Alla COP26 è arrivato il momento del “come”
Le delegazioni dei paesi partecipanti devono ora mettersi d’accordo su come rispettare le promesse fatte finora, ed è la parte più difficile della conferenza
Nella prima settimana della COP26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in corso a Glasgow, in Scozia, ci sono stati annunci altisonanti, come la promessa dell’India di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070 e l’accordo firmato da 40 paesi sul progressivo abbandono del carbone come fonte di energia. Finora però la conferenza è stata criticata dagli ambientalisti – Greta Thunberg l’ha definita «un fallimento» – perché i nuovi impegni sulla riduzione delle emissioni di gas serra non sono sufficienti per mantenere l’aumento delle temperature globali medie sotto 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali, l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi.
La COP durerà almeno fino a venerdì (almeno perché in passato è successo spesso che le conferenze sul clima fossero prolungate di un giorno per raggiungere gli accordi finali) ed è in realtà in questa seconda settimana che le delegazioni dei paesi del mondo si riuniranno in gruppi di lavoro ristretti per cercare di arrivare a decisioni concrete. Si cercheranno quindi accordi sugli obiettivi più importanti della conferenza: creare un sistema per valutare la reale riduzione delle emissioni dei vari paesi nel corso del tempo; stabilire regole precise per il cosiddetto mercato dei crediti di carbonio; e decidere lo stanziamento di nuovi grandi aiuti finanziari dai paesi ricchi a quelli in maggiore difficoltà con le conseguenze del cambiamento climatico e della transizione ecologica.
Il bilancio provvisorio sulla riuscita della COP26 è frutto di un’analisi diffusa giovedì dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA).
Secondo il documento, se saranno rispettati i più recenti impegni sulla riduzione delle emissioni e le altre promesse fatte la scorsa settimana, si riuscirà a limitare l’aumento delle temperature globali a 1,8 °C. Non è una previsione del tutto negativa, perché l’Accordo di Parigi aveva come obiettivo principale mantenere l’aumento sotto i 2 gradi, pur compiendo sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi; ma è ritenuta comunque deludente rispetto alle aspettative per la COP26.
Sabato Alok Sharma, l’ex ministro britannico che presiede la conferenza, ha voluto evidenziare il lato positivo della situazione notando che fino a qualche mese fa i Nationally Determined Contributions (NDC) per la neutralità carbonica, cioè le promesse dei paesi per arrivare alla condizione in cui si emettono tanti gas serra quanto se ne rimuovono dall’atmosfera, riguardavano solo il 30 per cento dell’economia globale: ora ne coprono quasi il 90 per cento. «Da tutti i punti di vista è un progresso», ha detto.
Il giudizio finale sulla COP però dipenderà dall’esito dei lavori di questa seconda settimana. I dettagli tecnici che devono essere concordati sul come rispettare gli NDC saranno infatti determinanti per rendere concrete le promesse dei paesi: lo scenario previsto dall’IEA, con i suoi limiti, sarà solo una fantasia se non ci saranno garanzie sul fatto che gli impegni nazionali saranno rispettati. «Temo che seguire la conferenza sarà un po’ più noioso», ha commentato con il Washington Post Corinne Le Quéré, climatologa dell’Università dell’Anglia orientale, «ma le COP in realtà sono fatte per questo: organizzarsi sui dettagli».
Sulla base dell’Accordo di Parigi, gli NDC sono scelti in maniera autonoma e volontaria dai paesi, sia dal punto di vista quantitativo (di quanto ridurre le emissioni e rispetto a quale anno di riferimento) sia qualitativo (in che modo farlo). Per fare un esempio: l’Unione Europea ha promesso ridurre le proprie emissioni del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, mentre sempre entro il 2030 l’India ha promesso di usare fonti di energia non fossili per coprire la metà del suo fabbisogno energetico e di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070.
A causa dell’autonomia dei paesi nello stabilire il proprio NDC, a oggi è molto difficile dire se le promesse fatte vengano mantenute e mettere a confronto gli obiettivi dei diversi stati, anche perché un singolo NDC può essere interpretato in modi diversi da paesi diversi: si può per esempio scegliere di ridurre le emissioni piano piano, oppure farlo in un colpo solo in prossimità della data fissata come scadenza ultima. Mancano però regole condivise su come valutare il mantenimento delle promesse e i delegati di Glasgow vorrebbero trovarle.
Molti paesi peraltro vorrebbero che alla COP26 si modificasse un aspetto importante degli NDC: attualmente i paesi devono aggiornarli ogni cinque anni, è stato proposto di farlo invece ogni anno, per renderli più urgenti ed efficaci.
Le altre questioni importanti per cui si cercherà di trovare un accordo condiviso questa settimana sono lo scambio di quote di emissioni tra paesi, previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi ma mai regolato, e gli aiuti finanziari dei paesi più ricchi a quelli più poveri. Secondo i giornali, quest’ultimo tema sarà quello su cui sarà più difficile raggiungere un accordo: nella lista delle priorità per i negoziati, che sabato la presidenza della COP ha distribuito alle delegazioni dei paesi, non era indicato in modo esplicito. I paesi più ricchi potrebbero cercare di impedire che nuovi impegni in questo ambito finiscano nell’accordo finale.
La questione è che alle COP le decisioni finali devono essere approvate da tutti i paesi – una regola non scritta prevede che ci debba essere il «consenso» generale – anche da quelli che nella prima settimana della conferenza non hanno preso grossi impegni.