Quelli che non si ammalano mai di COVID-19

Un gruppo di ricerca li vuole studiare per capire che cosa li renda resistenti al coronavirus, in modo da sviluppare nuovi farmaci, ma trovarli non è semplice

(Anindito Mukherjee/Getty Images)
(Anindito Mukherjee/Getty Images)

Un gruppo internazionale di scienziati è alla ricerca delle persone con particolari condizioni genetiche tali da renderle naturalmente resistenti al coronavirus, al punto da non subire il contagio anche dopo una prolungata esposizione a individui malati o positivi al coronavirus. L’iniziativa potrebbe offrire nuovi importanti spunti per sviluppare farmaci e trattamenti che proteggano dagli effetti della COVID-19.

Lo studio è stato descritto di recente sulla rivista scientifica Nature Immunology e coinvolge una decina di centri di ricerca in varie parti del mondo, come Brasile, Grecia, Stati Uniti, Francia, Italia e Spagna. Finora sono stati presi in considerazione 500 possibili candidati e, in seguito all’annuncio dell’iniziativa a fine ottobre, altre 600 persone si sono messe in contatto con il gruppo di ricerca ritenendo di avere le caratteristiche richieste per partecipare allo studio.

I ricercatori si sono dati come obiettivo il raggiungimento di mille partecipanti, ma effettuare la selezione sarà difficile. Ammesso che una resistenza congenita al coronavirus esista veramente, gli individui interessati potrebbero essere pochissimi e in molti casi inconsapevoli della loro condizione.

Per trovare queste persone occorre prima di tutto identificare i soggetti che sono stati esposti al virus senza protezioni, come le mascherine, venendo in contatto con una persona contagiosa per un certo periodo di tempo. Questi soggetti non devono essere in seguito risultati positivi al coronavirus e non devono avere nemmeno sviluppato una risposta immunitaria, a indicazione della loro condizione che impedisce alle particelle virali di avere qualche effetto sull’organismo.

Le indagini si sono finora concentrate sulle coppie discordanti, cioè quelle in cui solo uno dei due membri sviluppa un’infezione da coronavirus senza contagiare il proprio partner, nonostante la condivisione degli stessi ambienti domestici e i lunghi periodi trascorsi a stretto contatto. È considerata una condizione ideale dai ricercatori, per lo meno in linea teorica, ma è estremamente difficile da verificare nella pratica.

Ci possono essere infatti molte variabili che portano alle coppie discordanti, sia ambientali sia legate a come è fatto ogni individuo. La persona infetta potrebbe per esempio emettere poche particelle virali, determinando quindi un minor rischio di infettare il proprio convivente. Quest’ultimo potrebbe inoltre non accorgersi di essere stato contagiato, nel caso in cui rimanesse asintomatico, e da questo potrebbe derivare la convinzione di avere caratteristiche congenite che lo proteggono dall’infezione. In questi casi solo l’immediato ricorso a un tampone nasale o un successivo controllo tramite un test sierologico potrebbero risolvere l’incertezza.

Le coppie che si ritengono discordanti non sono così rare e questo spiega l’alto numero di individui che si sono messi in contatto con i ricercatori. Un primo metodo per verificare se effettivamente uno dei due partner sia resistente al coronavirus consiste proprio nell’effettuare i test, come quelli sierologici. Il fatto che inizi a esserci un’alta percentuale di vaccinati in molti paesi potrebbe complicare la ricerca, perché diventa più difficile distinguere un individuo immunizzato da quelli che hanno una resistenza congenita.

Trovati i potenziali candidati, il gruppo di ricerca dovrà poi confrontare il loro genoma (tutte le informazioni genetiche di un individuo) con quello delle persone che subiscono invece un’infezione, in modo da mettere in evidenza eventuali differenze tra i loro geni. Ognuno di questi geni dovrà poi essere studiato su modelli in vitro in laboratorio o su cavie, in modo da confermare l’esistenza di un meccanismo che rende alcuni totalmente indifferenti al coronavirus.

In quasi due anni di pandemia alcuni studi hanno messo in evidenza rare mutazioni genetiche che possono fare aumentare il rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19. Lo hanno fatto utilizzando anche ricerche di associazione genome-wide (GWAS), che si basano sulla possibilità di identificare nel genoma centinaia o migliaia di punti in cui le differenze nelle sequenze del DNA potrebbero essere legate a particolati tratti o meccanismi. Le analisi di questo tipo hanno raggiunto notevoli progressi negli ultimi anni e sono impiegate in numerosi ambiti.

Gli scienziati che stanno lavorando alla nuova ricerca ipotizzano che alcuni individui siano sprovvisti del recettore ACE2, che il coronavirus sfrutta per ingannare le difese delle cellule, iniettando al loro interno il suo materiale genetico per produrre nuove copie di se stesso e portare avanti l’infezione. Un’analisi GWAS ha per ora identificato un potenziale legame tra una mutazione genetica che fa sì che alcuni individui si trovino in questa condizione e un ridotto rischio di venire contagiati. La ricerca è però preliminare e saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Meccanismi simili erano già stati osservati in passato con altri virus, compreso quello dell’HIV. Da quelle evidenze fu possibile sviluppare alcuni farmaci che sono in grado di bloccare almeno in parte l’attività del virus.

Non è comunque escluso che alcuni individui abbiano altre caratteristiche che li rendono meno esposti ai rischi del coronavirus, magari legate al funzionamento del loro sistema immunitario. Un’ipotesi è che alcuni abbiano particolari mutazioni nelle cellule che rivestono le mucose nasali, uno dei principali punti di ingresso del virus nel nostro organismo. Queste mutazioni renderebbero più difficile la replicazione virale, impedendo al coronavirus di causare un’infezione vera e propria con tutti i rischi che ne conseguono.

Gli obiettivi del nuovo studio sono molto ambiziosi e potrebbero essere necessari anni prima di arrivare a qualche conclusione convincente, ma il gruppo di ricerca confida comunque di ottenere qualcosa anche da un numero ristretto di individui naturalmente resistenti al coronavirus. Scoperti i loro sistemi di difesa, potrebbero poi essere sviluppati nuovi farmaci e trattamenti contro la COVID-19.