Che cosa fa un investigatore privato
In Italia le agenzie sono oltre 1.500, si occupano prevalentemente di infedeltà, assenze dal lavoro e frodi assicurative ma ci sono anche casi più bizzarri
I mesi di lockdown e di restrizioni per il coronavirus sono stati un periodo di poco lavoro per gli investigatori privati. Il motivo lo spiega Luciano Tommaso Ponzi, presidente della Federpol, la federazione che riunisce la maggioranza degli operatori del settore, e nipote di quello che tra gli anni Cinquanta e Settanta fu il più celebre – e controverso – investigatore privato italiano, Tom Ponzi. «Con le regole imposte nelle zone rosse era difficile tradire il coniuge e assentarsi dal lavoro per finti motivi di salute. Tante aziende, anche con molti dipendenti, hanno ridotto a zero l’assenteismo. E in quel periodo non hanno certo richiesto verifiche su false malattie».
«Subito dopo», spiega Caterina Malavolti dell’agenzia Sheridan di Modena, «la ripartenza ha comportato in tanti casi un forte desiderio di evasione dall’ambito familiare. Così come con la fine dello smart working i casi di finte malattie per non rientrare a lavorare in ufficio si sono intensificati».
Famiglie e aziende sono due dei mercati principali per chi fa il lavoro di investigatore privato. In Italia sono circa 20.000 le persone che lavorano a vario titolo nel settore delle agenzie investigative. I titolari di licenza erano 1.898 a fine 2019, quando è stato realizzato dalla Federpol l’ultimo osservatorio statistico: «ma nel periodo di pandemia», dice Ponzi, «150-200 agenzie hanno dovuto chiudere». Le agenzie sono in maggioranza al Nord: 844. In Lombardia ce ne sono 325 (175 solo a Milano), nel Lazio 307 (256 a Roma). Ultima nella classifica è la Valle d’Aosta, dove sono attive otto agenzie.
«I nostri ambiti professionali», continua Ponzi, «vanno dalle indagini in ambito familiare e aziendale a quelle per sventare frodi assicurative e azioni di concorrenza sleale. Lavoriamo anche come consulenti di studi legali in ambito difensivo. E nostri associati sono anche gli addetti ai servizi di controllo nei concerti, negli stadi, nei centri della grande distribuzione».
Dal 2010 per ottenere una licenza di agente investigativo bisogna avere una laurea triennale (in Giurisprudenza, Psicologia a indirizzo forense, Sociologia, Scienze Politiche, Scienze dell’Investigazione o Economia), aver svolto un tirocinio di tre anni presso un’agenzia e aver partecipato a corsi di perfezionamento riconosciuti dal ministero dell’Università e della Ricerca. In alternativa bisogna essere un ex appartenente alle forze dell’ordine. E cioè, precisamente, come recita il regolamento «avere svolto attività d’indagine in seno a reparti investigativi delle forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni».
Molti titolari di licenza sono ancora oggi ex carabinieri o poliziotti. «Da quando è entrata in vigore la legge che richiede la laurea il nostro mondo è cambiato», dice Ponzi, «non esiste più lo stereotipo dell’investigatore privato degli anni Sessanta e Settanta. È cambiato il lavoro e sono necessarie competenze anche in ambito tecnologico». Oggi il pedinamento è diventato per esempio prevalentemente elettronico, e il lavoro richiede una certa praticità e velocità nell’individuare e valutare i post sui social network, dei quali bisogna riconoscere regole e inquadramento legale.
Nonostante le trasformazioni negli strumenti e nelle competenze richieste, i servizi degli investigatori privati vengono chiesti ancora perlopiù per gli stessi motivi: capire se una moglie o un marito sono infedeli, se un figlio frequenta compagnie considerate pericolose, se un dipendente ruba in ufficio. Ponzi ci tiene a sottolineare che esistono anche altri casi: «alcuni settori di intervento sono decisamente complessi, come la concorrenza sleale, la tutela dei marchi e dei brevetti, le frodi assicurative, la raccolta e l’analisi di dati economici di società».
E poi ci sono i casi più bizzarri. «Una volta», racconta al Post la titolare di un’agenzia investigativa, «mi venne chiesto di pedinare un gatto. Era al centro di una controversia nel corso di una separazione piuttosto turbolenta. Il marito era preoccupato perché l’animale era rimasto a vivere con la sua quasi ex moglie e una vicina di casa gli aveva spifferato che rimaneva spesso solo sul balcone e poi se ne andava in giro per il vicinato. Spiegai al marito angosciato che doveva rivolgersi ad altri tipi di professionalità». «Più volte», racconta un altro investigatore, «mi è stato chiesto di scattare foto a persone che poi dovevano essere mostrate a cartomanti».
