L’Irlanda è unita, nel rugby
Su The Passenger Brendan Fanning racconta come si trovò una soluzione per l'inno prima delle partite della Nazionale, che rappresenta tutta l'isola
Il rugby è uno sport amatissimo in Irlanda e la Nazionale irlandese di rugby maschile è l’unica squadra che rappresenta sia l’Irlanda che l’Irlanda del Nord, nonostante l’appartenenza di quest’ultima al Regno Unito. Per questo al rugby è dedicato uno degli articoli del numero sull’Irlanda di The Passenger, il libro-rivista su paesi e città del mondo della casa editrice Iperborea, appena uscito in libreria. Scritto dal giornalista sportivo Brendan Fanning, l’articolo spiega tra le altre cose cosa si suona prima delle partite della Nazionale irlandese. Ne pubblichiamo un estratto.
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Nella fase preparatoria alla Coppa del mondo del 1987 in Nuova Zelanda, la prima nella storia del rugby, la nazionale irlandese si allenava a Dublino guidata dal tecnico Mick Doyle. I giocatori arrivavano da ogni angolo dell’isola e l’inizio delle sedute sul campo di Merrion road era previsto in genere per metà mattinata.
All’epoca quasi tutti i membri della rosa militavano nelle squadre delle quattro province d’Irlanda: Connacht, Leinster, Munster e Ulster. Quest’ultima, però, è una regione che sconfina nell’Irlanda del Nord, politicamente annessa al Regno Unito, e in quella nazionale di giocatori dell’Ulster ce n’erano ben dieci. Due di loro, Jimmy McCoy e John MacDonald, di mestiere facevano i poliziotti per quello che all’epoca si chiamava Ruc (Royal Ulster constabulary), il corpo di polizia dell’Irlanda del Nord (poi rinominato a seguito di una riforma nel 2001), uno dei principali obiettivi dell’Ira. Ogni volta, quindi, che scendevano a Sud per vestire i colori della nazionale irlandese, erano seguiti come ombre dalla An garda síochána, la polizia della Repubblica. Piuttosto scomodo, obiettivamente, ma efficace, dato che non c’erano mai stati problemi di sorta.
Un giorno però, malgrado gli allenamenti fossero previsti per la solita ora al campo di Dublino, alcuni giocatori non si presentarono. David Irwin, Nigel Carr e Philip Rainey, dell’Ulster, sarebbero dovuti arrivare insieme da Belfast. Il loro viaggio si era svolto senza intoppi fino al confine, ma si dà il caso che nello stesso momento il giudice dell’Alta corte dell’Irlanda del Nord, Lord Justice Gibson e sua moglie, Lady Gibson, stessero procedendo nella direzione opposta. In quanto giudice, l’uomo era a sua volta un bersaglio appetibile per l’Ira.
In un’auto parcheggiata a poche miglia oltre il confine, sul lato settentrionale, era stata piazzata una bomba da 220 chili, che fu fatta detonare da remoto al passaggio dei Gibson. I coniugi morirono sul colpo. I tre giocatori dell’Irlanda passavano nell’altra direzione proprio in quell’istante, e furono investiti dall’esplosione. Sopravvissero tutti, ma Carr non fu più in grado di riprendere la sua carriera da rugbista.
Quella tragedia ha messo in luce la natura pressoché unica del rugby irlandese. Nessun’altra nazionale in quella prima Coppa del mondo, infatti, aveva la minima idea di cosa significasse dover convocare giocatori da due paesi diversi – uno dei quali minacciato costantemente dall’ombra del terrorismo – e farli scendere in campo sotto la stessa bandiera. Nessun’altra nazionale aveva mai vissuto frizioni legate alla propria bandiera o all’inno suonato in nome di quei colori il giorno della partita, con i giocatori schierati sull’attenti.
Nella gara inaugurale della competizione l’Irlanda affrontava il Galles. Il giorno prima venne fuori che sarebbe stata l’unica formazione sprovvista di inno. Questo perché, essendo composta da giocatori provenienti da due diverse giurisdizioni politiche, per le partite casalinghe del Cinque nazioni (poi diventate sei con l’Italia a partire dal 2000) − che si tenevano al Lansdowne road di Dublino − la squadra normalmente ricorreva all’«Amhrán na bhFiann», l’inno della Repubblica. Per le gare in trasferta, invece, solo il silenzio precedeva il calcio d’inizio. Ma quella era la Coppa del mondo, la prima nella storia: possibile che a nessuno fosse venuta in mente una canzone accettabile anche di là dal confine?
Il capitano Donal Lenihan era sconcertato. I suoi ragazzi partivano sconfitti prima ancora di cominciare. […]
Era imperativo riempire quel vuoto in tempo per l’inizio della gara, e su imbeccata di Lenihan la federazione tirò fuori una gracchiante registrazione di «The rose of Tralee», una ballata popolare irlandese. La fretta era tale che la musicassetta venne chiesta in prestito a uno dei giocatori. La canzone era stata scritta da James Last, il cui più grande successo era il brano «Happy music».
Il risultato fu tremendo e i giocatori irlandesi, mortificati, scesero in campo senza inno per le restanti partite del torneo, perdendosi qualcosa che i loro avversari consideravano un momento cruciale del pre gara.
All’epoca quel fiasco scatenò un acceso dibattito. Ciononostante, in perfetto stile irlandese, la federazione ci mise altri otto anni a commissionare un inno al compositore Phil Coulter. E finalmente, in occasione della Coppa del mondo del 1995 in Sudafrica, l’Irlanda si regalò un brano capace di accontentare Nord e Sud: «Ireland’s call». Le tensioni tuttavia non si placarono: nel corso degli anni molti giocatori dell’Ulster infatti si erano trovati a disagio nel mettersi sull’attenti per l’«Amhrán na bhFiann». La soluzione? Quando l’Irlanda giocava in casa si suonavano entrambi gli inni, quello e «Ireland’s call». Per le partite in trasferta, invece, ci si limitava a quest’ultimo. Eh sì, l’Irlanda è speciale.
(Traduzione di Leonardo Taiuti)