Una canzone dei Trail of dead
Per farla breve, che hanno un nome infinito e western
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Quarant’anni fa oggi uscì il primo disco di una band australiana che non avrebbe avuto ragioni di particolare interesse per il resto del pianeta, se non che il loro secondo singolo era andato forte in Australia tutta l’estate, e così fu anche per il disco, Business as usual. Che da lì si avventurò per il mondo battendo record di presenze nelle classifiche americane e facendo rimbalzare nelle radio di ogni paese la canzone, Who can it be now?.
Il Post ha raccontato la strage di venerdì scorso a Houston durante un concerto del rapper Travis Scott.
Aimee Mann ha fatto un disco nuovo, io sono fan ma finora mi sta un po’ annoiando, qui c’è un lungo articolo su di lei del Guardian.
La tv francese Arte ha messo online il concerto che Damon Albarn ha tenuto a Parigi venerdì scorso. Bello, al minuto 55 fa piano piano On Melancholy hill, che ricorderete. Venerdì comunque esce questo disco nuovo.
Leggendo il libro del nostro curatore, mentore e inventore Renzo Ceresa, mi sono ricordato che tra le altre cose che facemmo nei sette anni di Condor, su Radio2, ce n’è una di cui andammo orgogliosi perché riempì quell’ora quotidiana di cose eccezionali e assai più meritevoli delle nostre chiacchiere: le band e i musicisti che invitammo a suonare nel nostro studiolo in corso Sempione (coi formidabili tecnici Rai). E tanti speciali così non credo li abbiate sentiti spesso sulle radio maggiori (certo, piacevano a noi). I Kings of convenience, Joan as police woman, Patti Smith, i Deus, Dente, Lindo Ferretti, i Willard Grant Conspiracy, Micah P. Hinson, tra i primi che mi ricordo. Poi ci chiusero, ma anche solo per i saluti ne valse la pena. (qui c’è una manciata di vecchie foto)
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…And You Will Know Us by the Trail of Dead
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Loro sono una band americana con un nome sbilenco (ma con una sua coolness western, “ci riconoscerete dalla scia di morti”) e un loro culto di fan (che si adattarono alla semplificazione del nome in Trail of dead). Facevano un discreto baccano ma da un certo punto in poi con maggiori momenti di epica melodica, e in un disco del 2006 confezionarono un arrangiamento stupendo intorno a una canzone di un’altra rock band americana meritevole e complice di quei vent’anni di rinnovamento del genere che avvenne tra la fine degli Ottanta e l’inizio del millennio dopo, i Guided by voices.
La canzone è breve ma ricca di invenzioni, e per descrivere l’eccitante spaesamento del suo andamento e testo cito una cosa che ho trovato su un blog che pubblicava buone cose, fino a che le ha pubblicate.
Bob [Robert Pollard dei Guided by voices, ndr] dice di averla scritta sotto acido, quindi non state troppo a lambiccarvi. È un po’ Signore degli anelli, un po’ Edgar Allan Poe, ma quello che conta davvero è il lento svilupparsi del testo, così che quando si arriva a “She runs through the night as if nobody cares!” è come guardare in uno specchio opaco e vedere una verità appannata che se strizzi gli occhi riconosci come tua. È a metà strada tra una verità universale e un crittogramma misterioso, ma se ti limiti a urlarla ubriaco con i tuoi amici il venerdì sera è la miglior canzone mai scritta»
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