Ultimamente il lavoro di molte agenzie si è concentrato sulle verifiche richieste dai datori di lavoro sulle malattie dei propri dipendenti. Con l’obbligo del Green Pass i certificati medici sono aumentati, e contemporaneamente sono cresciuti i sospetti da parte dei datori di lavoro. Molte aziende si sono rivolte a investigatori privati per capire se quei certificati fossero attendibili o no.
Questo aspetto del lavoro degli investigatori privati è quello più controverso e oggetto delle critiche di chi lo ritiene poco etico, in quanto consiste in sostanza nello spiare i lavoratori e offre ai datori di lavoro uno strumento ritenuto poco etico e in violazione dei diritti dei dipendenti.
Valentina Tarricone, general manager dell’agenzia FIRSTNet Security, dice che si tratta di un aspetto del lavoro per cui «si seguono regole, anche deontologiche, ben precise. Non sono mai controlli a tappeto, le aziende segnalano alcuni casi che ritengono particolarmente sospetti e noi facciamo verifiche». Le ricerche, dice Tarricone, si concentrano molto sui social network: «Succede che un dipendente in malattia finisca poi nel post di un amico mentre gioca a pallone o fa il bagno in mare. Molti credono che basti essere a casa nelle ore stabilite per i controlli. Non è così, non ci si può dichiarare malati e poi tenere comportamenti che indicano tutto il contrario. In parole povere, se dici di avere mal di schiena non puoi andare a sollevare pesi in palestra».
Malavolti si occupa spesso di frodi assicurative. «Il nostro intervento viene richiesto quando ci sono grandi furti, o incendi. Acquisiamo dati, facciamo controlli. Per esempio verifichiamo se l’azienda che ha subito l’incendio aveva seri problemi economici, se c’era stato poco prima un cambio di polizza assicurativa, se ci sono insomma elementi che portano a sospettare che ci sia una frode». Dopo questo lavoro di ricerca, «consegniamo la relazione alla compagnia assicurativa e collaboriamo con le forze di polizia».
Ci sono regole e norme precise che limitano il lavoro di un investigatore privato, ma esiste una zona grigia nella quale non è sempre chiaro quali siano le asticelle da non superare. La legge del 2010 definisce «l’attività d’indagine in ambito privato come quell’attività volta alla ricerca e all’individuazione d’informazioni richieste dal privato cittadino, anche per la tutela di un diritto in sede giudiziaria, e che possono riguardare, tra l’altro, gli ambiti familiari e matrimoniali».
L’investigatore privato non può mai agire di propria iniziativa ma deve sempre avere un preciso incarico messo per iscritto dal cliente. Può poi pedinare una persona ma non deve creare in chi è pedinato una condizione di ansia e paura che possono sfociare nel reato di molestia o stalking. «Se una persona si accorge di essere pedinata significa che l’investigatore non fa bene il suo lavoro. Non accade normalmente. Ma quando succede, è vero, possono scattare accuse di molestie o addirittura di stalking», spiega Malavolti.
Un investigatore può registrare una conversazione all’insaputa dell’altra persona, ma non può nascondere un registratore e andarsene. Il presupposto per considerare lecita la registrazione è che colui che registra partecipi alla conversazione e non sia, invece, altrove. I pedinamenti elettronici, e cioè la geolocalizzazione, sono arrivati più volte alla Corte di Cassazione per possibili violazioni della privacy. La Corte ha rigettato i ricorsi e i giudici hanno legittimato l’uso del geolocalizzatore in quanto lo strumento non interferisce di per sé con il diritto alla riservatezza nelle comunicazioni, né implica violazione del domicilio. A differenza invece della microspia per le intercettazioni, per la quale è sempre richiesta l’autorizzazione del giudice. Gli investigatori privati possono documentare, attraverso foto e video, fatti e circostanze che avvengono esclusivamente in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Non possono accedere in aree private, né ovviamente nelle case di altre persone.
L’investigatore privato può poi controllare il computer di un dipendente se lo richiede l’azienda perché, secondo ciò che indica la Federpol, si tratta di un comportamento riconosciuto legittimo dalla giurisprudenza: posta elettronica aziendale e connessione internet sono strumenti di lavoro, messi a disposizione dal datore e come tali devono essere utilizzati, evitandone cioè l’uso privato. Tutto deve essere fatto, come scrive Federpol, «secondo precisi criteri di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza e di rispetto dello Statuto dei Lavoratori». Un criterio che evidentemente però rientra a sua volta in quelle zone grigie in cui lavorano i detective privati.
