazione ai servizi sociali i bambini venivano inviati presso la struttura pubblica La Cura, gestita dalla Hansel e Gretel, diretta da Foti. Qui i bambini erano sottoposti a sedute pagate dai comuni della Val d’Enza fino a 130 euro l’una. Secondo il gip durante le sedute avvenivano «significative induzioni, suggestioni, contaminazioni» che in alcuni casi preparavano i bambini ai colloqui nelle sedi giudiziarie che dovevano decidere sull’eventuale affido, con modalità che«rischiano fortemente di contribuire alla costruzione di falsi ricordi».
Le sedute venivano condotte da Foti e dai suoi collaboratori secondo il metodo EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing): una tecnica che attraverso un apparecchio chiamato Neurotek manda ai pazienti stimoli acustici e tattili. Isabel Fernandez, presidente dell’associazione EMDR Italia, spiegò a Repubblica, in un’intervista come funziona la tecnica, «nata per curare il disturbo da stress post traumatico dei veterani del Vietnam, ora usata con chi sopravvive a un terremoto. Si basa su movimenti oculari destra-sinistra, gli stessi della fase Rem del sonno. Il ricordo perde la sua carica emotiva negativa, si attenua».
Per Fernandez la tecnica non fa «affiorare ricordi di situazioni traumatiche che non sono avvenute». E il Neurotek «non è un apparecchio dannoso ma è inutile se non ci sono ricordi traumatici». Alcuni giornali arrivarono a parlare di elettroshock a cui venivano sottoposti i bambini, ma l’inchiesta non ha mai fatto cenno a nulla del genere.
Il caso più simbolico presentato dalla Procura di Reggio Emilia, e che ha portato ieri alla condanna di Foti, riguarda una ragazza che la Hansel e Gretel ebbe in cura tra il 2016 e il 2017. Secondo la Procura le sedute sarebbero state condotte con modalità suggestive, generando nella minore «la convinzione di essere stata abusata dal padre e dal socio». Questo aveva causato in lei «disturbi depressivi». La ragazza era stata sottoposta alla tecnica della EMDR «in totale violazione dei protocolli di riferimento». Il metodo adottato da Foti non è considerato valido dalla Carta di Noto, un documento che dà le linee guida da seguire e mettere in pratica per chi lavora con minori presunte vittime di abuso. Foti ha sempre contestato la carta di Noto chiamandola «Vangelo apocrifo».
Durante l’inchiesta emersero molti casi ritenuti rilevanti dalla Procura di Reggio Emilia e che hanno portato ai rinvii a giudizio decisi ieri. Per esempio la casa in cui viveva una bambina veniva descritta dalla relazione dei servizi sociali come non adatta a un minore perché fatiscente e trascurata. I carabinieri che eseguirono poi l’ispezione trovarono che la casa fosse assolutamente normale. In altri casi venivano riportate come frasi pronunciate dai bambini quelle che erano elaborazioni degli assistenti sociali o addirittura delle sintesi.
In un altro caso venne accertato che in una relazione su una presunta violenza sessuale subita ci fu una manipolazione evidente e fu falsificato un atto pubblico: al disegno fatto da una bambina in cui ritraeva se stessa accanto all’ex compagno della madre vennero aggiunte le mani che dal corpo dell’uomo arrivano all’area genitale della minore. Il grafologo che esaminò il disegno non ebbe alcun dubbio sul fatto che si trattasse di un falso. Secondo il gip questa modifica fu fatta dalla psicologa della Asl che seguiva la bambina per avvalorare l’esistenza di abusi sessuali compiuti dall’ex compagno della madre.
Nell’ordinanza che accompagnò gli arresti il gip sottolineò anche il caso di una psicoterapeuta che «dichiarava sistematicamente alla minore che quest’ultima aveva subito attenzioni sessuali quando era piccola da parte di un uomo di cui lei si fidava e che si era approfittato di lei, con inequivocabili riferimenti al padre, aggiungendo che si trattava di traumi presenti nella sua mente e che era necessario tirare fuori. Suggeriva ripetutamente la necessità di svuotare gli “scatoloni” metaforicamente presenti nella cantina dei propri ricordi, alcuni dei quali chiamati “papà” e “sesso”, promettendole benessere e ulteriori vantaggi qualora la bimba li avesse svuotati».
Secondo le carte dell’inchiesta, sempre la stessa psicoterapeuta nella sua relazione per condizionare i periti sosteneva che la madre della bambina fosse «una prostituta» e che «nessuno dei due genitori si era mai occupato di lei». Inoltre aveva riferito al perito «asseriti sintomi dissociativi della bambina omettendo di riferire la sintomatologia a lei nota di epilessia» e aveva sostenuto di aver osservato personalmente durante le sedute «comportamenti aggressivi e sessualizzati» che in realtà le erano stati descritti dalle persone affidatarie.
