La prima donna di internet
Secondo molti è la modella Lena Forsén, una cui foto è parte della cultura informatica da quando fu usata per perfezionare le immagini digitali
Per far sì che le immagini fisiche fossero trasformate in contenuti digitali servirono anni di ragionamenti, prove e ricerche, che tra le altre cose portarono alla diffusione dello standard di compressione ed elaborazione digitale noto come JPEG. La storia di come nacque questo standard è stranamente legata a una fotografia scattata nel 1972 alla modella svedese Lena Forsén, pubblicata sulla pagina centrale della rivista per adulti Playboy. Per via di certe caratteristiche tecniche di quell’immagine, e anche perché qualcuno lo trovò divertente, la foto fu usata per alcuni test ed entrò quindi a suo modo nella storia di come si riuscì a digitalizzare le immagini. E, per estensione, nella storia di internet.
In moltissimi, anche senza saperlo, hanno incrociato su qualche schermo lo sguardo digitalizzato di Lena, che in alcune nicchie di appassionati e addetti ai lavori di internet e del digitale è assai nota: Wired ha parlato di lei come della «santa patrona dei JPEG», qualcuno ha detto che «è stata per certi ingegneri digitali quel che Rita Hayworth fu per i soldati americani durante la Seconda guerra mondiale» e qualcun altro l’ha perfino definita “la prima donna di internet”.
Tutto ciò è successo senza che per molto tempo Forsén ne fosse a conoscenza. Quando glielo dissero, all’inizio ne sembrò contenta, ma pare che poi abbia cambiato idea.
La foto di Forsén fu pubblicata su Playboy nel novembre 1972. Il suo cognome al tempo era Söderberg, ed era la modella del mese di Playboy: nella foto era girata di tre quarti e non indossava niente oltre a cappello, stivali, calze a rete e boa rosa. Aveva 21 anni e veniva presentata come Lenna Sjööblom. Aveva scelto di cambiarsi il cognome e di farsi aggiungere una “n” al nome per aiutare i lettori anglofoni a pronunciarlo nel modo giusto. Quella fu la sua unica foto per Playboy e il suo unico nudo.
Qualche mese dopo, quel numero di Playboy finì tra le mani e sotto gli occhi di alcuni ingegneri e ricercatori della University of Southern California, i quali ritagliarono la foto di Lena dalle spalle in su e la usarono come fotografia di un volto umano su cui testare un algoritmo per la compressione delle immagini. Per i suoi colori e per la sua struttura, la foto rispettava infatti alcune determinate caratteristiche (così come, in realtà, le avrebbero rispettate moltissime altre simili foto, femminili o maschili).
La foto del volto di Lena fu quindi scansionata e convertita in una serie di informazioni digitali capaci di riprodurne su schermo una nuova versione digitale. Come ha scritto un recente articolo di The Pudding, da lì in poi «la storia dell’immagine ha accompagnato la storia di internet e Lena è stata uno dei primi volti di ARPANET, il precedessore di internet, e poi del world wide web».
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Già nel 1973 l’immagine raggiunse una sua certa fama, al punto che nel film Il dormiglione di Woody Allen (in cui interpreta un uomo che si sveglia nel 2173 dopo 200 anni di ibernazione) è mostrata – intera – come “artefatto” del Novecento, insieme, tra le altre, a foto di Iosif Stalin, Richard Nixon, Charles De Gaulle e Francis Scott Fitzgerald.
Siccome però negli anni Settanta e Ottanta internet era una cosa per pochi, anche l’immagine di Lena circolò perlopiù in nicchie specifiche. Nel 1991, per esempio, la sua immagine digitalizzata fu messa, insieme ad alcune altre a loro modo significative per la storia digitale, sulla copertina della rivista accademica Optical Engineering.
Non è ben chiaro come, ma quella copertina fu segnalata a Playboy, che minacciò una causa legale per uso non consentito dell’immagine. Solo che molti addetti ai lavori dell’informatica ci si erano ormai affezionati e protestarono, e alla fine Playboy non fece causa: forse temendo le pessime conseguenze d’immagine, o forse perché aveva addirittura intuito che i benefici legati alla circolazione di quell’immagine avrebbero potuto essere ben maggiori rispetto al piccolo risarcimento economico che avrebbe potuto ottenere con la causa.