Le cose sono comunque cambiate dagli anni Cinquanta e Sessanta quando i primi investigatori privati fecero la loro comparsa in Italia e non c’era nessuna regola che stabilisse i limiti della professione. Fu appunto Tom Ponzi il primo a raggiungere una notevole celebrità. Ex aderente alla Repubblica Sociale Italiana, molto amico del segretario del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante, non nascose mai le sue simpatie mussoliniane. Finì sulle prime pagine dei giornali quando nel 1956 si sostituì alle forze dell’ordine e disarmò, assieme a un’altra persona, due banditi che avevano sequestrato un centinaio di bambini e tre maestre a Terrazzano, nel comune di Rho, vicino a Milano.
Ponzi divenne così famoso da interpretare un commissario di polizia nello sceneggiato televisivo I giovedì della signora Giulia, tratto da un libro di Piero Chiara. Lavorò per Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat che gli affidò il compito di riscossione dei crediti, e per l’Aga Kahn III, che era convinto che la quarta moglie, la modella francese Yvonne Blanche Labrousse, lo tradisse. Per la Ferrari sorvegliava le auto ai box contro possibili sabotaggi. Nel 1973 finì nei guai, accusato di aver organizzato una rete di intercettazioni illegali ai danni di politici, prevalentemente di sinistra. Scappò in Francia e fu poi assolto, anche se gli venne ritirata la licenza. Oggi in Italia ci sono alcune agenzie investigative di suoi eredi.
Casi di attività illegali da parte di investigatori privati continuano, anche se in misura minore rispetto al passato. Nel 2018 è stata confermata in Cassazione la condanna rispettivamente a cinque anni e cinque anni e otto mesi di carcere per Emanuele Cipriani e Marco Bernardini, investigatori privati che a partire dal 2000 avevano preparato, per conto della sicurezza di Telecom e Pirelli, dossier illeciti su personaggi della politica, dell’imprenditoria e dello sport. Bobo Vieri fu tra i personaggi spiati, e ottenne un milione di euro di risarcimento per i danni alla privacy provocati dall’attività di spionaggio commissionata dalla sua stessa società, l’Inter.
Sempre nel 2018 sette appartenenti a polizia, carabinieri e guardia di finanza furono arrestati per aver venduto informazioni a investigatori privati. Furono coinvolte anche due agenzie investigative i cui titolari erano ex appartenenti alle forze dell’ordine che avevano chiesto a vecchi colleghi informazioni su avversari dei propri clienti in cause civili di divorzio o separazione.
Secondo Ponzi «sono fortunatamente casi sempre più rari», e oggi c’è «più professionalità» e un codice deontologico che definisce «molto rigido». A suo dire, gli investigatori dovrebbero «poter avere l’accesso ad alcune banche dati che sarebbero essenziali per il nostro lavoro», oltre che un tesserino di riconoscimento regolato dal ministero dell’Interno. Ponzi spiega che gli investigatori privati non hanno nessuna procedura agevolata per la richiesta di porto d’armi, anche se il lavoro «può comportare rischi». Tarricone fa l’esempio dei casi in cui si seguono vittime di stalking: «nella ricerca di prove da sottoporre alle forze dell’ordine diventiamo anche noi bersaglio di minacce». Secondo Malavolti, poi, «in casi di grandi frodi alle assicurazioni è possibile che ci sia dietro la criminalità organizzata. Il nostro può essere anche un lavoro pericoloso».
I servizi degli investigatori privati vengono anche richiesti dagli studi legali anche per indagini difensive nell’ambito di processi penali. In Italia questo genere di collaborazione non è ancora diffusa, come per esempio negli Stati Uniti, ma sta comunque prendendo sempre più piede. Gli avvocati di solito preferiscono fare indagini da soli, anche per ridurre i costi.
Non esiste una tariffa per gli investigatori privati, dipende dalla durata e dal tipo di indagine. «Può andare da 2.000 a 4.000 euro, dipende da molti fattori», dice Federico Bonarini, titolare della Mediolanum Investigazioni e a capo del network Infedeltà che tratta circa 300 casi l’anno. Per Bonarini «non bisogna comunque girarci troppo attorno. Nonostante ciò che dicono alcuni miei colleghi il mercato principale degli investigatori privati rimane l’ambito familiare». Sul suo sito dà una serie di consigli a chi teme l’infedeltà del partner, elencando comportamenti che indica come sospetti. «Una persona vuole sapere se viene tradita oppure no. E soprattutto vuole sapere cosa fare della propria vita. Vuole vederci chiaro, tutto lì».