Secondo l’ordinanza del gip che portò agli arresti, l’obiettivo era quello di dipingere il nucleo familiare originario come connivente o complice con il presunto adulto colpevole di abusi, supportando «in modo subdolo e artificioso» gli indizi, nascondendo elementi che indicavano possibili spiegazioni alternative ai comportamenti dei minori.
A gestire il metodo delle relazioni forzate, secondo la Procura, sarebbe stata la dirigente dei servizi sociali dell’Unione Val D’Enza, Federica Anghinolfi. La dirigente avrebbe spinto gli operatori che lavoravano con lei a redigere relazioni false, facendo sì che i bambini venissero affidati a coppie di sua conoscenza.
Dal 2017 al 2019 gli assistenti sociali coordinati dalla Anghinolfi intervennero nei casi di 100 bambini. In 85 di questi casi il Tribunale corresse le loro scelte e solo in 15 casi i giudici confermarono la necessità di un intervento. Di questi 15, in otto casi i genitori non fecero ricorso contro l’allontanamento.
Oltre a essere stato condannato a quattro anni, Foti è stato interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e sospeso dalla professione di psicoterapeuta e psicologo per due anni. Dovrà inoltre risarcire i danni in favore delle parti civili Gens Nova Onlus, Unione Val d’Enza, Unione dei Comuni Modenesi Area Nord, Ausl di Reggio Emilia, Regione Emilia-Romagna, Ministero della Giustizia, Comune di Montecchio Emilia. L’altra persona che aveva scelto il rito abbreviato era l’assistente sociale Beatrice Benati. Era accusata di violenza privata per aver consigliato a una donna di interrompere la relazione col compagno che sospettava di nutrire interesse sessuale per la minore, per evitare che fosse affidata a un’altra famiglia. Benati è stata assolta.
Tutti gli imputati ad eccezione di cinque sono stati rinviati a giudizio per un totale di 97 capi d’imputazione. L’ex dirigente del Servizio sociale dell’Unione Val d’Enza, Federica Anghinolfi, è stata prosciolta da due capi d’accusa ma andrà a processo per altri 64. L’assistente sociale Francesco Monopoli, altra figura centrale nell’ipotesi di accusa, è stato assolto invece per un capo di imputazione e rinviato a giudizio per i restanti 31. Per il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti e quello di Montecchio Emilia Paolo Colli è stato disposto il rinvio a giudizio per concorso in abuso d’ufficio, ed entrambi sono invece stati prosciolti per il delitto di falso. Carletti dovrà rispondere dell’assegnazione alla onlus Hansel e Gretel dei servizi di psicoterapia, avvenuta, secondo l’accusa, senza che fosse disposto un bando pubblico. Il processo inizierà a giugno 2022.
Dopo la sentenza Claudio Foti, che si è sempre dichiarato innocente, ha detto:
«Ho dedicato 40 anni della mia vita all’ascolto attento e rispettoso di bambini e ragazzi. Abbiamo consegnato 15 videoregistrazioni che non sono state esaminate con la dovuta attenzione. Credo che chiunque si approcci senza pregiudizio all’analisi di quei video potrà verificare un atteggiamento esattamente opposto a quello necessario e sufficiente per potermi condannare per lesioni.
C’è stato uno scontro, in quest’aula, che non doveva avvenire in ambito giudiziario, ma in accademia, fra posizioni culturali e teoriche diverse. Io credo che sia stata criminalizzata la psicoterapia del trauma, cioè una posizione che non c’entra nulla con il “metodo Foti”, distorto e spettacolarizzato. La psicoterapia del trauma è portata avanti da una componente ampia di psicoterapeuti, di clinici, che hanno un approccio che si oppone ad un’altra branca. Una contrapposizione che però è stata fatta in un’aula giudiziaria, cosa a mio parere scorretta».
Uno degli avvocati di Foti, Giuseppe Rossodivita, uscendo dal tribunale, ha detto ai giornalisti:
«La situazione ambientale di questo tribunale, evidentemente, è stata fortemente condizionata dal processo mediatico. Ovviamente faremo appello, continuiamo ad avere fiducia nella giustizia, ma soprattutto nel fatto che viviamo in uno Stato di diritto. Foti non era accusato dei fatti riportati dalla stampa, non ha mai avuto a che fare con minori. Ma molti giornalisti hanno avuto con lui lo stesso atteggiamento avuto con un’altra persona, poi assolta in appello: Enzo Tortora».