Anche il pm vorrebbe una pena inferiore per Alex Pompa
L'accusa non ha potuto proporre meno di 14 anni per il 20enne che uccise il padre violento che da anni minacciava moglie e figli
Il 21 novembre a Torino verrà emessa la sentenza di primo grado nei confronti di Alex Pompa, oggi ventenne, accusato di aver ucciso il padre la sera del 30 aprile 2020. Il pubblico ministero Alessandro Aghemo ha chiesto per il giovane 14 anni di reclusione, ma ha fatto capire che avrebbe preferito chiedere una pena più lieve, se avesse potuto. «Mi vedo costretto a proporre una pena così elevata» ha detto invitando i giudici a sollevare una questione di legittimità costituzionale riguardo alla norma che impedisce di concedere varie attenuanti in presenza dell’aggravante dell’omicidio di un familiare.
Il padre di Pompa infatti era violento, ossessivo e minacciava quotidianamente la madre e i due figli. Secondo il pm il figlio lo uccise interpretando male un suo gesto e sovrastimando il pericolo concreto di quel momento, chiamando poi subito i soccorsi. Una perizia psichiatrica richiesta dal giudice per indagini preliminari ha giudicato Alex Pompa seminfermo di mente al momento dell’accaduto. L’avvocato difensore, Claudio Strata, ha invece chiesto l’assoluzione in base al fatto che il giovane avrebbe agito per legittima difesa difendendo se stesso, il fratello e la madre dalla violenza del padre.
La famiglia Pompa viveva a Collegno, a poco più di dieci minuti d’auto da Torino. Il padre, Giuseppe, era operaio, la madre, Maria Cutaia, lavorava e lavora come commessa all’Ipercoop. Alex Pompa ha un fratello, Loris, più grande. Quello che tutti i testimoni hanno descritto in aula era il clima di violenza che si viveva in casa. La corte ha anche ascoltato ore di registrazione, effettuate dalla moglie e dai figli, in cui si sentono le continue minacce e le urla di Giuseppe Pompa.
In una registrazione del 2016 si sente la voce della madre di Alex dire: «Oggi è il 5 dicembre 2016, sono stanca, stanchissima. Mio marito mi bombarda di telefonate, mi insulta. Se ci dovesse succedere qualcosa, sia a me che ai miei figli, è stato sicuramente lui. Mi chiama sia a casa che al telefono: non ce la posso più fare, ci ricopre di insulti in continuazione».
Alex Pompa ha descritto davanti ai giudici della gelosia ossessiva e violenta del padre nei confronti della madre: «Non poteva uscire da sola e la sera quando lui rientrava dal lavoro controllava il suo profilo Facebook. Ogni sera abbracciavamo mamma più forte pensando che il mattino dopo, forse, non l’avremmo più rivista». Lui e il fratello Loris cercavano di difendere la madre come potevano: «Per nostro padre da piccoli io e mio fratello eravamo i suoi figli, poi siamo diventati degli ostacoli perché fisicamente ci potevamo opporre alle sue aggressioni. Ci mettevamo in mezzo quando lui cominciava a urlare e inveire contro nostra madre. Bisognava fare attenzione a tutto ciò che si diceva e si faceva e nemmeno quello bastava».
Alex Pompa ha descritto la situazione in casa come di «costante pericolo». Ha anche raccontato che lui e suo fratello si alternavano per andare a fare la doccia «per non lasciare sola la mamma». Giuseppe Pompa si era convinto nelle ultime settimane che la moglie stesse ricevendo attenzioni da parte di un collega: «Quel giorno, il 30 aprile, mi ha telefonato 101 volte perché era venuto sul lavoro e aveva visto un collega che mentre stava parlando con una cliente aveva appoggiato una mano sulla mia spalla», ha testimoniato Maria Caiola, «Lui non sopportava nemmeno che io sorridessi ai clienti».