Di certo, come ha scritto The Pudding, la causa diede un notevole contributo a «rendere l’immagine di Lena un canone nel folklore degli ingegneri» e, più in generale, di tutta internet. Nel suo crescere, link dopo link e copia dopo copia, internet si portò quindi dentro anche l’immagine di Lena: come meme, come riferimento scherzoso tra addetti ai lavori e come oggetto di illustrazione, esercitazioni, lezioni e articoli accademici.
Nel frattempo Forsén aveva fatto la modella per Kodak, posando davanti alle macchine fotografiche per aiutare l’azienda a calibrare i colori dei rullini e lavorando in un gruppo formato da sole donne e noto come “Shirleys”, dal nome della prima di loro: Shirley Page. Poi, dopo lavori di tutt’altro genere, era tornata a vivere in Svezia. Era già lì nel 1997, quando fu invitata a partecipare a un incontro in occasione della 50esima conferenza annuale della Society for Imaging Science in Technology, interessata a celebrare la storia delle immagini digitali.
Nell’articolo intitolato “La playmate incontra i geek che l’hanno resa una star del net”, Wired scrisse: «per 25 anni ha impreziosito i desktop di milioni di ingegneri, ricercatori e specialisti di immagini digitali, e ora incontra i suoi fan». Lei, che aveva saputo da poco di quella sua peculiare fama, disse: «devono essere così stanchi di me, dopo aver guardato la stessa immagine per tutti questi anni». L’articolo aggiungeva che Forsén usava i computer (tra le altre cose in alcune sue attività con persone disabili) ma non conosceva bene internet, e la descriveva intenta a «firmare autografi e farsi fotografare».
Almeno un’altra volta, nel 2015, Forsén partecipò a un evento simile (e c’è una foto di lei in quell’occasione, davanti a una gigantografia della sua foto del 1972). Nel 2019 fu poi di nuovo rintracciata, intervistata e fotografata per un nuovo articolo di Wired: a 67 anni, posò per una nuova versione – dalle spalle in su – della sua foto più famosa. L’articolo raccontava che Forsén aveva in casa un grande orologio che le era stato regalato alla conferenza del 1997 e che la celebrava come “la prima donna di internet” e proseguiva poi così: «Lena non serba alcun rancore verso chi si è appropriato della sua immagine, le spiace solo di non averci guadagnato niente». «Sono davvero orgogliosa di quella foto», diceva lei: «un giorno una ragazza è venuta da me e mi ha detto “mi sembra di conoscere ogni punto del tuo viso”».
Nel 2019 uscì però anche il documentario Losing Lena, parecchio critico verso l’uso che nei decenni fu fatto di quella sua immagine. Nel trailer del documentario, Forsén è mostrata dopo molte altre persone che parlano di lei, e dice: «da ormai molto tempo mi sono ritirata dalla carriera di modella, è il momento che io venga ritirata anche dalla tecnologia». Il documentario chiede, in breve, che si smetta di usare su internet – ormai come fosse un meme – l’immagine derivata dalla fotografia scattata a Forsén ormai quasi mezzo secolo fa.
È anche la posizione di The Pudding, che tra le altre cose ha ricostruito come e quanto, nei decenni, si è diffusa l’immagine. L’articolo fa inoltre notare come, dopo il documentario, una parte del mondo accademico abbia scelto di non usarla più, anche se già in precedenza era stata avanzata questa proposta (per esempio in un articolo d’opinione del 2015 pubblicato dal Washington Post) e qualcuno l’aveva già seguita.
The Pudding parla dell’immagine di Forsén (a cui fa riferimento come “l’immagine di Lenna”, seguendo il nome con cui è famosa su internet) associandola a una forma di archetipo di un problema ancora molto contemporaneo, relativo a un momento storico in cui «condividere contenuti è più facile che mai» e nel quale «la cultura digitale è per definizione collettiva». Un momento e un contesto in cui «pezzi di cultura digitale sono salvati, screenshottati e ripostati per anni», in cui però stride il fatto che «abbiamo così poco controllo sull’uso e sull’abuso di certe cose». L’articolo accenna inoltre alla possibile problematicità dell’uso e dell’abuso di un’immagine femminile, tratta peraltro da una rivista per adulti, in un contesto con una storia perlopiù maschile come quello dell’ingegneria informatica.