Anche lei ha raccontato del clima in casa: «Abbiamo vissuto dieci anni di inferno. Mio marito era di una gelosia ossessiva, era morboso. In ogni posto in cui ho lavorato lui pensava che avessi un amante, ma io non l’ho mai tradito. Di giorno e di notte mi aggrediva, insulti e bestemmie, era un continuo litigio su tutto. Poi pretendeva da me rapporti sessuali come se non fosse successo nulla: era malato. Io non potevo fare nulla». Il 30 aprile 2020, continua Maria, «gli dissi che mi volevo separare, questo lo fece infuriare ancora di più. Andai in bagno, dovevo togliermi dalla sua vista, era l’unico escamotage». Da lì sentì il marito urlare «Fatevi sotto», e poi i suoni di una colluttazione. «Se non fosse stato per Alex io ora non sarei qua. Quella sera ci ha difesi e ci ha salvato la vita».
La sera del 30 aprile Alex Pompa sentì il padre in camera fare una lunga telefonata con il fratello, urlando accuse alla moglie. «Era uscito dalla camera da letto. Le era andato contro sbattendole con violenza il telefono sulla faccia», ha detto davanti ai giudici. In quel momento il ragazzo era seduto sul divano: «sono intervenuto per evitare che lei subisse un’aggressione fisica ed è nata una colluttazione. Era come indemoniato. Continuava a ripetere “Fatevi sotto”, “Vi faccio a pezzetti”, “Vi ritrovano in un fosso”. Quando l’ho visto girarsi e dirigersi verso la cucina, ho capito che l’avrebbe fatto, che quella volta ci avrebbe ammazzato. Da quel momento non ricordo più nulla».
Le indagini hanno stabilito che Alex Pompa quella sera colpì il padre con 34 fendenti, utilizzando sei coltelli diversi.
Il giudice per le indagini preliminari Stefano Vitelli richiese una perizia psichiatrica sul ragazzo: fu stabilita la seminfermità di mente al momento dell’accaduto, conseguenza, fu scritto nella perizia, «dell’individuazione di un disturbo post traumatico derivante da tutto il vissuto familiare». La perizia escluse anche la pericolosità sociale del ragazzo. Alex Pompa fu posto agli arresti domiciliari a casa di un amico (altre cinque famiglie, compresa quella della sua fidanzata, si erano offerte). Ora quella misura è stata revocata: si è diplomato all’istituto professionale Prever di Pinerolo e lavora come receptionist in un albergo.
Nella sua requisitoria il Pubblico Ministero Aghemo ha detto chiaramente che Giuseppe Pompa era «l’artefice delle sofferenze del figlio». Che era una persona «molesta, problematica, aggressiva, ossessiva». Che si comportava «in maniera ingiustificabile». Ma, ha aggiunto, «ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato». Il pm ha anche detto però che le testimonianze «sono volte a ingigantire la situazione di quella notte» e a «rappresentare Giuseppe Pompa in maniera più grave anche dal punto di vista fisico, così da giustificare l’azione di Alex».
In sostanza il «pericolo che il padre potesse passare all’azione», tentando di uccidere la madre, Loris e lo stesso Alex «è stata percepita da Alex. Ma non era concreta». Per il pm non c’è nessuna prova che Giuseppe Pompa quella sera stesse andando in cucina a prendere un coltello: «Si è trovato da solo, disarmato, non è riuscito a difendersi».
Il pm ha però anche detto che Alex Pompa, chiamando subito i carabinieri «ha dimostrato consapevolezza di quanto aveva fatto: bisogna tenerne conto». Spiegando il motivo per cui ha richiesto una condanna superiore a quella che riterrebbe giusta, ha spiegato: «è il dispositivo normativo che mi impedisce di fare diversamente. Posso riconoscere solo le attenuanti della seminfermità mentale, ma invito la Corte d’Assise a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti». Le aggravanti previste nel caso dell’omicidio di un familiare, infatti, annullano le attenuanti derivanti da angherie quotidiane, come quelle subite da Pompa.
L’avvocato di Alex Pompa, Claudio Strata, non è d’accordo. Ha chiesto l’assoluzione, e dice che anche il pm avrebbe dovuto fare lo stesso: «Ha chiesto invece la condanna rendendosi però conto che, con la legge del 2019, tutte le attenuanti che, anche ad Alex, il pubblico ministero ritiene possano essere concesse, quelle generiche e della provocazione, non possono essere sfruttate per ridurre la pena».